Hegel e la tradizione ermetica. Le radici “occulte” dell’idealismo contemporaneo

Ermetismo e negazione in Hegel, si riapre il dibattito

Ora giunge, quale possibile esempio di confutazione di tale scuola ermeneutica, un ponderoso ed organico lavoro di Glenn Alexander Magee, per la prima volta disponibile in lingua italiana

di Giovanni Sessa

 Ermetismo e negazione in Hegel, si riapre il dibattito

La copertura del libro

Il panlogismo hegeliano ha indubbiamente rappresentato, comunque lo si giudichi, uno dei momenti speculativi più importanti della tradizione filosofica occidentale. Inoltre, nel sistema del pensatore di Stoccarda, di fatto si chiude un ciclo millenario del pensiero europeo, centrato sull’ottimismo onto-teologico. Per questo, crediamo, qualsiasi lettore accorto delle opere dell’idealista tedesco, fin dalle prime pagine, ha contezza del carattere terminale, epigonale, del sistema hegeliano.

In ogni suo testo fluiscono, sotterraneamente o in modo esplicito, disparati riferimenti a precedenti esperienze teoretiche, rinvii ad autori noti e meno noti. Più in particolare, come è stato rilevato, si cristallizzano in Hegel le suggestioni che, attraverso i sistemi di Spinoza e Leibniz, avevano irrorato di sé la cultura della Romatik, animando i dibattiti dei Circoli di Jena ed Heidelberg e che sostanzialmente provenivano dalla lontana, ma ancora all’epoca risonante, filosofia neoplatonica rinascimentale.

   Questa presenza ritenuta, almeno per certi suoi aspetti e prossimità, ingombrante in Hegel, è stata sottaciuta dai tentativi esegetici contemporanei, in particolare da quando è prevalsa la “lettura non metafisica” dell’hegelismo. Interpretazione, si badi, originata dai lavori di Klaus Hartmann e di Cyril O’Regan e da altri studiosi prevalentemente di area anglosassone. Ora giunge, quale possibile esempio di confutazione di tale scuola ermeneutica, un ponderoso ed organico lavoro di Glenn Alexander Magee, per la prima volta disponibile in lingua italiana, dal significativo titolo Hegel e la tradizione ermetica. Le radici “occulte” dell’idealismo contemporaneo, nelle librerie per i tipi delle Edizioni Mediterranee (per ordini: 06/3235433; ordinipv@edizionimediterranee.net; euro 24,50). Il libro è impreziosito dall’introduzione di Massimo Donà che indica, peraltro, una possibile lettura ermetica di Hegel, altra ed ulteriore rispetto a quella suggerita dallo stesso autore. Ma procediamo con ordine.

    Le intenzioni di Magee sono esplicitamente dichiarate fin dall’inizio: 1) dimostrare l’influsso della tradizione ermetica su Hegel; 2) collocare, in termini comparativi, il pensiero del tedesco all’interno della tradizione ermetica. Allo scopo, il primo capitolo è dedicato ad una panoramica della tradizione ermetica fino al XVII secolo, con particolare attenzione al caso tedesco. Il secondo capitolo prosegue questo excursus storico soffermandosi sulle influenze intellettuali che Hegel  ricevette durante la giovinezza. In quel periodo il Württemberg e Stoccarda furono centri d’elezione d’interesse ermetico; qui il movimento pietista fu influenzato dal böhmianesimo e dal rosicrucianesimo.

Gli esponenti di spicco della corrente pietista, Oetinger e Bengel, subirono la suggestione del misticismo del XIV secolo e della teosofia. Hegel, anche in età matura, perseverò nello studio dei testi ermetici e frequentò di persona a Berlino Franz von Baader, noto conoscitore di Böhme ed amico di Schelling. A Jena, anzi, tenne conferenze su Bruno e sulla Filosofia della Natura, nelle quali non nascose il suo coinvolgimento negli studi inerenti l’alchimia. I capitoli centrali del volume sono, a nostro parere, il terzo, nel quale l’autore presenta in chiave ermetica un’interpretazione complessiva dell’opera di Hegel, e i capitoli quarto e  settimo, dove sviluppa  l’esegesi delle opere maggiori dell’idealista, servendosi dei medesimi strumenti interpretativi.

