Finestra sulla storia

​I socialisti e il guado del ’47-‘48. Democratici o comunisti?

Insomma, se i democratici devono stare con i democratici e i comunisti con i comunisti, la scissione saragattiana da una parte e la costituzione del Fronte dà un significato insieme pratico e storico all’indicazione di Filppo Turati

di Ivan Buttignon

​I socialisti e il guado del ’47-‘48. Democratici o comunisti?

Filippo Turati osservava, con una punta di spregio nei confronti dei conati disfattisti di foggia massimalista, “come sarebbe bello il socialismo senza i socialisti”[1] e, ancora, “democratici con i democratici, comunisti con i comunisti”. Nel novero dei democratici troviamo, ovviamente, i socialisti riformisti, quelli che molti anni dopo, nel 1947, provocano la “scissione di Palazzo Barberini”, capeggiati da un autorevole e determinato Giuseppe Saragat.

Poco prima che il fondatore del PSLI, poi PSDI applicasse alla lettera l’indicazione turatiana, il Capo del Governo italiano Alcide De Gasperi matura l’intenzione di estromettere PCI e PSI dal Governo, cosa che farà il 13 maggio del ’47 con le sue dimissioni formali, definite da “l’Unità” un colpo di Stato[2]. Ben presto questi due partiti creano un raggruppamento unico, aperto però anche a gruppi più moderati[3]. Il 7 novembre il PSI propone infatti di formare un “raggruppamento di tutte le forze democratiche per la lotta della sinistra contro la destra”[4]. Inizia a prendere forma l’idea di Fronte Democratico Popolare, che il 28 dicembre viene ufficialmente costituito.

E’ proprio nel ’48 che questa neonata forza politica dovrà fare i conti con i grandi avvenimenti, nazionali e internazionali, che in tale data irrompono sulla scena della Storia. L’Europa occidentale si scontra con quella orientale; il Sud e il Nord del mondo contrastano. C’è il blocco di Berlino, il piano Marshall, l’esplosione della questione israelo-palestinese, lo scisma di Tito, il colpo di Stato in Cecoslovacchia. Le Sinistre italiane devono appunto rispondere a queste situazioni, che si aggiungono a quelle prettamente nazionali come le politiche del 18 aprile, l’elezione del Capo dello Stato e il nuovo approccio governativo, per molti aspetti liberticida, specialmente nei confronti dei militanti e dei simpatizzanti del Fronte Democratico Popolare, ostinati a ricevere ed eseguire gli ordini sovietici, oltre che a intascare moneta russa.

Insomma, se i democratici devono stare con i democratici e i comunisti con i comunisti, la scissione saragattiana da una parte e la costituzione del Fronte dà un significato insieme pratico e storico all’indicazione di Filppo Turati.

Il dibattito socialista intorno al frontismo

Il Fronte Democratico Popolare, ancorché proposto dal PSI, trova i gruppi socialisti schierati su posizioni differenti.

I dubbi e le perplessità sulla scelta della formula socialcomunista emergono già nelle assemblee precongressuali del PSI. Lo stesso Segretario del Partito, Lelio Basso, e alcuni compagni a lui vicini, manifestano qualche tentennamento. D’altronde tutta la stampa, tranne i giornali socialisti, presentano il Fronte come il prodotto di una manovra dei comunisti occultati che vogliono andare al potere e instaurare una dittatura stalinista.

Il 26° Congresso del PSI del 17 gennaio 1948 al cinema Astoria si apre con la formula di Oreste Lizzadri “un forte Partito socialista avanguardia del Fronte popolare democratico, per la pace, la libertà, il lavoro”[5].

Ma ai vertici del PSI, gli schiettamente contrari alla formula socialcomunista sono Pertini, Calogero, Romita, Ivan Matteo Lombardi.

I sostenitori del Fronte invece guardano a una politica unitaria con i comunisti in vista di ulteriori sviluppi, ma non solo. I frontisti socialisti temono che il loro partito, depauperato della componente saragattiana, si trovi da solo ad affrontare una prova elettorale tanto impegnativa.

Così la pensano Nenni, Morandi, Casadei, Tolloy e Lizzadri che al Congresso del 17 gennaio si pronunciano schiettamente in favore del Fronte.

