Maggio Musicale Fiorentino

Le interpretazioni del Barbiere di Rossini

Firenze: il ritorno di Figaro per rallegrare le sorti di un festival un po' malaticcio

di Domenico Del Nero

Le interpretazioni del Barbiere di Rossini

Una scena da " Il barbiere di Siviglia"

Figaro ritorna sul palcoscenico del teatro del maggio Musicale fiorentino, cercando forse di rallegrare le sorti di un festival che ultimamente non ha goduto di eccellente salute e che forse, proprio come l’estroso barbiere, è un po’ ossessionato dall’idea di quel metallo per  colmare la … fossa del  bilancio. Di seguito a Bohéme, il  Barbiere debutta sulla scena il 29 novembre (repliche il  1°-4-6 dicembre) con la regia di Josè Carlos Plaza e la direzione di Antonio Pirolli.

Il film biografico di Monicelli Rossini Rossini, che non rende in verità troppo giustizia al carattere brillante e anche piuttosto audace del sommo musicista di Pesaro, ci presenta l’autore del Barbiere che ormai vecchio e stanco ripensa con nostalgia a quel fiasco storico che consacrò uno dei suoi capolavori: Il barbiere di Siviglia fu infatti una delle cadute più clamorose della storia del melodramma, probabilmente … concertata e strumentata da una cricca avversa a Rossini, che la sera del 20 febbraio 1816 culminò tra i fischi al teatro Argentina di Roma; non manca sull’argomento una abbondante aneddotica, tra cui anche un gatto nero che piombò sul  più bello in palcoscenico. Eppure quell’insuccesso più di tanti meritatissimi trionfi doveva essere decisivo per la sua fama immortale: Beethoven, in uno storico incontro tra i due sommi avvenuto a Vienna nel 1822, profetizzò a Rossini che il Barbiere sarebbe stato rappresentato sinché fosse esistita l’opera italiana; ma, quel che è peggio, sino a una  trentina d’anni fa Rossini era diventato quasi esclusivamente l’autore del Barbiere, che comunque veniva presentato come indiscutibile e quasi unico capolavoro. Basti pensare anche all’enorme fortuna che certe “citazioni” dell’opera hanno avuto anche nel linguaggio quotidiano, come Donne donne eterni dei,  la calunnia è un venticello etc.

Nessuno che capisca qualche nota di musica oggi la pensa più così; anzi, come sovente in questi casi si è assistito all’eccesso opposto, per cui alla sacrosanta riscoperta e rivalutazione di tanti capolavori del grande pesarese ha fatto riscontro un certo ridimensionamento del Barbiere: giustificato, se preso su un piano diciamo così “quantitativo” (non è assolutamente “Il”capolavoro di Rossini) ma del tutto assurdo  se invece si voglia sminuirne la portata e l’altissimo livello artistico; resta pur sempre un capolavoro e non solo del suo autore ma di tutta la storia dell’opera lirica. Per non parlare poi del suo significato sul piano storico e musicologico, per cui con quest’ opera  Rossini perfeziona e supera la grande tradizione dell’opera buffa italiana, del tutto rinnovata grazie al potenziamento del ruolo dello strumentale e ad una tecnica compositiva particolarissima per cui, come ricorda il vecchio ma sempre valido saggio di Luigi Rognoni , il compositore non adatta mai il ritmo musicale alla scansione della parola, ma la parola viene «interrotta, frammentata, ridotta infine spesso alla scansione di quelle note ribattute che costituisce una delle formule più frequenti e suggestive del comico rossiniano»[1]

Questo significa che spesso si ha l’impressione che la musica, ben lungi dall’adeguarsi  in qualche modo alla parola, infierisca su di essa, martellandola e in qualche caso stravolgendola, o meglio creando degli effetti che sono del tutto indipendenti da essa. Se tale procedimento viene portato alla massima perfezione nel capolavoro “turchesco” ( L’italiana in Algeri) non mancano certo esempi anche nel Barbiere; a partire dal vorticoso e trascinante finale dell’atto primo Mi par esser d’esser con la testa, con cui il musicista: «Vuol trascinare il pubblico  e si serve di un elementare procedimento  basato su due immagini  onomatopeiche altrettanto elementari:  una melodia ondeggiante su  l’ostinato dell’orchestra  (…) quindi il consueto parlato sillabico (alternando questo è quello pesantissimo martello …)»[2].

L’effetto, continua Rognoni , è quello di una vertiginosa corsa circolare che non trova mai un punto di arrivo e infine termina con le solite ripetute cadenze che invitano alla risoluzione finale. Ma al di là dei particolari tecnici, quello che sorprende è la ricchezza dell’invenzione, delle trovate musicali, della perfetta aderenza della musica al libretto che Cesare Sterbini aveva ricavato dalla Commedia di Beumarchais; tanto più stupefacente, se si pensa che Rossini compose le oltre seicento pagine di partitura del Barbiere in un tempo brevissimo; forse non proprio otto giorni, come lui stesso amava far credere, ma certo non più di tre settimane. Un tempo incredibilmente breve, ma non insolito per un artista come Rossini che pure una certa aneddotica ha volentieri dipinto come pigro e indolente.

