Teatro Valle Bene comune?

Vogliono i soldi pubblici per fare quel che gli pare senza rispondere a nessuno

27 mesi di occupazione e ora una fondazione benedetta da Rodotà. Un fragile e prezioso gioiellino del 1727 per oltre due anni in mano agli occupanti che lo hanno autogestito

di Simonetta  Bartolini

Vogliono i soldi pubblici per fare quel che gli pare senza rispondere a nessuno

Hanno occupato il teatro Valle di Roma per 27 mesi, trasformando lo storico palcoscenico, dal quale erano passati i più bei nomi della drammaturgia italiana, e gli immediati dintorni in un bivacco di tipetti alternativi. Ovviamente occupazione significa, nel lessico degli occupanti, usufruire di servizi come acqua, luce, telefono, riscaldamento, aria condizionata, internet ecc senza pagare le bollette, saldate per oltre due anni dal Comune di Roma (cioè dai cittadini della Capitale ovvero con i soldi delle loro tasse, fra le più alte d’Italia) in cambio di... niente.

Già perché gli occupanti in nome del cosiddetto “Bene comune”, cioè il loro bene, non il nostro di contribuenti, hanno impedito, nel corso di questi 27 mesi, che l’amministrazione capitolina (che secondo un accordo con il Mibac avrebbe dovuto gestire per due anni, tacitamente rinnovabili, il teatro bene inalienabile in quanto demaniale) potesse disporre del teatro per allestire un cartellone con il quale dare ai romani un’offerta culturale e avere di ritorno un introito.

Gabriele Lavia e il suo progetto è stato cacciato in malo modo dagli occupanti, stessa sorte per l’ex assessore alla cultura Gasperini che provò ad interloquire con quei tipetti.

Nato nel 1727 il Valle è il più antico teatro della Capitale, nel 1921 questo gioiellino dell’architettura dello spettacolo ospitò la prima assoluta dei Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello. Si tratta quindi di un edificio tutelato dalla soprintendenza, sottoposto a rigorosi vincoli per la sua conservazione, un bene fragile, bellissimo con i suoi 600 posti fra platea e palchi, e il suo decor in crema e oro.

Questo prezioso patrimonio di tutti noi è stato per 27 mesi nelle mani degli occupanti che, in forza del diritto arrogatosi di definirlo bene comune, hanno impedito ogni intervento da parte delle autorità competenti alla sua tutela.

Potete immaginare come sia ridotto il teatro dopo oltre due anni di occupazione e di incuria?

I tipini alternativi occupanti hanno detto di non volere l’intervento di privati e hanno comunistizzato lo spazio e il cartellone invitando i soliti artisti cari alla sinistra in cachemere (Elio germano, Fabrizio Gifuni, Jovanotti, Luca Ronconi, Capossela) ad esibirsi sull’antico e glorioso palco non per un progetto culturale di qualche logica, ma per affermare il diritto all’autogestione di qualcosa che non appartiene loro.

Di fatto hanno proceduto ad una vera e propria privatizzazione (quella degli occupanti) in nome di una comunità che si sono inventati e che non corrisponde ai cittadini italiani che attraverso il Mibac ne sono i veri proprietari.

Non solo, ma si tratta di una privatizzazione forzata e costata ai contribuenti diverse centinaia di migliaia di euro senza contare i costi dei mancati guadagni.

Senza contare l’esproprio di fatto perpetrato ai danni del proprietario degli appartamenti posti sopra il teatro, e del foyer, il marchese Capranica del Grillo Pezzana il quale ovviamente si è visto di fatto requisire i propri beni senza corrispettivo pagamento dell’affitto che gli sarebbe dovuto (si parla di circa altri 400mila euro).

