Hoffenbach a Firenze

Un delizioso inferno a Palazzo Pitti, Orfeo costretto dall'opinione pubblica a riprendersi Euridice

Prima rappresentazione domani, venerdì 19 luglio a Palazzo Pitti (cortile dell’Ammannati) ore 21,30; repliche (stesso orario) 20,22,23,24,25 luglio

di Domenico Del Nero

Un delizioso inferno a Palazzo Pitti, Orfeo costretto dall'opinione pubblica a riprendersi Euridice

E domani sera, nel cortile dell’Ammannati, in quel palazzo Pitti che fu la fastosa reggia dei Medici e dei Lorena, si scatenerà l’inferno. Ma un inferno esilarante, dissacrante e divertente, almeno se fatto come … Zeus comanda: quello di monsieur Jacques Offenbach.

Orfee aux Enferns  (Orfeo all’inferno, 1858) è infatti uno dei più noti e travolgenti capolavori di quel compositore tedesco naturalizzato francese che seppe come pochi incarnare non solo l’anima del  Secondo Impero, ma in genere la quintessenza della cultura e della civiltà parigina del secondo Ottocento, al punto da poterne diventare il simbolo come la Tour Eiffel, il Moulin Rouge o…. per l’appunto il Can Can, l’indiavolato galop che diventò ben presto uno dei brani più noti e fortunati di un’opera che è prima di tutto una satira a vari livelli: della società contemporanea del suo tempo, della mitologia ma anche di alcuni mostri sacri della musica come Gluck: insomma, puro stile Offenbach!  E la comparsa, per la prima volta, sulle rive dell’Arno di questo spumeggiante capolavoro parigino, proprio nella stessa sede che vide il primo Orfeo canoro della storia del melodramma (quella Euridice di Rinuccini e Peri che si ritiene la prima “opera” della storia) è come una bottiglia di champagne che il Maggio Musicale ha voluto offrire alla città in queste …. diaboliche calure di luglio: una scelta senza dubbio…. charmant!  

Orfeo all’inferno fu capolavoro annunciato ma sofferto. Offenbach era in possesso già dal 1856 dell’abbozzo di un libretto ad opera di Ludovic Halevy, autore di cui il musicista si fidava molto (e non a torto) ed Hector Cremieux, di  cui invece di fidava assai meno. Era un libretto chiaramente parodico, che mescolava mitologia e – sia pure in modo più soft e dissimulato di quanto non si dica -  allusioni alla vita sociale e politica contemporanea: i tempi dell’Empire di Napoleone III, Napoleone il piccolo come malignamente lo chiamava Hugo, ma per certi aspetti forse molto più tollerante nei confronti della satira dei surcigliosi e moralisti repubblicani che prenderanno anni dopo il suo posto.  Halevy però, se aspirava alla fama come librettista (e l’avrà, considerando che sarà uno degli autori del testo della Carmen di Bizet) faceva una carriera decisamente antitetica tanto alla poesia quanto alla satira: l’amministrazione.  Era stato infatti nominato segretario generale al ministero per l’Algeria e aveva una gran paura di compromettersi, ma alla fine  il compositore la spuntò, anche se Halévy non firmò mai Orfeo.

Dal 1855 il compositore aveva un suo teatro,  i Bouffes Parisiens, in cui però, sino a quel fatidico 1858, aveva composto solo opere in un atto, con pochi cantanti.  Con l’ Orfee il musicista rompe questa limitazione e scrive un lavoro in due atti con numerosi personaggi, coro e ballerini;  nel 1874, in una seconda versione, fu ampliata a quattro e trasformata in un colossale grand-opera, con 120 coristi,60 orchestrali e una banda militare di 40 elementi, oltre che un corpo di ballo di 40  danzatrici. Risultato: più di cento repliche e incassi di due milioni di franchi.

Giovanni Vitali la definisce argutamente “un’opera anticrisi”, in quanto il musicista, che era anche una sorta di manager di se stesso, era solito metterla in campo nei momenti di difficoltà economica,  e quasi sempre con ottimi risultati. Eppure, al suo esordio, nonostante le aspettative, l’opera non sembrava voler superare un dignitoso successo, malgrado un entusiastico  giudizio critico di Jules Noriac sul Figaro dove, paradossalmente e …futuristicamente, ogni parola occupava un rigo: “Inaudito, splendido, sconvolgente, grazioso, incantevole “ e tutta una serie di iperboli. Eppure, a fare la fortuna e a decretare il trionfo dell’opera fu una stroncatura.   Nicolas Janin, critico del Journal des Débats,  classicista e zelatore dell’antichità, si scandalizzò per un testo che trovava addirittura sacrilego e fulminò i Bouffles come rei di dissacrazione, stroncando prima il libretto e poi pure la musica (definita come “cenciosa e da trivio”) e espressioni simili. Non ci voleva di meglio per scatenare la caccia la biglietto e trasformare un onesto successo in un trionfo epocale: 228 repliche, l’ultima delle quali proprio in occasione della battaglia di Magenta il 27 aprile 1859. Ma il 17 giugno dell’anno successivo vi fu un’ulteriore replica tutta speciale, voluta dall’imperatore Napoleone III in persona e alla quale il sovrano si divertì moltissimo, anche se forse avrebbe potuto in qualche modo sentirsi “toccato” dalla figura grottesca  di Giove “tiranno libertino” contro cui gli dei si ribellano al ritmo della Marsigliese; ma non per ragioni politiche e sociali, ma semplicemente perché “questo regime è noioso”. E contro la noia il compositore propone la sua ricetta: una risata liberatrice” e la magia di una musica ora idillica, ora sognante, ora indiavolata e frenetica.

