I modi di dire della mi nonna …

Piercolo, Ceccofuria, Meo, Masino e Brandano: sul palcoscenico del sapere popolare. Prima Parte

In quella lingua apparentemente popolare quanta cultura antica, quella vera...

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Piercolo, Ceccofuria, Meo, Masino e Brandano: sul palcoscenico del sapere popolare. Prima Parte

Mia nonna, una donna meravigliosa, si chiamava pensate un po’ Umiltà, ribattezzata poi da tutti Milta o Miltaina.

Era nata agli inizi del secolo scorso e si portava dietro la bella lingua popolare dell’ Ottocento.

Quando si rivolgeva a me usava un vocabolario tutto suo, o meglio, tutto pistoiese che, da piccolo, mi sembrava misteriosamente colorito di immagini ignote che diventavano però familiari a forza di sentirmele ripetere.

Quei modi di dire, quelle esortazioni, quegli epiteti che la nonna ha continuato a proferire fino a che non è morta, hanno creato dentro di me un vocabolario indimenticabile che ancora, qualche volta, mi piace usare anche se nella maggioranza dei casi si tratta di riferimenti a immagini personaggi luoghi e semplici consuetudini che in pochi sono in grado di comprendere.

Eppure, in quella lingua apparentemente popolare quanta cultura antica, quella vera, non quella appresa nelle aule scolastiche, ma succhiata di generazione in generazione con il latte materno.

Per non perdere tale memoria orale proverò a frugare nei cassetti dei miei ricordi per cercare di rimettere insieme il corredo di quegli antichi detti.

Questi forse li conoscete:

La volta in cui, avevo alcuni amici a pranzo o a cena e, tardavamo ad alzarci da tavola lei, per tranquillizzarmi soleva dire:

“ Mimmo, a tavola ‘un s’invecchia” – Ragazzo, a tavola non si invecchia

Sempre, con riferimento al cibo, quando notava che mangiavo troppo era solita proferire:

“Quel che ‘un ammazza, n’grassa” – I cibi non avvelenati ingrassano

Questi, invece, forse no!

Poi, ogni volta che non riuscivo a svolgere i compiti di matematica, per consigliarmi di chiedere soccorso a un compagno di classe più bravo, diceva:

Meglio un aiuto che cento consigli a bischero!!

Sempre in merito agli amici soleva argomentare:

Gli amici son come i fagioli, mimmo, parlano col di dietro” – Intendeva dire che molto spesso le persone di cui ci fidiamo maggiormente sparlano di noi alle spalle…

Quando, non voleva assolutamente saperne di una cosa significava così:

Ghigo beccami se ti do retta…” –  Ghigo= becchino del cimitero, quindi : morissi, se ti ascolto

E ancora:

Sacco voto e ‘un istà ritto” – Chi non mangia non sta in piedi

Sovente usava pronunciare questa frase:

“ …E l’allogherei meglio il mi tempo prima di fa’ cotesta cosa” -  Lo passerei meglio il tempo prima di fare ciò che mi dici.

Allogherei deriva dal verbo allogare o alluogare, cioè accomodare in luogo, locare e usato dallo stesso Boccaccio (Nov. 40. 13) « ne la portarono in casa loro e allogaronla a lato a una camera».

Poi: “ Mimmo riguardati sempre dalle tre C, cugini, cugnati e compari. Un ce n’è uno bono” – Ragazzo guardati da queste tre C, cugini, cognati e compari. Nessuno di loro è affidabile

Quando tornavo da giocare al calcio, e sporcavo mezza casa, mi riprendeva così:

O disgraziato tu mi sembri il ciuo di Brandano" – O disgraziato sei tutto trasandato e sporco. Nel vocabolario pistoiese, infatti, si trova la seguente spiegazione :« espressione scherzosa per persona particolarmente sciatta e sudicia».

In certune circostanze quando le sembrava facessi il furbo o il menefreghista diceva queste parole:

“E tu mi sembri la gatta di Masino” – Cioè, fingere di non vedere nulla per non doversi muovere, per pigrizia, o altro.

Deriva, da un bicentenario racconto, che narrava di una gatta, appunto del contadino Masino, che chiudeva sempre gli occhi per non veder passare i topi, altrimenti avrebbe dovuto acchiapparli.

“ E tu la fa lunga come la camicia di Meo” – La fai troppo lunga, dai un taglio alla questione

Il Meo della frase secondo il dizionario pistoiese è il nome generico di un ragazzo o garzone.

