RITRATTO DI UNA GENERAZIONE MUTA: ROMANZO

Andavamo a letto dopo Carosello

Capitolo III. Propositi. II. Un Socrate rimbambito

di Giovanni F.  Accolla

Se una cosa non è in noi, né - tanto meno - fuori di noi, si può forse essere certi che esista? Una vecchia faccenda. A me pare, però, che si viva sempre meno presso noi stessi; mi sembra che anche il vagare alla ricerca di prove, sia una malattia della mente che si nasconde tra lo ieri e il domani, per non doversela sbrigare con il quotidiano. In realtà, ognuno ha in sé, per intero, la misura della condizione umana, e proprio da tale miseria, dalla contemplazione di tale finitezza che si intende il senso dell’infinito e l’urgenza di una liberazione. Così come solo dal timido può nascere il temerario.

Ho tentato di rinunciare alle passioni, ho creduto di poterne fare a meno al fine di essere migliore. Mi sono inventato un’atarassia personalissima che sospendeva il giudizio sulla mia vita e su tutti coloro che la abitavano: amici, parenti, donne e, soprattutto, me stesso. Ho tentato di essere cosa tra le cose, ho cercato di respirare col ritmo della natura, di essere null’altro che il punto di raccordo dei miei sensi. Per alcuni brevi momenti sono stato coniglio, pulcino, gatto, gallina, pioppo, ulivo, terra e sasso perfino… È una strada che porta dritti verso la pazzia, l’annichilimento. Non è possibile mortificare l’uomo che siamo, bisogna, invece, trovargli un ruolo (lo scrivo senza per questo esserne tanto sicuro). “Felice è chi ha potuto conoscere la causa delle cose”, scrive ragionevolmente un filosofo antico, ma a me pare ancor più saggio, subire gli effetti sapendo ridere delle cause.

Come un Socrate rimbambito dal consumismo, delle volte compio lunghi giri per la città (ci torno al meno un paio di volte al mese) per rendermi conto di quante cose io, di fatto, non abbia bisogno.

Tutto o quasi è superfluo, perfino inutile, e di quest’inutilità non posso farne a meno di estrarne il lusso, il futile supremo. La vanità della vanità è pur sempre vanità, merda che non sono altro! Si è mai visto un dandy francescano?

Mi perdo nella vanità dei miei pensieri come un adoratore di ninnoli, senza un’idea chiara da perseguire, senza un bene finale a cui mirare. È l’orgoglio il mio motore, e non posso barare.

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