Editoriale

Cile 1973, la vera storia oltre il mito

Il regime comunista giunse al potere democraticamente ma perse immediatamente consenso aprendo la via alla rivolta guidata dai militari

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

 “miti” non fanno bene alla verità storica. Ancor più se le vicende  sono relativamente vicine, com’è per il golpe cileno dell’11 settembre 1973, del quale, in questi giorni, si ricorda il quarantennio. Pesano su quelle vicende troppi interessi di parte, mentre l’aura della mitizzazione continua a circondare la figura di  Salvador Allende, il presidente deposto dai militari cileni, al punto da trasformarlo  – come abbiamo letto in un’intervista, pubblicata da “il Venerdì di Repubblica”, a Miguel Littin, allora consulente per le immagini del presidente cileno ed oggi  regista di un film sulle sue ultime ore  - in una sorta di “spirito collettivo…come Gesù, Galileo Galilei, Spartaco”.

In realtà,  la fine   del governo di Unidad Popular, prima esperienza al mondo di governo ad orientamento social-comunista, eletto democraticamente, non fu solo provocata dal golpe da parte delle Forze Armate,  guidate da Augusto Pinochet, e  dalla dura repressione che ne seguì.  La sconfitta del governo guidato da Allende, morto suicida nelle ore seguenti l’attacco alla Moneda, il  palazzo presidenziale,  a Santiago, dove si era asserragliato, fu soprattutto politica. Per questo molti, oggi, preferiscono la mitizzazione di quegli avvenimenti piuttosto che una puntuale analisi dei fatti.

Vediamoli  sinteticamente.  In origine, intanto, c’è l’anomalia di un Presidente cileno, il marxista Allende, eletto, nel novembre 1970, solo dal 36% dei cileni, e confermato grazie al voto della Democrazia Cristiana che lo preferì, in una sorta di ballottaggio parlamentare, al candidato del Partito Nazionalista.

Convinto di potere “fare la rivoluzione”, Allende spinse sulle nazionalizzazioni. Un anno dopo, in Cile, lo Stato arrivò così a controllare il 90% delle miniere, l’85% delle banche, l’80 % delle grandi industrie, il 75% delle aziende, il 52 % delle imprese medio-piccole. Il risultato fu la fuga dei capitali, l’indebitamento del Paese, un’inflazione media del 400%, il crollo della produzione e la penuria di beni di consumo.

In questo clima di grave disagio sociale, cresce l’opposizione al governo: scendono in piazza le donne (con la famosa “marcia delle casseruole”);  i camionisti scioperano, bloccando la distribuzione dei generi di consumo, di fronte all’ipotesi di creare un apparato pubblico di trasporti;  i commercianti abbassano le serrande; incrociano le braccia  medici ed avvocati. Nel settembre 1972, un sondaggio del settimanale “Ercilla” rileva che il 60% della popolazione considera l’azione del governo una minaccia.

In questo difficile clima sociale, emergono le contraddizioni interne alle forze filo governative,  con l’ala estrema, rappresentata dal M.I.R. (Movimiento de Izquierda Revolucionaria),   impegnata a radicalizzare lo scontro, attraverso l’azione violenta e gli espropri di case, negozi e aziende agricole, ed il partito socialista, fortemente diviso al suo interno  tra la componente riformista,  in minoranza, e la linea del  segretario, Carlos Altamirano, il quale non esclude la “via violenta”.

Più “possibilista” l’orientamento  comunista. Come ebbe a dichiarare, in seguito,  Luis Corvalàn,  ex segretario del Partito Comunista Cileno, “…nei tre anni di Unidad Popular gli errori furono molti. La nostra politica non funzionò, non esaltò la gente. Il governo Allende, nella nostra visione, doveva portare avanti una rivoluzione. Pacifica e democratica, ma pur sempre una rivoluzione. Per riuscirci dovevamo avere più forza del nemico. Invece Unidad Popular non superava il 35 per cento dei consensi. Prevalsero le tendenze estremiste e settarie, in tutti i partiti della coalizione. Fuorché nel nostro. Il Pc cileno ebbe sempre ben chiaro il principio che il rapporto con la Dc era fondamentale. I democristiani non erano nel governo, ma avevano votato Allende e appoggiato la nazionalizzazione del rame. Era sbagliato isolarli”. 

Questo era il Cile del settembre 1973: un Paese in cui l’azione militare, certamente spietata, poté muoversi  all’interno di  una realtà tutt’altro che pacifica e pacificata dal governo della sinistra,  nella  quale la “via democratica al socialismo” aveva mostrato le sue intime contraddizioni. Al punto che  il processo di radicalizzazione dello scontro aveva posto di fronte, alla fine,  due sole alternative, quella rivoluzionaria da una parte e quella controrivoluzionaria dall’altra. 

Il tutto all’interno di un contesto internazionale – non va dimenticato – rappresentato dal contrasto, non proprio  “freddo”,  Occidente-Comunismo, con la guerra in Vietnam in corso, il regime cubano impegnato ad esportare la rivoluzione in Africa ed in America Latina, la Cecoslovacchia del riformista Alexander Dubcek riportata all’ordine (nell’agosto 1968) dai carri armati sovietici, la Cambogia, di lì a poco, costretta a subire la sanguinosa dittatura dei Khmer rossi.

Oltre le facili mitizzazioni, questo era il Cile 1973. 

