Parla Valentuomo

Pierluigi Battista, «Corriere della sera», 3 giugno 2013

Molti amici mi chiedono perché non abbia sinora mai replicato alle molestie giornalistiche, ripetute sino alla macchiettistica maniacalità, che Marco Travaglio mi riserva pressoché tutti i giorni, quelli dispari e quelli pari. La risposta era ed è: perché contro un fanatico non c'è argomento che tenga.
Però è difficile dover ingoiare in silenzio l'ultima lezione di deontologia professionale dall'autore dell'intervista più inginocchiata della storia (a Beppe Grillo, uno che ha insultato Rita Levi Montalcini: che coppia), a pari merito con quella di Gianni Minà a Fidel Castro e di Emilio Fede a Silvio Berlusconi. Perciò una volta tanto consumerò queste «Particelle elementari» per «fatto personale». Sarà la prima e l'ultima volta: non c'è nulla di più ridicolo delle beghe tra giornalisti.
Non è mai accaduto che le bastonate di Travaglio abbiano messo in discussione le mie convinzioni. Perché Travaglio non argomenta, mena: e il manganello può intimidire, non far cambiare le convinzioni. Beninteso: mena sempre, tranne davanti al potente che gli sta di fronte. E quando a Travaglio è capitato di dover contrastare Berlusconi in una puntata di «Servizio pubblico», tutti ricorderanno l'umiliante tremolio dell'eroico paladino al cospetto del nemico che lo stava strapazzando.
Mena quando qualcuno si domanda come mai, se davvero le prove erano tanto «schiaccianti» contro Del Turco, l'accusa abbia chiesto per ben due volte un supplemento di indagini per trovare un corpo del reato ancora irreperibile: ma la logica non alberga nella testa dei guardiani della rivoluzione.
Travaglio menava anche chi dubitava che Andreotti avesse davvero baciato Totò Riina. Tutti gli altri, compresi i più agguerriti colpevolisti, facevano finta di crederci: lui ci credeva davvero. Lui è il pasdaran di ogni accusa, la guardia pretoriana di ogni pubblico ministero. La difesa dell'imputato? Un inammissibile attacco alla magistratura. Un giusto processo? Una scocciante perdita di tempo. Ha pubblicato un libro riassuntivo su Mani Pulite in cui ha trascritto (trascritto, non scritto) per centinaia di pagine i capi di accusa, dedicando ai casi di assoluzione al massimo una svogliata ammissione tra parentesi.
Ha scritto articoli per deplorare Berlusconi che sbraitava sulla politicizzazione della Corte Costituzionale. Ma che ha fatto Travaglio quando la Corte Costituzionale ha dato torto al Pm suo amico che in questi giorni trova deprimente lavorare con l'operoso popolo valdostano? Ha scritto che la Corte Costituzionale era nelle mani del comune nemico Giorgio Napolitano: uguale alla tesi berlusconiana, ma la coincidenza non lo turba.
Accusa gli altri di non sapere le cose, ma quando precipita nei suoi strafalcioni giuridici (sua l'invenzione della fantastica categoria dei «non ancora indagati»), molti magistrati confessano il loro imbarazzo per tanto zelo. Essere menati da un tipo del genere è un rischio che bisogna correre, e così si chiude questa rubrica. La prossima volta si torna alle cose serie.

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