E’ in tutto, in ogni battito di cuore, in ogni respiro

Maurizio de Giovanni, Febbre in Giochi criminali, Torino: Einaudi, 2014, pp.184. Euro 16,50

Autore eclettico dalla grande capacità affabulatoria, de Giovanni spazia con disinvoltura dal romanzo di genere al racconto umoristico, al testo teatrale, alla scrittura giornalistica...

di Annamaria Torroncelli

Maurizio de Giovanni, Febbre in Giochi criminali, Torino: Einaudi, 2014, pp.184. Euro 16,50

La copertina del libro

E se vi prende questa febbre, commissa’, non c’è più niente da fare. Non potete fare a meno di comportarvi in questo modo, non c’è via di fuga.

E’ in tutto, in ogni battito di cuore, in ogni respiro. Nelle cose, nell’aria, in tutto.

Non vi potete allontanare, la mente va sempre là. Non potete pensare di vivere un solo minuto, senza quell’ossessione.

Una febbre, commissa’. Una maledetta febbre. Una febbre che vi porta alla rovina, e voi lo sapete ma non vi potete fermare.

Per questo non potevo fare altro, lo capite?

Per questo l’ho ucciso.

Gaspare ‘o cecato, uno dei più famosi assistiti di Napoli, è stato ucciso nel cuore dei quartieri spagnoli, e tocca a Luigi Alfredo Ricciardi, commissario della Regia Questura indagare sull’omicidio. Dopo un anno di silenzio letterario, ritroviamo il tenebroso commissario dagli occhi verdi, nato dalla fervida penna di Maurizio de Giovanni, alle prese con una nuova avventura nelle morbide atmosfere della città partenopea degli anni ’30.

Il gioco del lotto è una febbre rovinosa, una follia che non conosce barriere sociali, che attanaglia una città intera dal lunedì al sabato tra biglietti colorati e fantasmi di ricchezza.

Una follia che si consuma nell’angusto locale di un banco lotto nel frenetico passaggio di voci, scommesse e denaro tra giocatore e postiere  con la speranza reciproca di  azzeccare il terno giusto.  

Gaspare è un assistito, ovvero un uomo che comunica con le anime del Purgatorio e che, grazie alle sue capacità interpretative, cerca di tradurre le visioni oniriche in numeri da giocare. Gaspare vive così, regala interpretazioni e numeri in cambio di briciole di carità e affetto. È un uomo buono, eppure è stato ucciso. Perché? E da chi?

È lo stesso Ricciardi che ci rende partecipi delle sue indagini, consentendoci di guardare attraverso i suoi occhi, di pensare con la sua mente. Per la prima volta siamo dentro di lui, nei suoi pensieri e nelle sue emozioni.

Questo rovesciamento della prospettiva narrativa, il racconto in prima persona, addolcisce e arrotonda i contorni di un personaggio spigoloso, sfuggente, talvolta algido. Vedere le cose da un’altra angolazione, è la riprova che nella vita spesso, molto spesso, nulla è come appare. E che altrettanto spesso all’origine della violenza ci sono per lo più passioni suppurate frutto dell’amore, della gelosia, della fame, ma anche della menzogna. Quella raccontata a se stessi e agli altri.


Lo sa bene Ricciardi, per esperienza professionale e per il Fatto, la straordinaria sua capacità di percepire le parole pronunciate negli ultimi istanti di vita delle vittime di morte violenta. La sua vita è avvelenata dall’angoscia di immagini di corpi straziati e dal suono lugubre degli spasimi del trapasso.

Ecco come lui stesso descrive la sua condanna:

E’ una sensazione difficile da raccontare. Comincia come una specie di elettricità, la pelle prima della mente recepisce una corrente, come un brivido sottile che fa rizzare i peli; poi un dolore sordo, che si irradia dalla nuca e rimane latente nella testa per qualche minuto. E dopo esplode la visione, ferma in piedi, con la stessa forma del cadavere quando è stato colpito, a fissare l’ultimo attimo e a esprimere l’ultimo pensiero: poche, oscure e inutili parole, che non aiutano mai l’indagine. Come guardare un panorama: non serve a procurarsi da mangiare.

Lo stile di de Giovanni si conferma di una linearità che non indulge a preziosismi  linguistici per accattivare il lettore, e l’intreccio narrativo, anche nel taglio breve del racconto, è seducente per ricchezza di personaggi e descrizioni d’ambiente; Napoli e il suo humus si mescolano agli accadimenti e  contrappuntano i sentimenti di un’umanità dolente.

Autore eclettico dalla grande capacità affabulatoria, de Giovanni spazia con disinvoltura dal romanzo di genere al racconto umoristico, al testo teatrale, alla scrittura giornalistica, ma trova, senza dubbio, nelle storie della saga ricciardiana, uno dei suoi registri migliori. E questo racconto ne è la prova: una conferma per gli appassionati, una scommessa vincente per chi ancora non ne conosce la scrittura. Un percorso di raccordo verso il nuovo romanzo.

Da leggere, quindi. Senz’altro. Con un unico avvertimento, però.

Quaranta pagine finiscono in un soffio, troppo poche per una storia così ricca, con dignità di romanzo e la delusione di essere già arrivati all’ultima pagina potrebbe essere in agguato.

Ma, di certo, per l’Autore non ci potrebbe essere complimento  migliore, di una delusione così.

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