Matilde e Camilla

Madre e figlia durante un viaggio in Sudafrica

Un breve racconto sul mondo, prima che si capovolga

di Camilla Conti

Madre e figlia durante un viaggio in Sudafrica

Matilde, due anni e due mesi, in Sudafrica ha visto i leoni, le zebre, gli elefanti, le giraffe. Ma anche le onde dei due oceani che si incontrano sotto il Capo, davanti ai pinguini e al polo. Che più a sud non si può. Un viaggio di dieci giorni lungo la parte più estrema del Continente, con un breve passaggio dalla capitale che porta ancora le ferite dell’Apartheid. Dove i lavori sporchi hanno solo la pelle nera. E poi il parco del Pilanesberg, con l’ingorgo dei safari fai da te in mezzo alla terra rossa e all’elefante confuso dai clacson e dallo smog come fosse il raccordo anulare nell’ora di punta. Sulla rotta del vino, per le strade di Stellenbosch abbandonata dagli universitari per le vacanze di Natale. Dove sembra di stare in Svizzera anche se poi vai a vedere i ghepardi nella riserva. Matilde a Cape Town, scapigliata dal vento che spazza il mare sale su una giostra colorata e guarda le spiagge di un Paese estremo con la Buona Speranza nel cuore.

Camilla,  trentanove anni, partendo per il Sudafrica il 23 dicembre alle nove di mattina ha visto un aeroporto di Firenze drammaticamente deserto con poca voglia di festeggiare e un aereo diretto a Parigi, Charles de Gaulle, praticamente vuoto. Non ha sentito parlare fiorentino all’estero. Ma cinese. Perché i viaggiatori oggi hanno gli occhi a mandorla e scattano un sacco di foto del mondo che scoprono solo adesso. Attenti più alle luci che agli odori, ai contanti che alle emozioni. Camilla ha incontrato una guida un po’ pazza per arrivare fino al Capo: sudafricana d’adozione ma tedesca di nascita,  in due ore di macchina le ha chiesto non di quanto sia bella Firenze ma di quanto fosse stato osceno il Bunga Bunga. Poi, bruciando due Marlboro nella striminzita smoking area dell’aeroporto di Johannesburg, la Crisi ha preso il sopravvento: Camilla scambia due parole col vicino di posacenere che è greco. E racconta di essere di ritorno dallo Zambia dove, di fronte alla mancia, un cameriere gli ha risposto che era meglio tenerseli per il suo Paese rovinato, quegli spiccioli. Per l’ultimo Sirtaki.

Balliamo sul mondo, mia piccola Matilde. Prima che si capovolga.

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