Le parole della politica

Churchill: discorsi roboanti, con registri diversi. Hitler: l'invettiva e il potere della menzogna

Entrambi, prima di parlare in pubblico si sottoponevano a lunghe e minuziose prove davanti allo specchio

di Ivan Buttignon

Churchill: discorsi roboanti, con registri diversi. Hitler: l'invettiva e il potere della menzogna

In tempi bellici, essere leader significa essere al contempo parte del proprio pubblico ed esserne superiori. Si deve sottolineare l’identità, intesa come comunanza degli interessi altrui con i propri, creare un senso di unità intorno a un proposito comune. Si deve, nello stesso tempo, ergersi a esemplare ideale di quello che c’è di migliore, di più determinato e di più coraggioso. Ecco allora due esempi eclatanti in questo senso: Winston Churchill e Adolf Hitler.

Fra il 1900 e il 1955 Churchill ha tenuto una media di un discorso a settimana. Coniò espressioni come “sangue, fatica, lacrime e sudore”, “la loro ora più bella”, “i pochi”, “la fine del principio”, “business as usual”, “la cortina di ferro”, “summit politico”, “coesistenza pacifica”.

Per formarsi come oratore, imparò a memoria i discorsi di Disraeli, Gladstone, Cromwell, Burke e Pitt, e combinò il loro esempio con il dono per l’invettiva di suo padre Randolph. Era maestro nel cambio di registro improvviso, attraverso una barzelletta o una confidenza inattesa. Churchill riuscì a parlare, come nessun altro prima di lui fu capace, direttamente al pubblico attraverso la radio. Come scrisse Leith: “Dopo aver pronunciato molti dei suoi principali discorsi alla Camera, Churchill li leggeva alla radio e quello stile presidenziale (asprezza, paternalismo, climax roboanti) fu in grado di esprimersi pienamente, senza essere interrotto dal fruscio degli ordini del giorno e dai fischi dei parlamentari d’opposizione. Era pura voce”[1].

Hitler, nei contesti privati, faceva fatica a rivolgersi a due persone in una stanza. Per contro, considerava la cosa più facile del mondo apparire di fronte a diecimila persone per un raduno.

Considerava magica la funzione della parola. Già ai tempi della stesura del Mein Kampf (1923) lo pensava e lo scriveva: “Il potere che ha sempre innescato le più grandi valanghe religiose e politiche nel corso della storia non è stato, da tempo immemore, che il magico potere della parola, e solo quello. In particolare le ampie masse possono essere mosse solo dal potere del discorso”[2].

Nei suoi discorsi dominava l’invettiva. La differenza con Churchill, è che se questi rombava, con tono confidenziale e pizzichi di humor, Hitler gridava.

Quando parlava in pubblico sapeva di mentire. In privato confessava agli amici che se sai mentire, il lavoro è fatto.

Altra convergenza con Churchill era la sua costante verifica di fronte allo specchio. La cura maniacale delle pose e della calibrazione della voce rasentavano l’ossessione. Per di più, si informava sull’acustica della location che l’avrebbe ospitato. E a proposito di location, imprescindibili erano per Hitler gli addobbi: bandiere, vessilli, simboli, insegne, illuminazioni spettacolari, musica marziale, assembramenti militari e coreografie come saluti, marce eccetera.

Il dittatore tedesco era un genio dell’uso retorico del silenzio e costruiva l’invettiva gradualmente, portando il pubblico a seguirlo. Preferiva parlare di sera. Questione di energie, diceva lui[3]. Pareva avesse un interruttore per comandare gli attacchi isterici a piacimento.

Ecco un suo discorso alla Siemens a Berlino nel 1933: “Compatrioti tedeschi, miei lavoratori tedeschi, se oggi sto parlando a voi e a milioni di altri lavoratori tedeschi, ho diritto di farlo più di ogni altro. Una volta ero uno di voi. Per quattro anni e mezzo di guerra sono stato fra voi. E, attraverso la diligenza, l'apprendimento, e - devo dirlo - la fame, lentamente mi sono fatto strada. Ma dentro di me nel profondo, sono sempre rimasto ciò che ero stato un tempo. [...] Dovrebbero capire che quello che sto dicendo non è il discorso di un cancelliere, ma che il popolo intero lo sostiene come fosse un solo essere, ciascun uomo, ciascuna donna. Quello che è unito insieme ossi è il popolo tedesco stesso […]. Potete vedermi come l'uomo che non appartiene a nessuna classe, a nessuna casta, che è al di sopra di tutto ciò. Non ho altro legame che quello con il popolo tedesco[4]”.

Hitler si esprime tra il paterno e il fraterno. Ha combattuto accanto a loro, ha sofferto accanto a loro e ora è lì come leader e protettore.

Uno di fronte all’altro, Churchill e Hitler si combattevano con le armi dei loro eserciti e con il potere delle loro parole.



[1]S. Leith, Fare colpo con le parole. Trattato spregiudicato di retorica da Aristotele a Obama, Ponte alle Grazie (Adriano Salani Editore), Milano, 2013, p. 179.

[2]A. Hitler, Mein Kampf, XII. edizione, Milano, Bompiani [15 marzo 1934], 12 settembre 1940, p. 6.

[3]Ivi.

[4] A. Roberts, Hitler and Churchill Secrets of Leadership Andrew Roberts London, Weidenfeld & Nicolson, 2003., pp. 28-31.

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