Certo, occorre far la debita tara al metodo ancora “settecentesco” con cui il compositore lavorava, riciclando e adattando materiali di opere precedenti (ma cose del genere verranno fatte, anche se con minori proporzioni, anche dagli autori più propriamente “romantici”, per i quali valeva come imperativo quasi categorico il principio della assoluta originalità e unicità dell’opera d’arte). Emblematico il caso della sinfonia, nata per un’opera seria, L’ Aureliano in Palmira  (Milano 1813) e riadattata con lievi ritocchi orchestrali per L’Elisabetta d’Inghilterra, rappresentata due anni dopo al San Carlo di Napoli, allora il primo teatro d’Italia e uno fra i primi d’Europa.

Può essere che Rossini avesse composto per il Barbiere una sinfonia originale su temi spagnoli poi scomparsa, ma la notizia è molto incerta; senza dubbio oggi sarebbe impossibile separare l’opera dalla sua Ouverture consolidata dalla tradizione, anche se certo, a un attento ascolto, essa appare molto meno pertinente di quella, ad esempio, dell’Italiana in Algeri, che presenta un andamento e alcuni passaggi davvero “turcheschi”, ravvisabili anche nella  strumentazione; e sempre l’Aureliano fornì materiale per due importanti arie della sorella maggiore.

Scandaloso? Assolutamente no, era una prassi abituale all’epoca a cui nessuno si sottraeva; e del resto, con tutte le citazioni e le riprese che può presentare e che un pedante alla dottor Bartolo potrebbe puntigliosamente elencare, l’opera rimane un capolavoro straordinario.

Merito certo anche del libretto di Sterbini, che se privava il testo dell’eversivo commediografo francese di tutta la sua carica “rivoluzionaria”, tuttavia lo riproduceva per il resto abbastanza fedelmente nei suoi punti  fondamentali, offrendo così al compositore un materiale scenico di qualità piuttosto elevata: Figaro, dal personaggio calcolatore e dialettico che era in Beumarchais, diventa un popolano chiacchierone e astuto, tipo particolare di basso tendente al baritono (e quasi sempre interpretato da baritoni); Rosina una ragazza moderna che sa fin troppo il fatto suo, nata come contralto ma spesso interpretata da mezzosoprani;  Almaviva (tenore),  un giovanotto dinamico che va diritto al suo scopo; mentre il dottor Bartolo (basso buffo) e don Basilio (basso), sono due caricature di certi personaggi del  vecchio mondo che il compositore ben conosceva. 

Ma quello colpisce è anche una sorta di parodia  che il musicista conduce, con abilità e eleganza di tutto il vecchio mondo settecentesco che è ormai tramontato con la rivoluzione francese: e se Rossini per certi aspetti, nel metodo di lavoro, può sembrare un artista “settecentesco”, in realtà è ormai lontanissimo da quel mondo e non per nulla concluderà la sua parabola artistica con quel capolavoro “romantico” che è il Guglielmo Tell.

Lo stesso uso  dell’orchestra, la cui “recitazione strumentale” fa da contrappunto calibrato a quella scenico-vocale –  differenzia notevolmente il Barbiere (e non solo) dai pur venerabili capolavori della scuola napoletana; tra cui si può annoverare anche il Barbiere di Siviglia del vecchio collega-rivale Giovanni Paisiello, rappresentato a Pietroburgo nel 1782, (i cui sostenitori sembra abbiano avuto un ruolo importante nel fallimento della prima rossiniana), presi in giro senza neppure troppi sottintesi in più di una occasione. Del resto, sin dai suoi esordi Rossini si era guadagnato il soprannome di “tedeschino” per il suo viziaccio di avere ben presenti modelli d’oltralpe come Mozart e Haydn; e c’è chi ha affermato che il Barbiere è l’opera che Mozart avrebbe potuto scrivere se avesse vissuto almeno un’altra ventina d’anni …

L’edizione che va in scena in questi giorni riprende, per la regia e i costumi, quella della stagione 2006-7: una messa in scena multicolore e brillante, per certi aspetti forse sin troppo sgargiante anche se nell’insieme gradevole, con un Figaro – ciclista di sicuro effetto.  Quantomeno, non si è  davanti a stravolgimenti o “attualizzazioni” il cui effetto rischia sovente di inquinare l’incanto della musica. Se la bacchetta era allora affidata a Roberto Abbado (che non fu in verità troppo convincente) il compito di suscitare gli incanti e gli indiavolati ritmi rossiniani è affidato ora a  Antonio Pirolli, rispettabile e stimato direttore il sui repertorio sembra essere però più proiettato nell’800 vero e proprio, anche se ha già diretto il Barbiere in più di una occasione.


[1]Luigi ROGNONI,  Rossini, Torino, Einaudi, 1977, p. 12.

[2] IBIDEM, P. 78.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da NewBalance547 il 15/11/2014 11:10:17

    Xs235New@163.com

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