Spiega, inoltre, Carlo Lapucci, nel suo dizionario dei Proverbi Italiani, che Meo è una figura popolare non meglio identificata. Di lui questa storiella: Un tal Meo, in un certo luogo con una tal donna, intenti a fare l’amore furono sorpresi dal marito di lei. La signora, velocemente, riuscì a ricomporsi, Meo invece tentennò parecchio tanto da mostrarsi al consorte dell’amante solo in braghe di tela e una camicia lunghissima che copriva il suo membro.

La donna, come se niente fosse accaduto, si rivolse così al marito: E’ lunga la camicia di Meo! Quasi che il ragazzotto si fosse tolto i pantaloni per far vedere la lunghezza spropositata della camicia.

“ O Grandiglione, tu se sempre a gioa’ a pallone” – Sei grande, ma sei sempre a giocare a calcio

Una frase con cui si riferiva al nonno:

“ Vo’ chiamà quel pièrcolo del tu nonno“ – Vuoi chiamare quell’ omone di tuo nonno

Alcune volte, in cui avevo veramente premura e non l’ascoltavo mi urlava:

“ O ceccofuria quando l’avrai un po’ di tempo per la tu nonna” – O frettoloso quando avrai un po’ di tempo per me

Ma l'appellativo che più le piaceva gridarmi dietro era :

“ O ciabattone e ti ci vol la serva per rimettere a posto tutta la tu roba” – Disordinato, ti ci vorrebbe la cameriera per rimettere in ordine tutto

Molto raramente, perché amavo mangiare tutto escluso il baccalà e l’anatra, mi diceva :

E tu sei proprio un biasciantingoli”  - Sei proprio svogliato nel mangiare

Alle prime mie uscite con le ragazzine, perché stavo molto a guardarmi allo specchio, scherzava dicendomi:

“ Mimmo e tu sei divento un pottaione di nulla” – Ragazzo, sei diventato un vero vanitoso 

Da allora, queste giovincelle, che ogni tanto si presentavano a casa a trovarmi, pagavano a caro prezzo la selezione sociale, che veniva loro riservata da mia nonna.

Mimmo o che cefregna ti sei messo alle mani; ohimmene credevo avessi più gusto” – Ragazzo, o che fidanzata lagnosa hai scelto; credevo avessi più gusto, povera me!

“ Mamma mia che sbrecca tu m’ha fatto conoscere!”-  Mamma mia che brutta ragazza mi hai presentato

Da questo suo modus totalmente negativo di vedere le cose, riusciva con l’intelligenza tipica delle donne di quel tempo e di quell’età, a trarre delle note anche positive; cioè dopo aver gioiosamente infierito soleva argomentare, quasi a scusarsi: 

Sì, però a rivederla meglio e un è da buttà via, in fondo un’è mia rozza, e poi un mi sembra proprio una comandiera”. – A riguardarla in fondo non è così male. Mi sembra che non sia una che vuol comandare

Insomma la identificava un po’ con se stessa, non eccessivamente bella, non volgare, non brutta, non saccente. In pratica la donna ideale. 

Quasi giornalmente, a una sua amica non eccessivamente intelligente, le imputava:

Se ‘ontenta tu ti sei fatta coglionà un’altra volta” – Sei contenta ti sei fatta prendere in giro ancora una volta

Spesso, quando questa sua amica cercava di far apparire una situazione più complicata di quella che in realtà era, diceva:

“ Giù via, ‘un la fa tanto pallocolosa!”- Per favore non farla più difficile di quel che è.

Quando notava che avevo la maglia sporca, o una camicia o i pantaloni me ne faceva accorgere dicendo:

“ O ‘un lo vedi che tu c’hai una gora sulla ‘amicia?”- Non vedi che hai una macchia sulla camicia? Deriva da verbo gorare, cioè far scorrere lasciando una traccia…

Bene, questa è la prima parte del personale vocabolario di mia nonna Miltaina e chi, abitante della Toscana certamente troverà ancor abbastanza diffuso tale argomentare, magari con varianti locali.

Chi, invece, in altri lidi risiedente spero resti incuriosito e un tantino interessato da questo parlar pistoiese.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da C'è una somiglianza sorprendente tra la parlata del mio paese (Castelnuovo Val di Cecina) e quest esempi. C'erano tanti tagliateli che venivano a lavorare nelle Colline Metallifere e in il 17/12/2023 21:47:56

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