Nenni unisce sotto la causa frontista perplessi ed entusiasti. Dopo l’estromissione dal Governo dei socialisti e dei comunisti, l’unico modo per ribaltare la situazione è per il leader socialista l’attacco frontale, muro contro muro. I progressisti del Fronte da una parte e i “reazionari” capeggiati dalla DC dall’altra.

D’altronde, sui compiti e le funzioni che al partito si imponevano in ordine della situazione internazionale ed a quella interna per la prossima battaglia elettorale, Pietro Nenni è chiarissimo già nella sua lettera “ai compagni” del 1° gennaio del 1948: “Per la prossima battaglia elettorale dobbiamo combattere e sforzarci di vincere nello spirito del ‘fronte’. Ci sarà sempre tempo per delle affermazioni di partito, sia che ci arrida la vittoria che se fossimo malauguratamente respinti su posizioni propagandistiche. Secondo la vecchia e vera formula di cento anni fa, il PSI non ha interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme. Vince col proletariato, perde col proletariato e, se è fuori del proletariato, usurpa il nome di socialista”[6].

Nenni è il vero vincitore del Congresso con 525 mila voti favorevoli e 257 mila contrari. Basso è confermato Segretario del PSI e Ivan Matteo Lombardi, la cui mozione ottiene poche migliaia di voti, dà vita alla nuova formazione, “L’unione socialista”, e viene espulso dal Partito. Pertini rispetta il risultato filofrontista e scrive un articolo sull’Avanti invitando i compagni a lavorare per il successo elettorale del Fronte.

Nel frattempo Togliatti interviene per il saluto del PCI. Riconosce il ruolo di primo piano dei socialisti ai quali di deve la politica unitaria e fa chiaramente intendere che di questa priorità i comunisti terranno conto in caso di successo[7].

Se le divergenze intorno all’idea di Fronte gravano sul PSI prima del 18 aprile, molto peggio andrà dopo.

Conseguenze della sconfitta socialista del 18 aprile

E’ ovvio aspettarsi un dimagrimento del Partito a fronte della defezione saragattiana dell’anno prima, ma un risultato così povero come quello ottenuto il 18 aprile manda in crisi tutto il quartier generale del PSI.

Mauro Ferri, uno dei più ferventi fusionisti e che negli anni Sessanta diventa Segretario del PSI, all’indomani dei risultati negativi si reca assieme a una pattuglia di compagni a Roma, da Oreste Lizzadri per chiedere consiglio se passare o no al PCI.

Romita, da sempre contrario al Fronte, riunisce i suoi seguaci a Roma alla Villa delle Rose di via Pinciana. Una delegazione, di cui fanno parte anche Gian Carlo Matteotti, Calogero e Spinelli chiede la convocazione di un Congresso straordinario che la Direzione fissa poi per il 27 giugno a Genova[8].

Nenni, il più colpito dall’insuccesso del Fronte, dopo un silenzio stampa di due settimane si rifà vivo il 1° maggio con un articolo sull’”Avanti!”, Meditazioni su una battaglia perduta, in cui attribuisce la sconfitta ai termini della lotta voluti da De Gasperi: “il bene e il male”, “Cristo e il diavolo”, “civiltà e barbarie”, oltre che alla paura piccolo borghese del comunismo e alla scissione di Saragat[9].

Romita, nel frattempo, assume la paternità di un accordo sull’unificazione col PSLI in cui si ribadisce le ragioni della sua mozione al Congresso straordinario. I probi viri della Direzione lo considerano però scissionista e lo sospendono per sei mesi, vietandogli ogni attività di partito.

L’anno per il PSI si conclude con il voto di deplorazione dell’esecutivo contro alcuni compagni che con un telegramma si congratulano della fusione dei partiti socialista e comunista in Polonia. Tra i firmatari Cacciatore, Lizzadri, Mancini, Guadalupi, Grisolia, Rossetta Longo e Tolloy[10].