Il libretto, per quanto in sé tutt’altro che malvagio, appare oggi un po’ invecchiato e poco comprensibili soprattutto, i giochi di parole e le allusioni alla realtà dell’epoca. Anche per questo forse il regista dell’edizione fiorentina,  Marco Carniti, ha pensato di “attualizzare” la vicenda, partendo dalla giusta osservazione che Orfée  è una satira feroce contro la borghesia del suo tempo, una “farsa”, sì, ma che induce alla riflessione. E pertanto: 

“Oggi il “nostro” INFERNO contemporaneo è il precariato. La mancanza di lavoro. La fragilita del quotidiano. L’insicurezza del sistema economico. L’impotenza di fronte alla confusione di una società da riorganizzare. Colloco questo Orfeo in un grande condominio formato da loculi-dormitorio, un dormitorio pubblico, abitato da “senza tetto”, da Indignati, da precari, da immigrati, da una società alla disperazione che fa dell’instabilità il suo quotidiano. Un girone dantesco. Un nuovo Purgatorio dove si sosta in attesa di un cambiamento. “

Una lettura quantomeno “azzardata”, soprattutto considerando la cornice di Palazzo Pitti, ma che può riuscire affascinante; vedremo. Del resto, il divertimento non mancherà comunque, anche perché “la musica di Offenbach con la sua ironica esaltazione allevia la stanchezza di un mondo culturale sull’orlo dell’abisso”. Ed è sicuramente apprezzabile che il regista abbia dedicato la sua realizzazione “ alla Fortuna per la città di Firenze, alla ricrescita di un Nuovo Maggio Musicale Fiorentino, alla rinascita di un Paese che ha nella Cultura il suo unico grande vero talento.”   Che Orfeo lo ascolti!

L’opera, una nuova produzione realizzata in collaborazione con Maggio Fiorentino Formazione, è presentata nella versione in quattro atti e dodici quadri ( in lingua italiana)  e vede in scena tutte le componenti del Maggio: l’orchestra, il coro e il corpo di ballo.  Direttore d’orchestra Xu Zhong,  personaggi e interpreti principali:  Euridice Marina Bucciarelli, Orfeo Blagoi Nacoski, Plutone – Aristeo Roberto Covatta, Giove Leonardo Galeazzi. Prima rappresentazione domani, venerdì 19 luglio a Palazzo Pitti (cortile dell’Ammannati) ore 21,30; repliche (stesso orario) 20,22,23,24,25 luglio.  Decisamente da non perdere!

Non essendo la trama particolarmente nota, la riportiamo dal programma di sala preparato dal Maggio:

Orfeo ed Euridice, ben lungi dall’essere un modello di fedeltà, non sono altro che una coppia annoiata. In particolare Euridice non sopporta piu la musica che il marito, violinista di quart’ordine, continua a propinarle ed e divenuta l’amante del pastore Aristeo, il quale non e altri che Plutone travestito. Egli provoca la morte di Euridice per poterla condurre con se nel suo regno infero. Orfeo è ben felice di essersi liberato di lei,ma a quel punto interviene un originale deus ex machina: l’Opinione pubblica che, in nome dei sacri principi del matrimonio, lo costringe invece  a chiedere a Jupiter il permesso di scendere nell’Ade per riprendersi  la moglie. La scena si sposta dunque nell’Olimpo, dove si assiste al ritorno di Cupido, Venere e Marte dalle loro scappatelle notturne. Jupiter ne approfitta per far loro la morale, ma gli dei gli rinfacciano a loro volta le sue imprese amorose e si ribellano sulle note della Marsigliese. Nel pieno della rivolta arriva Orfeo scortato dall’Opinionepubblica, e Jupiter si toglie d’impaccio proponendo a tutti una gita all’inferno, che viene accettata entusiasticamente.

La scena seguente si svolge nel regno di Plutone dove Euridice, trascurata, si annoia.

Suo carceriere è un malinconico personaggio chiamato John Styx il quale, pur attratto da lei, non osa far altro che cantarle i suoi famosi couplets, in cui rimpiange il periodo del suo regno su un paese felice. Intanto Jupiter, trasformatosi in mosca, entra nella stanza di Euridice dal buco della serratura, e riesce a sedurla. L’ arrivo degli dei da inizio a un banchetto nel corso del quale Euridice innalza un inno a Bacco, e Jupiter balla un minuetto che si trasforma a mano a mano in una danza sfrenata, il famoso cancan. I due approfitterebbero della confusione per scappare, ma giunge Orfeo. Jupiter, minacciato dall’Opinione pubblica, non può che acconsentire al rilascio di Euridice, ma impone a Orfeo la condizione riportata dal mito: nel viaggio di ritorno non dovrà mai voltarsi a guardarla. Orfeo accetta a malincuore e sta per portare a termine la sua impresa, quando Jupiter  gli scaglia contro un fulmine che lo costringe a voltarsi. L’Opinione pubblica è giocata ed Euridice, trasformata in baccante, intona le note del famoso galop infernale.

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