Editoriale

Se il museo viene ignorato. Nessuno stupore, il culto del bello è finito con gli ultimi grandi del 900

Le meravigliose sale con la collezione di cultura asiatica di Giuseppe Tucci sono passate nel silenzio dei media o peggio in un rumoroso chiacchiericcio

Riccardo Rosati

di Riccardo Rosati

ue cose riempiono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione, quanto più spesso e accuratamente la riflessione se ne occupa: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.” Così Immanuel Kant spiegò come nasce il Bello, ovvero non nella opera d'arte, bensì nella purezza morale di chi la crea; e oggi, in una epoca dove regnano immoralità e vigliaccheria, è naturale che non ci siano più grandissimi artisti e scrittori, poiché mancano gli Uomini!

Lo scorso 22 luglio siamo stati invitati, in qualità di museologi e orientalisti, alla inaugurazione della nuove sale del Museo Nazionale d'Arte Orientale “Giuseppe Tucci” di Roma, conosciuto anche nell'ambiente con la sigla MNAO. L'occasione era la presentazione della donazione della vedova dello stesso Tucci: un titano degli studi asiatici, da molti ritenuto a buon ragione il più grande del Novecento. Quello a cui abbiamo assistito non è stato affatto sorprendente, ma è utile parlarne, così da testimoniare lo stato di degrado della cultura in Italia.

Una conferenza di presentazione inutile ci ha spinto a vagabondare per il Museo, meraviglioso, il primo d’Occidente nel suo genere, ma non si sa, perché non lo si conosce e, specialmente, perché ha un autentico tesoro sepolto nei depositi, quasi una prassi in Italia. Il Museo da anni riallestisce sale con collezioni sempre nuove, una meraviglia che è l’epitome del dramma italiano: quello di un popolo in buona sostanza ostile verso la propria Bellezza, indottrinato per decenni da legioni di burocrati assetati di potere, i quali utilizzano la cultura per i propri fini e non certo per quella “sciocchezza” che è il bene comune.

Andiamo per gradi: “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, spesso è vero. Purtuttavia, la signora Tucci, fotografa sconosciuta, ha avuto il solo grande merito di lasciare la collezione di famiglia (2000 pezzi!) al Museo. Un dovere alla fine, visto che questo luogo porta il nome del marito. La signora si firmava (è morta) col doppio cognome: Bonardi Tucci. Ovvio, la mentalità radical che domina anche gli studi asiatici nostrani prevede ciò, fa parte della loro “divisa”, insieme ai vestiti equosolidali e le collane di perle. Persino chiamarsi Tucci non basta più oggi. Lodevole la clausola testamentaria di impedire che gli oggetti lascino il Museo per delle mostre, poiché, citiamo: “nessuna assicurazione può rimborsare la perdita di una opera d’arte”.

Non ci vuole un genio per capire che è farina del sacco del marito: i fotografi hanno quasi una idiosincrasia per il collezionismo, la unica cosa che accumulano sono le proprie foto. Inoltre, la preziosità delle opere donate è chiaramente una testimonianza che dietro questa raccolta si trova la sterminata preparazione del professor Tucci. Fatto sta che i relatori e funzionari presenti hanno lodato la vedova, più del marito. Sentito questo, ovvero abbastanza, ci siamo alzati e abbiamo fatto l'unica cosa sensata: visitare il Museo in santa pace, comprese le quattro nuove sale inaugurate in quella occasione.

Certo, non possiamo definirlo un ampliamento del percorso espositivo, visto che una collezione deve puntualmente andare nei depositi, per fare spazio a una altra; collezioni infinite quelle di questo museo, che vanta la dicitura “nazionale” e che si trova da sempre in affitto a Palazzo Brancaccio. Come se ha Roma manchino dei luoghi più adatti dove trasferirlo: basterebbe spostare uno dei tanti inutili uffici pubblici. Ma non c'è la volontà di farlo, poiché mancano gli Uomini.

Le riforme proposte da Dario Franceschini per il Ministero dei Beni Culturali sono assolutamente inutili, in un paese corrotto sino al midollo e indifferente alla propria storia. Tutto ciò è stato puntualmente dimostrato anche durante questa inaugurazione, dove abbiamo incontrato una platea di incravattati, tra i quali un signore della Banca d’Italia di nostra conoscenza che è nel giro del FAI. Costui chiacchierava amabilmente con dei curatori non esattamente eccellenti , in possesso di una preparazione essenzialmente mnemonica; gente che una cosa sola fa nella vita da trenta anni e non riesce a eccellere, beh forse un problemino ce l’hanno. Salamelecchi ovunque, ma del Museo non importava niente a nessuno! Ed ecco perché si crede, nella totale ignoranza che caratterizza la sinistra di oggi, che l’Italia abbia solo Roma e Raffaello. Due intellettuali veri avevano, Calvino e Pasolini, ed entrambi si sono chiamati fuori tanti anni fa, non volendo sapere più nulla del Partito.