Paradigmatica la posizione di Lelio Basso. Egli ritiene che il Fronte popolare sia la soluzione giusta nel merito ma tardiva nel metodo. Doveva cioè crearsi almeno nel ‘45 e in alternativa o addirittura in opposizione al CLN, coacervo di forze sì progressiste, ma anche moderate, conservatrici e reazionarie. E’ il sincretismo del CLN, secondo il Relatore, ad aver causato la sconfitta del Fronte democratico popolare nelle elezioni del 18 aprile. Egli mette in chiaro il suo costante atteggiamento, dal 1942 in poi, di contrarietà rispetto alle politiche di unità nazionale. E’ quindi discordante rispetto al CLN e ai governi esarchici che semplicemente permettono ai notabili e alle forze reazionarie in genere di riorganizzarsi e riprendersi. Formula questa che ricalca quella del Fronte popolare, vecchia ricetta gramsciana[11], “che sarebbe stato quasi sicuramente vittorioso se fosse sorto nella primavera del 1945”[12].

Il ’48 è anche l’anno delle forti discussioni interne nel PSI circa l’identificazione della lotta di classe interna al paese con la lotta di classe internazionale. Mentre Lombardi nega ogni coincidenza delle due lotte, Morandi ne ravvisa una perfetta sovrapposizione.

Ancora, Lombardi è per una “terza via”, alternativa sia al guerrafondaismo targato Stati Uniti che all’aggressività interna ed esterna dell’Urss. Allo scontro tra blocchi, marziale e guerresco, Lombardi propone perciò l’alternativa della pace socialista[13]. Morandi si oppone con vigore a questa visione, spiegando che il bastione pacifista c’è già ed è l’URSS, con la quale i socialisti, di concerto con i comunisti, devono schierarsi. Una posizione alternativa, per alcuni aspetti conciliatoria, è quella di Pietro Nenni, che ha il merito di anticipare, anche in questo periodo di contrapposizione muscolare, sia in Parlamento che nel Paese, i temi del dialogo con la DC. Dialogo che inizialmente si sostanzia in una semplice “consistenza pacifica” e che successivamente assume maggior rilievo e contenuto[14]. Il 29 novembre alla Camera mentre presenta la mozione socialista contro la politica estera del Governo Nenni afferma che “l’alternativa di oggi non è la scelta fra due blocchi ma fra blocco occidentale e neutralità. La politica di alleanza isola l’Italia e il PSI rivendica la politica di neutralità nell’interesse della Nazione”[15].

Nel PSLI di Saragat, invece, la dialettica si staglia sulla dicotomia filoatlantismo – terzaforzismo, che vede trionfare nel primo periodo la seconda linea[16].

Il pensiero quarantottino di Riccardo Lombardi, che compare il primo gennaio 1949 nell’”Avanti!”, è così proposto: “Abbiamo visto, nel corso dell’anno che si chiude, il mondo precipitare nel funesto irrigidimento di massicci blocchi contrapposti su posizioni sempre meno suscettibili di comprensione reciproca e di mediazione. […] Per questo noi puntiamo più risolutamente di chiunque altro sulla prospettiva di pace, sulla prospettiva di scambi di idee, di istituzioni, di esperienze, di uomini fra i due blocchi attualmente in posizione di reciproca impermeabilità”[17].

Risponde Rodolfo Morandi dal periodico socialista “La Squilla” qualche giorno dopo, incalzando Lombardi con queste parole: “Compagno Lombardi, la tradizione di combattimento del nostro partito, la fiducia profonda nell’Unione Sovietica, che ha sempre alimentato le masse dei nostri militanti, esigono il tuo rispetto, e ti diciamo: non sarai tu a svellere il socialismo italiano dalla realtà estraniandolo dalla lotta nella quale si decidono i destini della classe operaia e di tutti i lavoratori liberi!”[18]. D’altronde, sempre Morandi parla già al XXVI Congresso del PSI di antagonismo intransigente rispetto alle forze conservatrici e della sua contrarietà ipso facto al terzaforzismo dialogante e pacifista à la Lombardi, e lo fa in questi precisi termini: “Se dunque le forze conservatrici, grazie alla falsa proiezione che può avere sullo schermo della politica la realtà delle cose, queste forze della conservazione dovessero prevalere, è chiaro che il domani nostro non sarebbe, non può essere quello di una inutile schermaglia parlamentare, ma solo di quella di una lotta ad oltranza nel paese…”[19].

