Editoriale

Uno studente talentuoso e l’orgoglio di un professore

Un saggio sui maestri del giovane Michelangelo

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

he cosa è l’insegnamento? Fondamentalmente un passaggio di consegne, la trasmissione di un patrimonio prezioso. Difficilmente oggi nelle scuole e nelle università italiani ci si accorge di questo, da parte di docenti e discenti. Ma quando accade, quando si crea quella sintonia speciale e particolare tra maestro e allievi, allora è un miracolo che avviene: è la civiltà che si perpetua.

Questo lo avevano capito bene già nelle Universitates medievali e nelle Accademie umanistico – rinascimentali. E non per nulla, da queste venerande istituzioni, per molti aspetti assai più feconde e vitali di quelle che oggi ne ripetono stancamente il nome, sono usciti talenti straordinari, alcuni tra i più grandi geni dell’Umanità. Ad esempio, Michelangelo Buonarroti.

A Firenze la Fondazione Casa Buonarroti, che si trova nel “palazzo di Famiglia” di cui Michelangelo pose i presupposti ma non vide mai realizzato (risale all’incirca al 1590 ed è dovuto soprattutto al “secondo” Michelangelo Buonarroti, detto il Giovane, vissuto dal 1568 al 1647) e che contiene oggi nel suo splendido museo alcuni tra i capolavori giovanili del grande artista fiorentino ( come la Centauromachia e la Madonna della Scala, insieme a una collezione di disegni) organizza un concorso, giunto quest’anno alla sua seconda edizione, rivolto agli studenti delle scuole superiori. L’oggetto è naturalmente la vita e l’opera del sommo artista fiorentino e si articola in vari ambiti: letterario, artistico e persino musicale. Molto suggestivo il tema di quest’anno: Michelangelo giovane nel Giardino di San Marco. La fecondità di una scuola: quale il segreto, allora e oggi?

Il primo premio della sezione letteraria è stato, all’unanimità, assegnato a Niccolò Andreotti, giovanissimo collaboratore (dall’alto dei suoi diciotto anni!) di Totalità.it . Lo scritto di questo giovane, oltre a essere straordinario per la disinvolta capacità con cui passa dal registro saggistico a quello narrativo, per la disinvoltura e verrebbe quasi da dire la grazia con cui si muove tra una materia tutt’altro che facile, la “professionalità” con cui si orienta tra le fonti  (una bibliografia di dieci titoli, da fonti antiche a  quelli più recenti, sarebbe già rispettabilissima per un autore ben più “navigato”) lo è per un'altra ragione: ed è il modo in cui è riuscito a cogliere e a ricreare lo spirito di quel periodo, i rapporti e i legami tra Lorenzo il Magnifico e la sua cerchia. C’è in questo saggio – racconto non certo la scolastica pedanteria di chi vuol far vedere quanto è bravo, ma l’autentica passione di chi vuole risalire alle radici dell’humanitas e farla propria. E ci riesce benissimo, donando a chi  legge l’emozione di una scoperta,  riuscendo veramente a “scolpire” le immagini con le parole. Lo stesso Michelangelo, notoriamente burbero e incontentabile, avrebbe probabilmente “gradito”.

Leggere per credere. Alla lettura pubblica del testo, venerdì 30 maggio in occasione della premiazione, più di una persona lo ha trovato “commovente”. Non certo perché patetico (tutt’altro) ma per quello che riesce a trasmettere. E per la consapevolezza che finché ci saranno giovani di questo calibro, non tutto per la nostra civiltà potrà dirsi perduto.  Chissà che un domani anche di Niccolò Andreotti, come per Michelangelo, non si ricordino –almeno in una nota a margine – i suoi “maestri” …

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