Resta comunque il fatto che questo mega-museo ha una sede ridicola per la sua importanza, come del resto avviene per quelli di Genova e Venezia, altre due raccolte orientali di livello mondiale. Il dato interessante è stato anche vedere il “bestiario umano” della sinistra convenuto nelle splendide sale di Palazzo Brancaccio: voluto da Mary Elizabeth Bradhurst Field, facoltosa dama dell’alta società newyorkese e moglie del principe di origine napoletana Salvatore Brancaccio. Ella acquistò nel 1879 dal Comune il terreno dove ora sorge l'imponente edificio, affidandone il progetto a Gaetano Koch, un architetto celebre all'epoca della Roma Umbertina. Questo palazzo è considerato l'ultimo di costruzione “nobiliare” eretto nella Città Eterna.

Dicevamo del “bestiario umano” della sinistra, il quale si riassume bene nell'episodio che andiamo ora brevemente a raccontare. Uno dei tanti colletti bianchi presenti all'inaugurazione, di quelli prestati alla cultura – probabilmente nel giro di Civita o Zètema, che spadroneggiano ormai a Roma – parlava al cellulare ad alta voce. Riportiamo la telefonata: “Non ci puoi credere, ci sono cose che hanno più di 2000 anni”. Beh, deve essere stata una folgorazione constatare che le culture asiatiche non siano nate nel 1990, ma alcuni si meravigliano di ciò. Questa è l’Italia e il disastro umano del nostro popolo, il quale non merita nemmeno un sussulto di affetto, né di rispetto.

Purtroppo, la drammatica condizione di questo straordinario museo non finisce qui, giacché la mancanza di competenza e passione fa più danni delle penuria di fondi. Il giorno dopo, sul profilo ufficiale Facebook del MNAO compariva un articolo di una giornalista de La Repubblica.it, nel quale si raccontava l'evento. La unica informazione sulla donazione era rappresentata da uno sfacciato “copia e incolla” dal comunicato stampa che era stato allegato all'invito. L'autrice, invece di parlare dell'Oriente a Roma, si è concentrata su alcune riflessioni, a dire il vero alquanto banali, su Carlo Emilio Gadda e via Merulana. Noi eravamo presenti quando l'ex-direttrice del Museo (Donatella Mazzeo) spiegava che i tappeti cinesi donati erano i primi che entravano a far parte delle raccolte, sarebbe stato utile dirlo, ma per far ciò serve competenza e si sa che “capacità” è una parola odiata in Italia.

Invece di cestinare una articolo di tanta inutilità, l'Ufficio Stampa del Museo ha pensato bene di pubblicizzarlo. Per tale motivo, è assolutamente vano lamentarsi, quando gli addetti ai lavori apprezzano gli incompetenti, forse perché si sentono tra eguali? La giornalista avrebbe potuto almeno documentarsi un minimo, così da far conoscere questo luogo straordinario e sempre vuoto; dire, ad esempio, che qui si possono trovare tutte le arti d'Asia, con le più importanti raccolte gandhariche e himalayane in Occidente. Magari questo avrebbe incuriosito qualche romano a visitare il Museo, invece di parlare a sproposito de Quer pasticciaccio di Gadda; un capolavoro letterario, sia chiaro, ma che centra col MNAO? È dunque troppo pretendere che si chiedano tali articoli agli addetti ai lavori, anche se scrivono per il Gazzettino di Prati? Ovvio che non si può fare, perché è il Potere che conta. Ragion per cui, una incompetente che scrive per La Repubblica va sempre ascoltata, anche se afferma delle palesi sciocchezze. Stiamo davvero scavando nel baratro.

Tirando delle tristi somme, dobbiamo ricordare che il concetto cardine della museologia sana e non terzomondista e malata del contemporaneo, quello dal quale tutto parte, è il conoscere la collezione permanente. Solo conoscendo, sì può difendere. Gli italiani ignorano il loro Patrimonio, museale, ambientale, architettonico e culturale. Ciò va denunciato da tutti noi, sempre, poiché ognuno si dovrebbe sentire un guardiano della ricchezza del più importante paese al mondo, che è l'Italia. Il destino di quella che ormai ci viene impedito di chiamare Patria è però purtroppo segnato, giacché mancano uomini capaci di svolgere il proprio dovere, badate bene, non lavoro, ma dovere.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da hans wald il 02/08/2014 09:37:17

    Sono pienamente d'accordo. Però, quando si muovono critiche così puntuali e fondate, bisogna essere "perfetti"; e non si può cadere in un " Come se ha Roma manchino dei luoghi più adatti dove trasferirlo". HA Roma! Anche se mero refuso (spero!) non avrebbe dovuto esserci.

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