Va però specificato che, pur di non isolarsi dalle masse popolare, la Direzione “centrista” usa un linguaggio rivoluzionario. Riccardo Lombardi in un articolo del 21 ottobre, parla di “neutralità come lotta suscitatrice ed educatrice di energie nuove che dovranno rimanere perché la struttura sociale e politica dell’Italia subisca più radicali mutamenti e perché la rivoluzione interrotta il 25 aprile del 1945 prosegua”[20]. E’ lo stesso Riccardo Lombardi che nei primi anni del Centro-sinistra con simili piroette retoriche parlerà di “riformismo rivoluzionario”[21].

Il 27° Congresso del PSI. Straordinario

Tra giugno e luglio, congresso straordinario socialista a Genova. Prevale la mozione di “Riscossa socialista” di Lombardi e Jacometti, con il 42% dei voti; la “sinistra” di Nenni, Morandi e Basso ottiene il 31,5%; la mozione “autonomista unificata” di Romita il 26,5%[22]. Nuovo segretario sarà eletto Jacometti, Lombardi direttore dell’”Avanti!”.

La sconfitta di Nenni è cruciale, ma forse scontata. Firma la terza mozione assieme a Cacciatore, Morandi, Mancini e Tolloy. Riafferma l’opposizione dura e granitica alla maggioranza clericale, all’inserimento dell’Italia nel Patto atlantico e alla costituzione di una terza forza.

La seconda mozione, di “destra”, è “Autonomia”. Presentata da Albertario (un alto funzionario del Ministero dell’Agricoltura), Calogero, Romita, Gian Carlo Matteotti, la mozione chiede l’immediata rottura con il Fronte, la piena autonomia del Partito, l’unificazione con il PSLI e l’adesione al Comisco. In sostanza, un ritorno alla ricetta che l’anno prima ha portato alla scissione di Palazzo Barberini.

La prima mozione è infine quella di “Riscossa socialista”. Compare già il 27 maggio sull’”Avanti!”, un mese in anticipo rispetto al Congresso, e porta le firme di Pertini, Riccardo Lombardi, Jacometti, Foa, Santi ed altri. Tranne che per il nome di Pertini, contrario al Fronte ma unitario, nello schematismo congressuale la mozione si staglia al “centro”[23]. La formula frontista è criticata e i socialdemocratici fortemente attaccati, tanto da far ricordare l’accusa sovietica di “socialfascisti” ai secessionisti dell’anno prima[24].

Pur in piena opposizione al Governo De Gasperi – Saragat e in un’ottica di decisa unità del sindacato nella CGIL, la ricetta che soppianta il fallimentare Fronte dev’essere quella terzaforzista, incarnata da un tertium genus alternativo sia all’atlantismo che al blocco comunista. Parola di Riccardo Lombardi.

Epilogo

Il Fronte è allora l’ago della bilancia che scinde i socialisti italiani tra democratici e comunisti, proprio come auspicato da Filippo Turati. I socialisti democratici si aggregano alle altre forze del novero democratico, cioè DC, PRI, PLI, creando il cosiddetto “centrismo”, che dominerà la scena politica italiana dal ’48 al ’58. I socialisti filo-comunisti si allineano con i comunisti. Qualche nenniano fuga subito l’errore, qualcun altro lo farà in un secondo momento. Ma ormai per i socialisti frontisti è troppo tardi.

Il PSI è così dimensionato, scade a terzo partito italiano ed è condannato a rimpicciolirsi sempre più a vantaggio dei comunisti, il PCI diventa di gran lunga il più consistente partito di sinistra in Italia. Il suo grado di insediamento sociale (in termine di sezioni, circoli, giornali, presenza in associazioni della società civile come sindacati, cooperative e sedi culturali) è comparabile solo a quello della diretta avversaria DC ed è superiore a quello di tutti gli altri partiti messi insieme[25].

Tuttavia, il sistema non riesce a strutturarsi in forma semplificata per due motivi principali: la DC non è in grado di emarginare i partiti di destra e il PCI non riesce a fare lo stesso con quelli di sinistra. Giorgio Galli chiama questa anomalia con la fortunata formula del “bipartitismo imperfetto”[26], in cui i socialisti si trovano al di qua e al di là del guado democratico.



[1]E. Biagi, Mille Camere, Mondadori, Milano, 1984, p. 131.

[2]Il colpo di Stato di De Gasperi, in “l’Unità”, 2 dicembre 1947.

