Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La copertina del libro
“Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, il celebre aforisma manzoniano, riferito a Napoleone, pare adattarsi alla perfezione al libro di Sergio Valzania I dieci errori di Napoleone (Mondadori, 2012, pp.232, € 19,00).
Da storico di razza Valsania si cimenta in modo assolutamente convincente, nel difficile esercizio di riscrivere la storia con i se e con i ma. Operazione che riesce a pochi, se non a coloro che sanno maneggiare con perizia e profonda conoscenza le vicende storiche di cui parlano.
Dal 1804, anno in cui l’imperatore dei francesi riprende la guerra contro l’Inghilterra, fino alla rovina del 1814, gli errori di Napoleone, il numero dieci è del tutto indicativo, finiscono per condizionare l’assetto del Vecchio Continente fin quasi alle soglie della prima Guerra Mondiale.
La disfatta di Waterloo non fu dovuta soltanto all’imperizia tattica dei generali francesi, ma a un’errata impostazione eccessivamente centralizzata, che vedeva nell’imperatore l’unico referente sul campo di battaglia.
Si è parlato di tradimenti, che senz’altro ci furono, ma fu soprattutto la scarsa capacità di comunicazione fra i vari reparti a sancire la cocente sconfitta dei francesi. Tutto ciò, ad avviso di Valsania, è dovuto a un primo fondamentale errore: il mancato decentramento sia sotto il profilo militare che amministrativo. L’autore rimprovera a Napoleone l’incapacità di andare oltre l’opzione militare, di saper prevedere le mosse dell’avversario, insomma di non capire niente di politica e diplomazia.
Sul piano politico il familismo di cui l’amministrazione napoleonica si fa forte, mostra tutti i suoi limiti. Anziché organizzare un apparato multicentrico, sul modello dell’impero austriaco, il centralismo francese dà la stura al nazionalismo, basti ricordare i problemi che il fratello del Bonaparte, Giuseppe, incontrerà una volta insediato sul trono di Spagna. Secondo Valsania l’altro gravissimo errore di Napoleone è stato quello di non avere voluto mantenere a tutti i costi la pace con l’Inghilterra, a portata di mano dopo il trattato di Amiens. “”In tutta la sua esperienza di reggitore dello stato francese quella firmata ad Amiens costituisce l’unica, preziosa occasione di pace con l’Inghilterra che gli viene offerta; rispetto ad essa l’unica alternativa consiste in una guerra per vincere la quale occorrono strumenti di cui la repubblica e poi l’impero non dispongono..”.
La miopia politica dell’imperatore dei francesi, che sottovaluta la fondamentale importanza della guerra in mare, fa bene Valsania a sottolineare l’importanza della guerra marina, porterà diritto a Trafalgar e neppure la vittoria di Austerlitz potrà cancellarne le conseguenze.
“Quanto Napoleone è metodico e preveggente nell’organizzazione dello Stato e dell’esercito francesi – osserva l’autore – altrettanto si dimostra caotico e gretto nella gestione della politica estera”. Lo dimostra con assoluta evidenza la mala gestione dell’importante accordo con la Russia di Alessandro II stipulata a Tilsit secondo cui veniva deciso la sua partecipazione al blocco continentale del commercio britannico voluto dall’imperatore.
Dalla metà del 1807 al 1812, quando Napoleone decide di avviare la campagna di Russia dando il via a uno dei maggiori disastri militari che la storia ricordi, egli disperde un patrimonio politico-diplomatico che avrebbe influenzato l’assetto dell’intero continente europeo.
In una parola, conclude Valsania “con l’eccezione della scelta dei collaboratori per la battaglia di Waterloo, i più significativi errori che Napoleone commise, tutti dovuti alla sua mancanza di comprensione per la situazione strategica complessiva e alla scarsa definizione degli obiettivi certi ad essa collegata, non sono esterni alla sua epopea. Essa non avrebbe potuto vivere senza di loro e se non fossero stati commessi non si sarebbe manifestata in modo compiuto”.
L’esilio di Sant’Elena, per quanto duro, è dunque il risultato inevitabile della parabola politico-militare di un personaggio che ha sì contribuito a far grande la Francia ma ha provocato tali e tante reazioni che sarà addirittura convocato un Congresso tra i paesi europei, quello di Vienna, per ripristinare lo status quo.
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