Editoriale

Giovanni XXIII, il Papa che cercò di pacificare gli italiani del dopoguerra

A 50 anni dalla morte di Rocalli la storia può sottrarlo agli equivoci di parte

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

cinquant’anni dalla sua morte (3 giugno 1963)  è tempo che anche la figura di  Papa Giovanni XXIII  venga finalmente liberata dalle incrostazioni della retorica (di sinistra) e della superficialità (di destra).  Considerato (da sinistra) vicino alla “politica del disgelo” poststalinista e visto (da destra) come espressione  di un cattolicesimo debole e disposto ai compromessi, Giovanni XXIII offre,  in realtà, a ben guardare, un’immagine tutt’altro che scontata.

Marcello Veneziani, su “il Giornale”, ha sottolineato  “l’altra bontà di  Roncalli”, che parla, con pietà sincera, della fine di Mussolini e di Clara Petacci, non teme di ricordare il “gran bene” fatto all’Italia dal Duce, testimonia, a Norimberga, in favore dell’ambasciatore della Germania nazista Franz von Papen.

Ricordato come il Papa della “Pacem in Terris”, nella quale,  peraltro, lungi da ipotizzare impossibili derive socialiste della Chiesa Cattolica  rivendica la centralità dell’uomo  (“soggetto di diritti e di doveri”), Roncalli fu anche assertore della “pacificazione” tra gli italiani, dopo i sanguinari anni della guerra civile.

Vale perciò  la pena ricordare le sue disposizioni in occasioni del decennale del 25 aprile, decennale ancora gonfio di retorica antifascista e di odio per i vinti. In qualità di Patriarca di Venezia, così disponeva, in data 14 aprile 1955,  il futuro Papa Giovanni XXIII: “Le imminenti celebrazioni civili, nel Decimo Anniversario della conclusione della guerra, suggerisce al mio animo di pastore, per natura ed educazione inclinato a tutto ciò che unisce piuttosto che a ciò che divide, queste norme pastorali per il clero: 1) I sacerdoti si astengano dal prendere parte a manifestazioni puramente civili, o di partito. 2) Richiesti di celebrare funebri officiature  possono farlo, naturalmente in chiesa, secondo le prescrizioni canoniche, e senza pronunciare discorsi: ed alla intenzione di suffragio per tutte le vittime, soldati e civili dell’ultima guerra”.

All’epoca le “disposizioni” del Patriarca di Venezia vennero accolte con grande entusiasmo da Franz Turchi, deputato del Msi e paladino della “pacificazione nazionale”, che  manifestò gratitudine  “verso l’eminente Presule”, sottolineando il suo richiamo non al giorno di “Liberazione”, ma  al “Giorno conclusivo della guerra”,  ed invitando le associazioni e le famiglie dei trucidati del 25 aprile a dedicare le messe, organizzate in tutta Italia, “in suffragio dei Caduti militari e civili di tutte le Guerre e per la Pacificazione degli Italiani”.

Le disposizioni del Patriarca Angelo Giuseppe Roncalli mantengono intatta la loro forza ed attualità anche in ragione delle “derive” attuali di certo mondo cattolico. Quello che si è visto recentemente, a Genova, durante i funerali di Don Andrea Gallo,  tra  fischi ed applausi, canti partigiani e liturgia, pugni chiusi e segni della croce, slogan e preghiere, bandiere rosse e paramenti liturgici, siamo certi non sarebbe piaciuto al Papa Buono.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Brandy il 13/11/2014 05:20:09

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