[3] Giorgio Galli analizza il programma del Fronte Democratico Popolare e osserva che l’apertura ai democratici che non si riconoscono nelle tradizioni comuniste o socialiste è particolarmente enfatizzata. Quasi che il nuovo raggruppamento ostenti il suo carattere precipuamente democratico ponendo in secondo piano i lineamenti comunisti e socialisti. Coerentemente con quest’ottica il simbolo che rappresenta tale nuova formula è Giuseppe Garibaldi, eroe del Risorgimento nazionale. G. Galli, Storia del Partito Comunista Italiano, Il Formichiere, Milano, 1976, p. 222.

[4] Che sia un’iniziativa promanata dal PSI lo si capisce bene dalla mozione conclusiva del VI Congresso del P.C.I.: “Il VI Congresso del Partito Comunista Italiano saluta e approva l’iniziativa del Partito Socialista per la creazione di un Fronte Democratico e Popolare di lotta per la pace, l’indipendenza estera e interna, e con questo programma affronti la prossima lotta elettorale per conquistare una solida maggioranza”: Partito Comunista Italiano, Risoluzioni del sesto Congresso del P.C.I.: 5 – 10 gennaio 1948, Stampa Moderna, Roma, 1948, p. 65.

[5]O. Lizzadri, Il socialismo italiano dal frontismo al centro sinistra. Il filo rosso di una politica unitaria, cit., p. 78.

[6]Ibidem, p. 77 e n. 1 p. 78.

[7] Ibidem, pp. 79-81.

[8] Ibidem, pp. 86-87.

[9]P. Nenni, Meditazioni su una battaglia perduta, in “Avanti!”, 1° maggio 1948.

[10]O. Lizzadri, Il socialismo italiano dal frontismo al centro sinistra. Il filo rosso di una politica unitaria, cit., pp. 97-98.

[11]Lungi dal volersi uniformare alla linea sovietica, se non per un breve periodo e motivi tattici, Gramsci già verso la fine degli anni Venti parla di “Costituente” e di fronte popolare proprio in contrapposizione alla linea del “socialfascismo” e dello scontro di “classe contro classe” adottata da Stalin e dall’Internazionale comunista. F. Cicchitto, La linea rossa. Da Gramsci a Bersani. L’anomalia della sinistra italiana, Mondadori, Milano, 2012, p. 96.

[12]L. Basso, Crisi della politica di unità antifascista, intervento al Congresso del Psi del giugno 1948, in “Avanti!”, 28 giugno 1948, p. 1.

[13]R. Lombardi, Prospettiva 1949, in “Avanti!”, 31 dicembre 1948.

[14]A. Benzoni, V. Tedesco, Documenti del socialismo italiano 1943-1966, Marsilio, Padova, 1968, pp. 60-61.

[15]O. Lizzadri, Il socialismo italiano dal frontismo al centro sinistra. Il filo rosso di una politica unitaria, cit., p. 96.

[16]A. Benzoni, V. Tedesco, Documenti del socialismo italiano 1943-1966, cit., pp. 62-63.

[17]R. Lombardi, Prezzo di una fedeltà, in “Avanti!”, 01-01-1949.

[18]R. Morandi, Insensibilità di classe, ne “La Squilla”, Bologna, 12 gennaio 1949.

[19]R. Morandi, Lotta ad oltranza al blocco capitalista, intervento al XXVI Congresso del Psi, gennaio 1948, in “Avanti!”, 24 gennaio 1948, p. 3.

[20]O. Lizzadri, Il socialismo italiano dal frontismo al centro sinistra. Il filo rosso di una politica unitaria, cit., p. 95.

[21] S. Dalmasso, Riccardo Lombardi: lo scacco del riformismo rivoluzionario, in AA. VV., Per una società diversamente ricca. Scritti in onore di Riccardo Lombardi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2004.

[22]O. Lizzadri, Il socialismo italiano dal frontismo al centro sinistra. Il filo rosso di una politica unitaria, cit., p. 89.

[23]Ibidem, p. 88.

[24]“Avanti!”, 27 maggio 1948, pp. 1-2.

[25]G. Galli, I partiti politici italiani (1943-2004), cit., pp. 81-82.

[26]Ibidem, p. 82. La teoria è ampiamente illustrata in G. Galli, Il bipartitismo imperfetto, il Mulino, Bologna, 1966.

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