Ora gli occupanti, con la benedizione (solo quella?) di Stefano Rodotà, che da quando gli hanno fatto impropriamente balenare la poltrona quirinalizia, continua da agitarsi appoggiando le istanze più stravaganti e demenziali invece di godersi l’agiata pensione che gli paghiamo mensilmente, noi (generazione che la pensione non l’avremo), ora gli occupanti hanno annunciato di essersi costituiti in Fondazione Teatro Valle Bene Comune

 5.300 i soci fondatori e 143 mila euro raccolti.

Secondo l’ineffabile Rodotà la costituzione della Fondazione è un risultato che «né il Comune né il ministero dei Beni culturali potranno ora ignorare»

Tradotto significa che ora il Mibac, cioè il ministero dei Beni culturali, ovvero lo Stato e il comune di Roma dovrebbero mettere mano al portafogli e finanziare il tutto, invocheranno in proposito il precedente del Maggio Musicale Fiorentino per il quale Renzi ha ottenuto i nostri soldi (ma almeno nel caso della gloriosa istituzione fiorentina si parla di un progetto culturale di rilievo e storicamente rimarchevole).

Depositato due giorni fa dal notaio, lo statuto, frutto di un anno e mezzo di assemblee collettive aperte a tutti, verrà ora consegnato al prefetto di Roma, che avrà 4-5 mesi per esaminarlo. Tra i punti cardine, il rifiuto della pratica delle nomine dall'alto e la turnazione delle cariche-

Ancora una volta la pretesa sarebbe quella di fare come gli pare, ma con i soldi pubblici.

In tempi di crisi e di ristrettezze, in tempi in cui si tagliano tutti i fondi per la cultura, lasciando andare in rovina Pompei ed Ercolano, tanto per fare un esempio, dovremmo trovare i soldi per far giocare a fare teatro un gruppo di tipetti alternativi che vogliono essere liberi di fare come gli pare, quello che gli pare, senza rendere conto a nessuno, con un bene che appartiene a tutti noi e con i soldi nostri (vale la pena di ripeterlo perché è fondamentale).

Ovviamente i lavoratori del settore spettacolo riuniti in Cna Cultura e spettacolo, che in questi anni stentano a sopravvivere e qualche volta neppure ci riescono, hanno diffuso un comunicato nel quale manifestano timori, preoccupazione e perplessità per il venir meno della sana concorrenza: «Dopo quasi due anni di occupazione del Teatro Valle – scrive Giuseppe Viggiano, presidente di Cna Cultura e Spettacolo– in questi ultimi giorni leggiamo sui giornali di una soluzione, paventata dagli occupanti, attraverso la nascita di una fondazione. Cna Cultura e Spettacolo, a nome delle imprese che operano nel settore della cultura e dello spettacolo a Roma esprime grande perplessità per scelte e azioni che continuano a non favorire la concorrenza leale tra gli operatori rispettosi delle regole e chi opera, anche se in favore della cultura, ma con metodi e modalità non corretti. In questo momento storico tutte le imprese vivono le mille difficoltà della realtà economica che opprime il nostro paese. Ogni mattina è più difficile aprire le porte dei nostri teatri, dei nostri locali, delle nostre aziende. Ci aspettiamo, in questo momento, più che mai, che tutte le istituzioni siano concentrate nell'aiuto alle imprese. Ci auguriamo quindi che non venga messo in piedi una nuova fondazione che si riveli l'ennesima struttura finanziata dai fondi pubblici. Chi vuole operare correttamente nel nostro paese, anche se in nome della cultura, deve attenersi alle regole, come le nostre imprese culturali e creative fanno da sempre. Auspichiamo che eventuali aiuti al settore della cultura siano rivolti a tutte le imprese, nel rispetto di regole, norme e iniziative che favoriscano la ripresa e la crescita dell'intero settore, nell'interesse comune dei cittadini, della loro formazione e nel godimento delle opere, di qualsiasi natura e forma esse siano»

Impossibile non concordare. Ora spetta alle istituzioni, governo dello Stato e della Capitale, non cedere all’ennesima iniqua richiesta.

Bene la Fondazione, ma sia privata e concorra, come le altre, con progetti e finanziamenti autoreperiti.  

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