Una provocazione intellettuale forte

Panpsichismo, vita e morte in Gustav Theodor Fechner

Si tratta di una filosofia rammemorante, in grado di ripresentare un patrimonio sapienziale antichissimo ma, al contempo, capace di parlarci in termini di filosofia futura

di Giovanni Sessa

Panpsichismo, vita e morte in Gustav Theodor Fechner

La copertina del libro

Negli ultimi anni in rare occasioni ci è capitato di leggere un libro capace di contrastare radicalmente il senso comune contemporaneo, ancora imbevuto, nonostante tutto, delle evidenze solari dello scientismo in fase calante e della laica arroganza della ragione. Abbiamo invece dovuto rilevare al termine della lettura di un recente volume della casa editrice Adelphi, in modo subitaneo, il suo inattuale spessore culturale e la sua freschezza spirituale. Ci riferiamo all’opera di Gustav Theodor Fechner, Il libretto della vita dopo la morte. L’autore, fisico e filosofo, pioniere della psicologia sperimentale, rappresentante insigne della filosofia della natura di orientamento romantico della prima metà dell’Ottocento, in quest’opera sviluppa posizioni radicalmente divergenti rispetto a quelle oggi dominanti, in particolare in merito alle relazioni di vita e di morte. Per dirla con il curatore del volume, il germanista Giampiero Moretti: “Il suo pensiero…sembra provenire da un tempo ben più lontano e procedere oltre, sia pure per lenti e segreti itinerari, fino a raggiungere personalità diversissime” (p. 100). La speculazione fechneriana, ha per antecedenti spirituali le posizioni di Schelling e di Goethe, ma lambisce aspetti essenziali del pensiero di tradizione novecentesco.

    Si tratta di una filosofia rammemorante, in grado di ripresentare un patrimonio sapienziale antichissimo ma, al contempo, capace di parlarci in termini di filosofia futura. Per questo, quanti siano interessati all’elaborazione di una cultura del Nuovo Inizio troveranno in Fechner stimoli e suggestioni di grande pregnanza. L’incipit teorico del testo va rintracciato nell’affermazione  perentoria dell’autore, secondo la quale l’uomo vive tre volte sulla terra: la vita, così come noi l’esperiamo nella abituale coscienza di veglia, altro non è se non il passaggio dal primo al secondo livello del “fenomeno” dell’ex-sistenza. Nel primo livello l’anima è silente, è in attesa del “vivere” stesso che, una volta sopravvenuto, le consentirà di approcciarsi al reale con la sensazione-percezione. Il mondo e la natura saranno conosciuti nella dimensione puramente fisica, statica, mentre qualora la sensibilità, qualità sottile, sia stata ben educata, l’anima avrà accesso, sia pure in subitanee esperienze ed illuminazioni, alla dimensione più profonda che, dall’interno, connota gli enti di natura. Solo a questo livello percettivo si ha contezza dell’essenza dinamica e psicofisica del mondo. La sensibilità ci immette nella realtà metamorfica, posta oltre l’ossificazione intransitiva delle cose, ci colloca dove sempre dovremmo soggiornare, di fronte al processo davvero significante della vita. Ma soltanto nel terzo stadio dell’esistenza, paradossalmente rappresentato dalla morte, riusciremo a vedere in estrema chiarezza ciò che quaggiù ci è dato di cogliere in modo rapsodico, di constatare eccezionalmente.

    Fechner sostiene la morte essere un cammino, momento apicale di un percorso inconcluso. In essa, la vita si dilata in un’intensità superiore a quella sperimentata prima del trapasso. La coscienza coniugata alla sensibilità, intesa in termini neoplatonici ed eckhartiani da Fechner, consente al filosofo tedesco di superare l’idea moderna di soggettività e di corrispondere ad un’esigenza particolarmente sentita in età romantica. I romantici tentarono, infatti, di individuare i tratti salienti di una personalità sintonica nei confronti del cosmo: una personalità plurima, dinamica e pensarono di averla rintracciata nelgenio. Questi sa: “…attraversare e prefigurare più mondi intessuti tra loro: l’opera d’arte sarebbe la traccia esplicita di tale tessitura” (p. 97). L’artista di vaglia è capace di tanto, perché si rapporta alla complessità del “sentire vivente” in tutte le sue forme, istituisce un rapporto simpatetico con esse. Nel panpsichismo cosmico fechneriano tutto è interconnesso e pertanto nulla di noi va perduto: “…quel che noi pensiamo o sentiamo…resta intrecciato nel tessuto dell’esistenza individuale e della terra nel suo complesso dinamico, secondo modalità…che comprenderemo invece nell’aldilà” (p. 98). Più nello specifico, nell’attimo della morte: “…l’uomo raggiunge di colpo la consapevolezza di tutto quel che…continua ad agire e a vivere” (p. 99), rilevando la forza che lega, in solidarietà comunitaria, i vivi ai trapassati. Questi possono, come antiche tradizioni testimoniano, in primis quella romana, “sentirsi” e “incontrarsi” attorno al mundus.

   Lungo il cammino della morte, la comunità dei defunti cresce come immenso, interminato albero della vita che collega le radici terrene alle infiorescenze divine, anelanti la luce e l’azzurro del cielo. Non è casuale che, in altro testo, Nanna o l’anima delle piante  (Adelphi, 2008), pubblicato per la prima volta nel 1848, mentre l’Europa, politicamente e spiritualmente, sprofondava nell’anno dei portenti rivoluzionari, Fechner rivendicasse orgogliosamente l’anima al mondo arboreo. Per di più nello stesso senso in cui, qualche decennio più tardi, August Strindberg, nel suo Inferno, presentò al lettore il valore esoterico della vita vegetale, simbolo del raggiungimento di una condizione superiore a quella umana. L’albero è puro sentire: “…sentire arabescato, forza espansiva ingiustificata e senza desiderio di fondamento, sentimento che come edera si attorciglia alle rovine della cultura”, ci ricorda con persuasività d’accenti Giampiero Moretti (p. 131). L’albero testimonia la possibilità dell’impossibile, la coappartenza di essere e nulla, di vita e morte, eterno ritornare del simile segnato dalla potenza dionisiaca.

     L’albero è sintesi degli elementi, in quanto avvinghiato con le radici alla madre terra, nutrito dall’acqua originaria, anela l’aria e la luce del cielo, e con il suo tornare, infine, al fuoco, è simbolo della relazione con il tutto, paradigma di bellezza nel quale l’eternità balugina nel tempo. L’esemplarità arborea di cui Fechner è stato insigne latore, chiede oggi di venir nuovamente rappresentata in un dire e in fare il cui tratto, per forza di cose, non può che essere connotato che in termini di assolutezza. L’apparente impoliticità dei testi fechneriani è semplicemente maschera che, come sosteneva Nietzsche, ha lo scopo di celare al profano il profondodella dottrina. Infatti, Il libretto della vita dopo la morte : “…assume i contorni di un appello all’umanità” (p. 93),   un’umanità che ha ormai obliato il senso vero della vita, della natura, della morte. Niente di più “politico” può essere presentato al lettore dei nostri giorni.

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