Lo schema manicheo del bene e del male

Quel maledetto uccellaccio di nome Bip Bip

cattivi vanno di moda, i buoni ci procurano solo sbadigli infiniti

di Il Melo

Quel maledetto uccellaccio di nome Bip Bip

Dicono gli psicologi che ai bambini piace si ripetano loro gli stessi racconti, fiabe o storielle che siano, più di una volta al giorno, esattamente nello stesso ordine e con lo stesso finale.

Mai che si annoino. Ancora non sono inquinati da quel gene dell’innovazione che tanto colpisce gli adulti.

Per detto motivo, appena finiscono di vedere il CD tanto amato chissà, forse, per la quinta volta consecutiva, e per la disperazione dei genitori, intonano di nuovo il tamburellante e temuto ritornello: “Un'altra volta! Un'altra volta!”.

Storie seriali nelle quali il buono trionfa sempre, il cattivo e brutto perde ed il finale del tutti vissero felici e contenti si ripete all’infinito, mentre gli spettatori applaudono contenti.

Ma arriva il giorno in cui il bambino si stanca e vuole ... qualcos'altro. 

A me accadde, verso i nove anni, con alcuni vecchi cartoni animati della Warner Bros.

Quelli, per intenderci, ove il maledetto uccellaccio corridore Bip Bip umiliava sadicamente, ogni santa volta, il povero Vil Coyote.

Quest’ultimo, in una specie di mito di Sisifo postmoderno, tormenta inutilmente il suo acerrimo nemico, giorno dopo giorno, adornato con ogni tipo di gadget dell’azienda immaginaria Acme, per finire inevitabilmente risucchiato in un abisso, “dinamitato” selvaggiamente, schiacciato da una roccia gigantesca o... le tre sventurate cose contemporaneamente.

Cosicché, inaspettatamente, arrivò un giorno che la mia mente infantile, dopo aver contemplato tanti fallimenti ed ingiustizie, simpatizzò con quello smunto coyote e cominciò a sentire un disprezzo infinito per l’uccellaccio sino ad allora ritenuto “il buono” del cartone e diventato improvvisamente prepotente, presuntuoso, un roadrunner  della malora. Il cattivo, in fondo, aveva le sue ragioni per esserlo.

Mi bastò, semplicemente, mettermi nella sua pelle per comprenderlo. Perché non riusciva mai ad imporsi sull’uccellaccio, fosse solo per una volta nella vita?

Per fortuna, cinema e letteratura da tempo stanno ritornando con mente dubitativa sul tradizionale schema manicheo bene-male e già le cose non sembrano essere più così tanto chiare.

Come in un bicchiere di acqua cristallina, gli sceneggiatori hanno cominciato a versare gocce d’inchiostro nero nelle anime dei protagonisti, intorbidando alcune trame che, benché ancora possano bersi, non risultano oramai tanto asettiche da inghiottire.

Da quando abbiamo iniziato a seguire i passi di Tony Soprano, già 15 anni fa, ci siamo abituati a vedere, ogni volta con più frequenza, un nuovo tipo di (anti)eroe. Personaggi oscuri, strapieni di vizi e debolezze, “umani, troppo umani” -direbbe Nietzsche- che ingannano, tradiscono e delinquono; e che, tuttavia, si accattivano la nostra comprensione e simpatia.

Il caso più recente è quello della serie “Breaking Bad ”, vincitrice assoluta degli ultimi premi Emmy, e quello del suo protagonista, Walter White, (o dovremmo chiamarlo Bryan Cranston?), che letteralmente lascia rompersi dall’interno il suo lato più malconcio per farlo riaffiorare in superficie, arricchendo una storia che ci fa capire un po’ del significato della vita.

I cattivi vanno di moda, i buoni ci procurano solo sbadigli infiniti.

Fino a quando ho scoperto con gioia che in YouTube qualcuno ha inserito un capitolo apocrifo nel quale finalmente Vil Coyoteacchiappa Bip Bip, prendendosi la meritata rivincita.

E cos’altro posso aggiungere se non che, vedendolo così soddisfatto, ho ancora ben più capito che il maledetto uccellaccio se l’era ampiamente meritata quella fine.  

 

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