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Guareschi vignettista

Abile con la matita come con la penna, lo scrittore di successo più odiato dai critici

Non vogliono concedergli la patente di scrittore solo perché ha il successo che loro non hanno dicendo le cose che loro non vogliono dire

di Piccolo da Chioggia

Abile con la matita come con la penna, lo scrittore di successo più odiato dai critici

Ho letto una raccolta di scritti sull’opera di Guareschi. Di questi scritti la massima parte erano demolitori e davvero pochissimi erano quelli che palesavano una sincera ammirazione. Ha giocato, in tutta chiarità, un ruolo in ciò la dura presa di posizione politica dell’Autore della Bassa. La cosa gaia è che gli Autori che scrivono in sua difesa, posto che ve ne sia poi necessità dato il valore della sua opera, sono scrittori che hanno una effettiva autonomia creativa in quanto tali. Per i demolitori risulta impossibile non ricordare quel passo sibillino dal diario germanico di Ernst Jünger, dove si legge come il fato modelli a sé gli elementi idonei a certe funzioni. E infatti nel demolire l’opera del vignettista e novelliere geniale questi ultimi usano un arte che è quella quasi altrettanto geniale di chi leviga a lucido e lima alla precisione i mattoncini che vanno ad elevare il monumento friabile alla propria memoria di Carneade senza nome. Strano e curioso è il vedere come il fato che crea questi elementi si astenga assolutamente dall’avvisarli di tenere una qualche misura. Pare quasi li apparecchi al compito prefisso come dei pupazzi mossi da un congegno a molla, ostinati nel ripetere il movimento meccanico fino all’esaurirsi della carica. Inutile procedere oltre, solo si deve prendere atto che nel dirigere i fatti del mondo traspare spesso una volontà dotata d’un inossidabile e fine senso dello spettacolo carnevalesco.

Qui non posso altro che comporre alcuni frammenti di ammirazione per l’Autore della Bassa e cambio punto prospettico. Alla lettura dei suoi racconti, la serie selvatica del Boscaccio o quelli di Mondo Piccolo o le novelle minime dal Bertoldo associo lo studio delle sue fantastiche vignette. Premetto una definizione più adeguata di “vignetta” al lume del “Die Welt als Wille und Vorstellung”, il capolavoro di Arthur Schopenhauer. La vignetta è un disegno o uno schizzo, al limite pure uno scarabocchio, il valore del quale non è da cercarsi tanto nell’arte di figurare quanto nella fedeltà ad evocare per immagini una verità poetica. E qui mi arresto perché se si riflette su tale aspetto ci si accorge di quanto vasto si possa aprire il panorama. Si è scritto con effettiva ragione di come l’Autore, anagrammato in prenome e nome nel grazioso “Chi sogna nuovi gerani”, con trecento parole sia stato in grado di creare un mondo. Un mondo che, è necessario aggiungere, si apre verso l’Alto. 

La stessa constatazione si transita alle vignette. Esse pure, con pochi rudimentali segni, creano un mondo del tutto coerente a quello creato dalle trecento parole. Mi limito ora ad elencare alcuni punti costanti e nodali del disegno guareschiano e il lettore ha quindi tutto l’agio che desidera nel procedere oltre nello studio delle bellissime vignette e per conto proprio scoprirne l’inesauribile fantasia espressiva. Primo: in quelle più ampie vi è la tensione vigorosa al dare profondità al quadretto situando assai lontano prospetticamente gli ultimi termini. La linea della pianura solcata ai primi piani da filari di alberi in fuga verso il fondo, al perdersi d’occhio si compie nel confinare con il cielo. Quest’ultimo è sempre precisamente e delicatamente adombrato da qualche filo di nubi. Ecco evocata per immagine con arte fine e quasi impercettibile l’apertura verso ciò che è spirituale di ogni avventura. Secondo: la bella abilità nel tratteggiare con un segno ridotto all’estremo arredi ed architetture. Scenografie perfette in miniatura dell’avventura raccontata dal testo. Senso davvero raffinato delle collocazioni spaziali ove nulla è di troppo e nulla è assente per descrivere una campagna, un paesello, un isolato casolare con cancellata in rovina e alberi d’un malinconico e introverso autunno. E qui mi arresto.

Ho posto dunque un limite che immagino creatore al mio ridotto studio dell’arte di poesia per immagini di Guareschi. È pure al suo esempio che infatti mi sono rivolto per i miei scarabocchi lagunari. Se non lo avessi avuto, corroborato da quelle noticine gustosissime da lui composte sul Bertoldo dei tardi anni 30 con i trucchi i consigli e i concorsi a premi per farsi disegnatori autodidatti di vignette, non credo potevo arrivare a lanciarmi nella mia individuale costruzione poetica di immagini d’un piccolo mondo russo approdato per le tempeste del Fato nella quieta laguna al riparo benevolo e severo dei picchi dolomitici. 

Poscritto 

Leggevo tempo addietro una lettera di Carlotta e Alberto, i figli di Guareschi, nella quale essi rispondevano ad un ammiratore del padre che domandava loro chi avesse acquerellato una sua vignetta davvero suggestiva. Questa, apparsa sul Bertoldo o sul Candido, rappresenta un panorama della pianura padana. In essa un albero, forse un rovere, è in primo piano e sullo sfondo sono una località con case, campanile e casolare con la teza, riconoscibile dalle due ampie arcate. Un covone, dei cipressi, un campo con le piante che già albergano delle grosse pannocchie completano il quadretto. Dei tratti decisi adombrano prepotentemente il cielo, elemento basilare della composizione. Un esempio ben riuscito della chiarità descrittiva degli schizzi o degli scarabocchi guareschiani. Al quesito dunque rispondevano i figli d’esser stati loro ad acquerellare la vignetta paterna. E malamente, aggiungevano con laconica brevità. Non mi associo in questa stroncatura. La vignetta è illuminata egregiamente dai colori e non perde nulla quanto a vigore descrittivo. Essa acquista piuttosto un tratto ulteriore di ingenuità. Dato che la tecnica usata è intuibile: si è fatto un ricalco o una copia della tavola originale e la si è acquerellata, nulla impedisce che siano possibili altre prove come di colore, come avveniva sui clichées delle fotografie in bianco e nero o sulle litografie di un tempo, dando ad esempio i toni grigi e oscuri d’un dì tempestoso o quelli malinconici del vespero che arriva e lentamente distende il suo manto d’ombra sulla campagna sotto il brillare delle prime stelle.



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