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    7 commenti per questo articolo

  • Inserito da lisa il 19/12/2022 11:00:53

    La vera storia sarebbe meglio leggerla nel libricino di Maria Rosaria Stabili "Il Cile. Dalla repubblica liberale al dopo Pinochet (1861-1990)"in quanto ricostruisce meglio le cause del crollo della democrazia cilena (fino a quel momento, la più longeva in Sud America). Concentrarsi solo sugli ultimi 3 anni è fuorviante, la democrazia era in crisi da tempo ahimè.

  • Inserito da stefano il 12/09/2013 14:44:47

    Da liberale dico che l'articolo è pienamente condivisibile. Purtroppo oggi si scade nel fondamentalismo e si tende a vedere tutto bianco da una parte e tutto nero dall'altra. Il discorso sul Cile di quegli anni è troppo complesso, occorrerebbe stabilire se l'uso della forza è legittimo quando ci si vuole difendere dalla violenza dello Stato, nel momento in cui lo Stato stesso procede all'esproprio della proprietà privata, come avvenne con le nazionalizzazioni imposte dal regime di Allende. Secondo me questa difesa è giustificata e legittima, in base al diritto naturale, per cui la reazione di chi si schierò con Pinochet non fu in re ipsa sbagliata, per quanto eccessiva (le violenze ci furono da entrambe le parti e sono da condannare). Il fatto che la maggioranza di un popolo decida in un certo senso non significa, per ciò solo, che quel senso sia giusto, altrimenti dovremmo considerare giuste anche eventuali leggi razziali riguardanti una minoranza, qualora fossero espressione della maggioranza. La maggioranza di un popolo può anche prendere decisioni orribili, decisioni che contrastano palesemente con il diritto naturale, come l'aggressione alla proprietà altrui (questo rappresenta, tra l'altro, uno dei limiti intrinseci della democrazia: la dittatura della maggioranza). Poi la reazione di Pinochet diventò eccessiva, trasformandosi in regime, ma agli esordi essa fu sacrosanta, e direi quasi naturale, nel significato più stretto della parola, come un organismo che per difendersi da un agente patogeno fa scattare il sistema immunitario. Oltre ai tratti negativi del governo Pinochet, che certamente vi furono, da ricordare la riforma delle pensioni adottata da questo governo, un gioiello che viene guardato con ammirazione ancora oggi, almeno dai veri liberali. In ogni caso non si può offuscare tutta un'esperienza per certi sbagli (gravissimi) commessi da alcuni militari, errori che hanno un carattere personale e tecnico, più che generale e ideologico. La difesa (vincente) dalla violenza statuale e il tentativo di riforme liberiste, in parte sulle orme dei Chicago Boys, saranno ricordati come eventi positivi ed esaltanti dai libertari di tutto il mondo.

  • Inserito da ghorio il 11/09/2013 20:15:14

    Per quanto mi riguarda condivido l'editoriale di Bozzi Sentieri, anche se i rituali degli anniversari, tra l'altro riferiti ad una nazione che si trova nella fine del mondo, non è che mi appassionano. Ma noi italiani, specialmente a sinistra usiamo appassionarci a personaggi, avvenimenti e in questo caso gli slogan del "pueblo unido" sono stati al centro degli ambienti studenteschi e culturali. Fatto è che Bozzi Sentieri ha descritto la situazione che c'era in Cile a quell'epoca. Personalmente ricordo i servizi dei due inviati che si trovavano allora in Cile, Mario Cervi del "Corriere" e Piero Accolti de " Il Tempo" di Roma e la situazione era ben diversa di quello che veniva riferito o scritto a sinistra, fermo restando che la dittatura di Pinochet ha compito atti per niente da me condivisi, come del resto tutte le dittature. Ricordo poi ad ogni modo che , dopo alcuni anni, si scriveva della grande riforma previdenziale di Pinochet, da prendere a modello e molti aspetti della sua politica economica. Il passaggio poi di Pinochet alla democrazia è sicuramente avvenuto con il consenso dell'esercito, cosa che avviene di rado, quando si è in presenza di una dittatura, senza una controrivoluzione. Quando si vanno analisi storiche di questo, a mio parere, bisogna tenere anche conto

  • Inserito da MARIO BOZZI SENTIERI il 11/09/2013 12:49:21

    Il mio articolo è stato provocato anche dall' eccessivo "sbilanciamento" di gran parte della stampa italiana, orientata, dopo 40 anni, a santificare Allende più che a comprendere le vicende dell'epoca. Ho fatto semplicemente parlare i... "fatti", al di là di qualsiasi appartenenza politica.

  • Inserito da Lucas il 11/09/2013 12:16:50

    Grazie per la risposta, però mi lasci dire che dal suo articolo è evidente la sua posizione politica (certamente non di sinistra) da buon giornalista non dovrebbe trasparire così evidentemente a meno che non si rivolga esclusivamente ad un pubblico di destra, detto questo molto meglio il governo di Allende con tutti i suoi limiti rispetto a quello di Pinochet...spero sia daccordo.

  • Inserito da MARIO BOZZI SENTIERI il 11/09/2013 11:56:13

    Caro Lucas, non mi pare di avere giustificato Pinochet, nè il golpe. Ho solo cercato, in estrema sintesi, di fotografare la realtà cilena del 1973 (percorsa da una febbre rivoluzionaria non legittimata dai numeri elettorali di ad Allende) e di porre in evidenza il contesto internazionale dell'epoca.

  • Inserito da Lucas il 11/09/2013 11:40:40

    Quindi visto che non tutto il popolo era con Allende è stato giusto il colpo di stato che ha rovesciato un governo democraticamente eletto? Quindi giustifichiamo Pinochet e tutti i crimini che ha commesso...

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