    Al riguardo, Magee sostiene che le suddivisioni della filosofia hegeliana seguono uno schema triadico, tipico delle filosofie mistiche. La Fenomenologiaattesterebbe la fase di “purificazione” della mente, mirata a staccarla progressivamente dalla mera sensibilità, svolgerebbe, quindi, il ruolo di introduzione alla Sapienza. La Logicaalluderebbe al momento della Mente Universale, fase da cui muove la vera e propria “ascesi” alla forma, all’eterno, mentre, al contrario, la Filosofia della Natura presenterebbe l’emanazione-alterità prodotta dalla stessa Mente Universale che si insinuerebbe, così, nella dimensione spazio-temporale. La Filosofia dello Spirito realizzerebbe il ritorno al divino tramite l’uomo, capace di elevarsi oltre il naturale e la necessità che lo contraddistingue, attraverso la creazione di forme concrete di vita quali Stato, religione e filosofia speculativa.

    L’analisi dello studioso scende poi nei dettagli, nell’individuazione delle singole specifiche influenze di scuola, presenti nell’opera del filosofo idealista. Giunge a rilevare nella Fenomenologia un substrato massonico di “misticismo dell’iniziazione”, sulla scorta delle acquisizioni emerse nello studio dedicato all’Hegel segreto da D’Hondt, nella Logica rintraccia elementi lulliani e cabalistici, elementi paracelsiani nella Filosofia della Natura e presenze significative di Giocchino da Fiore nello Spirito oggettivo e nella filosofia della storia.

    Magee ricorda anche i precedenti più illustri dell’interpretazione ermetica dell’idealismo hegeliano, a cominciare da Dilthey  per a giungere fino ad Eric Voegelin. Il filosofo austro-tedesco   lesse la storia contemporanea, prodottasi a muovere dalla fine del 1600 con la rivoluzione inglese, come il farsi mondo delle visioni neognostiche. Nella loro definitiva sistemazione teorica, realizzatasi nel secolo XIX, un ruolo di primo piano, a parere di Voegelin, lo avrebbe svolto proprio Hegel (cfr. E. Voegelin,Su Hegel. Uno studio sulla stregoneria, in “Behemoth”, n. 32 e 33, anno XVII e XVII, 2002-2003, a cura di F. D’Alterio). 

L’autore del volume tiene, inoltre, a distinguere con chiarezza la tradizione ermetica dallo gnosticismo. Infatti, mentre nella prima la conoscenza di Dio da parte dell’uomo diviene la conoscenza di se stesso da parte di Dio, in quanto il cosmo fu creato per soddisfare il bisogno d’autocoscienza dell’Assoluto stesso, nel secondo emerge un racconto della creazione caratterizzato in termini negativi: la natura non è effettiva parte, momento, dell’essere di Dio. Lo studioso statunitense fa rilevare, tra le altre cose, che nell’ermetismo non basta conoscere la dottrina, ma bisogna viverla: la dottrina deve effettivamente cambiare la vita dell’iniziato. Per tutte queste ragioni, Magee sostiene nel capitolo quarto che Hegel ha pienamente conservato nel suo sistema i momenti intellettuali ed emotivi del concetto ermetico d’iniziazione. Insomma, conclude il nostro, il filosofo tedesco era certamente: “…convinto che il saggio è…partecipe della vita divina a un livello superumano”(p. 42). 

Questo libro convalida, in modo organico e attraverso una messe significativa di documenti, quanto in Italia da tempo, nei suoi studi su hegelismo, ermetismo e pensiero di Tradizione, va scrivendo Giandomenico Casalino che, non casualmente, è autore della postfazione del testo. Quale allora la novità del volume?

    La novità va colta nella lettura delle relazioni tra tradizione ermetica e hegelismo presentata da Massimo Donà.

Questi sostiene che il rapporto Hegel-Ermetismo ha carattere “problematico”, se non altro perché il “vero” hegeliano si dà in forma razionale. Meglio, si dà dialetticamente, ovvero servendosi del “distillato” per eccellenza della ratio. Il che implica, il permanere in Hegel di un residuo soggettivista, di discendenza cartesiana e coscienziale. Il “ricordato” hegeliano, ciò verso cui si torna, nel filosofo, inoltre, è: “…appunto quello stesso che non avrebbe mai abbandonato nessuna delle sue manifestazioni specifiche” (p. 16).  Pertanto: “…il circolo dei circoli tematizzato dal padre dell’idealismo dice una circolarità già da sempre compiuta, rispetto alla quale nessun passo avanti potrebbe in alcun modo contribuire alla sua manifestazione” (p. 18). Per questo Hegel, con la sua dialettica conciliativa e positiva sancisce il primato del tutto sulla parte, in quanto alla sua unità originaria manca il carattere irriflessivo, böhemiano ed ermetico, che la prospetti come meta da  ri-conquistare in modo auto consapevole.

