Parla Valentuomo

Gian Paolo Serino per il suo blog, http://www.satisfiction.me/ 10 giugno 2013

Solo per il quotidiano Repubblica ho scritto 584 articoli senza contare Venerdi, D Repubblica, L’Espresso. Al tempo, giovane virgulto del giornalismo credevo che Repubblica fosse il top della trasparenza. Poi vari episodi mi convinsero che scrivere per Repubblica non era scrivere per un quotidiano, ma indossare una divisa: quella dei Repubblichini. Una casacca peggiore della camicia nera, perché qui la camicia non era nera, ma impiccata a nodi regimental. Sono molto grato ai miei maestri, Armando Besio e Maurizio Bono, per avermi silenziosamente inserito in questa confraternita di comunardi da CL di montagna. Niente picozze: solo consacrazioni. Mai scommesse, solo promesse.
Comunque: il mio rapporto con Repubblica si deteriorò, fino al mio vaffanculo, quando proposi un inedito che Claudio Magris, storica firma della testata concorrente “Il Corriere”, mi aveva concesso a disposizione per ”Repubblica”. Ricordo ancora le parole di Dario Cresto-Dina, vicedirettore di Repubblica: “Ma dopo loro cosa dicono?”.
Io giovane cronista culturale credevo ancora ingenuamente in una concorrenza di firme e di contenuti, non in un’unicità cultural condominiale.
Comunque a scuola da Repubblica ho imparato tanto: dall’espresso Fabrizio Gatti capace di fingersi un immigrato senza permesso d soggiorno come un camorrista a Scampia a tutti gli inviati di cronaca capaci di rubare identità altrui pur di portare a casa lo scoop.
Una lezione che ho imparato: sono sempre rimasto incuriosito dal rapporto morboso tra i Repubblichini e la fame di sesso di Berlusconi,  tra il media watching (non bird) degli analisti tv di Repubblica e l’uso “del corpo delle donne” delle reti Mediaset. Il Diavolo interpretato dalle Veline. Quante pagine, quanti articoli, quanti editoriali contro le veline colpevoli di rovinare il mondo con la loro giovanile sensualità d’ammiccamento.
Ebbene: appresa la lezione di Repubblica un anno fa mi sono finto una velina, Costanza Caracciolo e guarda caso chi è stato il mio corteggiatore più accanito e spregiudicato? Ma certo! Dario Cresto-Dina: integerrimo vicedirettore 60enne (quasi l’età di Berlusconi) che alla finta Costanza (io) quasi 19ene ha inviato messaggi e mail di ogni genere: da “Ti guardo in tivù ogni sera” a “Vieni a Roma che Ti regalo una copia originale di Pavese”, da “Sei splendida” ad altri corteggiamenti qui non riportabili.
Mi si dirà che il mio comportamento non è stato deontologicamente corretto (spacciarmi per un’altra persona), ma quanti cronisti di Repubblica l’hanno fatto?
Io ho solo messo a frutto la lezione: con l’aggravante che mai mi sarei aspettato che, i Soloni contro l’uso del corpo delle Donne, 60 enni che dovrebbero aver raggiunto la pace dei sensi, ammiccassero a quasi minorenni, a veline ree in pubblico di sfruttare il corpo delle donne, ma in privato oggetto di ogni ammiccamento.
Le mail e i msg sono a disposizione di chiunque le voglio vedere. Ma in una società davvero civile queste persone (non le veline) dovrebbero dare le proprie dimissioni. Troppo facile scambiare la morale con il catechismo. E parlare onanisticamente di sfruttamento del corpo delle donne mentre con una mano si scrivono articoli da Soloni della moralità e con l’altra mano…si pensa a Pavese?

Corre l'obbligo di avvertire che il 60enne Cresto-Dina, ha mandato una precisazione al sito Dagospia che aveva riportato l'articolo di Serino, scrivendo che dopo i primi contatti via mail con la falsa velina si è accorto che si trattava di una identità farlocca, quindi ha capito chi era il vero interlocutore, e sarebbe stato al gioco per vedere a che punto voleva arrivare l'ex collaboratore Serino!

Ma, sarà! La giustificazione non è molto convincente, certo lo è meno della impietosa, ma realistica analisi dell'ambiente culturale di Repubblica che Serino, falsa velina a parte, ci offre.

 D'altra parte tutti sappiamo come sono i "repubblichini" radical chic del giornale fondato da Scalfari, però fa piacere che anche chi li ha conosciuti a fondo confermi quel che è evidente.

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