Ciò avviene in quanto il presupposto panlogista, il Dio originario di Hegel, non può affatto precedere temporalmente, secondo Donà, il proprio sviluppo logico ed esistenziale. Solo alla fine del processo il cominciamento si ritrova nel suo prima.

    Eppure, rileva il filosofo veneziano, il cominciamento viene fatto cominciare(p. 22). Da chi? Da una forza che lo induce a negarsi. Il fondamento risulta in-fondato, è la potenza del Nulla, intuita da Leopardi, ad animare il positivo. Questo perché il cominciamento: “…viene negato dalla potenza   presupposta che gli impone di negarsi” (p. 22).  L’astratto (il cominciamento) viene dominato da un concreto che gli impone di negarsi e di svolgersi dialetticamente in vista della conclusione riappropriante. Questo dialettismo in Hegel è davvero prossimo a quello che si era manifestato a proposito delle relazioni Dio-Mondo nell’ermetismo. Il filosofo tedesco non può sottrarsi al pensiero di un Dio inteso come trascendente il mondo ma, al medesimo tempo, implicato nel mondo, concezione centrale nell’ermetismo. Donà accompagna, pertanto, il lettore all’interno della hegeliana  logica dell’essere dove viene sancita, di fatto, l’originaria coappartenenza di essere e nulla. Infatti: “…solo il nulla riesce a costituirsi come un altro… che non è altro” (p. 25), in quanto è ni-ente, nulla di ente, il totalmente altro.

Il Nulla è l’assoluto ermetico, esemplarmente tematizzato nei Sermoni di Eckhart. Per questa ragione ogni presenza, nella trasfigurazione della sua positività, è perfetta immagine di totalità, immagine iconoclasta.

     Con le parole di Andrea Emo, filosofo dei pochi che ci auguriamo presto parli ai molti, è possibile sostenere che “l’eternità si può amare solo sotto forma di presenza” in quanto essa ci concede: “la gioia…del frammentario, dell’episodico, del contingente”(cfr. A. Emo, Quaderno 122, 1951).  Crediamo che Massimo Donà abbia sviluppato sotto la tutela della potenza teoretica della filosofia emiana, l’esegesi dell’ “ermetismo” hegeliano che abbiamo sinteticamente qui presentato.   Con le pagine del pensatore patavino-veneziano, di cui è con Romano Gasparotti curatore, egli intrattiene un colloquio essenziale da oltre un ventennio.

Del  resto, lungo la stessa direzione speculativa, ha incontrato e ha letto nei termini di una coerente e radicale filosofia della libertà, l’idealismo magico di Julius Evola. Il presupposto “ermetico” da cui mosse l’intero percorso di pensiero evoliano, la possibilità dell’impossibile, ha un’evidente prossimità con le problematiche che Donà ha rintracciato nell’idea del cominciamento hegeliano.

     L’importanza del libro che brevemente abbiamo presentato non sta solo nell’esaustiva disanima storico-filosofia che lo connota, non va rintracciata esclusivamente nell’organicità delle argomentazioni, ma nell’indicazione di una via di pensiero ancora in gran parte da percorre.

Infatti,  le sue pagine ci invitano a problematizzare la logica dicotomica ed escludente prevalsa in Occidente, in nome, non di una irrazionalità alogica, ma di una logica diversa, altra, quella della co-appartenenza. Essa é il lascito più significativo dell’ (altro) hegelismo e dell’ermetismo, il suo cuore segreto, da pochi colto. Solo quando lo sguardo della mente si posa sulla potenza della negazione si può rilevarla. Comunque, intraprendere un cammino teoretico in questa direzione, porsi sulle  tracce del negativo, consente davvero di compiere, al medesimo tempo, un passo per la vita e un passo per il pensiero.       

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