In margine a un libro dedicato a Nietzsche

Siamo capaci di afferrare a piene mani la vita e mordere, giorno dopo giorno, le ore per raggiungere i propri obiettivi?

La potenza e l'atto, l'eterno dissidio fra quel che potremmo fare e non facciamo, non per il successo ma per la completezza.

di Giulia Bartolini

Siamo capaci di afferrare a piene mani la vita e mordere, giorno dopo giorno, le ore per raggiungere i propri obiettivi?

" Ho ritardato la compilazione e la pubblicazione di articoli scientifici. Mi sono rifiutato di fare i passi preliminari necessari per il ruolo. Non mi sono iscritto alle associazioni mediche giuste, non sono entrato a far parte di alcuna commissione universitaria, non ho stabilito i giusti collegamenti politici. E non so perché. Forse tutto questo ha a che fare con la potenza. Forse di fronte alla competizione mi sono tirato indietro. Per me è più facile competere con il mistero dell'equilibrio di un piccione che con un altro uomo."

Mi sono imbattuta in questo passo leggendo il romanzo di Irvin D.Yalom Le lacrime di Nietzsche e ho trovato queste righe troppo eloquenti per non essere estrapolate dal contesto e gettate, anche senza troppi riguardi, all'interno della realtà odierna. A parlare è il protagonista del libro, il famoso Josef Breuer, quarantenne psichiatra dai tratti geniali, mentore di Freud, medico a Vienna di personaggi come Brahms, Brentano e lo stesso Nietzsche; rinato dalla penna dello scrittore con una grande carica emotiva e un'intelligenza, un'arguzia e una personalità che oserei definire "potenti".
Il mio non è un semplice elogio del libro di Yalom (che in ogni caso consiglierei a chiunque di leggere, per di più se dotato di una sufficiente conoscenza della filosofia Nietzschiana), ma un  tentativo di far risorgere nell'animo dell'uomo moderno quel significato di "potenza" che molti di noi oggi ignorano volontariamente o meno.

Quanti di noi, e parlo da semplice ventenne, pur dotati di grandi sogni, di prospettive infinite, di ideali splendidi e spesso realizzabili, sono incapaci di afferrare a piene mani la propria vita e di mordere giorno dopo giorno le ore facendo ogni singola mossa necessaria a raggiungere i propri obiettivi?

Parlerò in maniera pratica proprio per non allontanarmi da quella che è la mia personale visione ed esperienza in relazione a questa stessa potenza, o a questo, se vogliamo definirlo tale, “essere in potenza”.

Quanti libri deve leggere un individuo prima di poter lui stesso accingersi a scriverne uno proprio? Quanti scrittori deve conoscere, amare, odiare e scegliere come modelli prima di proclamarsi o di essere proclamato lui stesso un giorno "scrittore"?

Quante situazioni deve sfruttare un essere umano, quante occasioni cogliere, quanto si deve attivare, nella propria vita un individuo per poi poter parlare e lamentarsi di ciò  che va storto nel mondo, di ciò che non comprende o che vorrebbe cambiare senza essere giustamente definito ( per dirla schiettamente) un semplice chiacchierone? Io non lo so. Il protagonista del libro non lo sa, e forse non esiste risposta.

Eppure mi ritrovo a battermi a pugni nudi con il mio essere in Potenza senza avere la capacità di "sfruttare" tale essenza al massimo della sua stessa potenza. Si tratta probabilmente di un puro circolo vizioso. Facciamo progetti, parliamo di grandi obiettivi, eppure la società, la vita quotidiana, il nostro banale vivere o sopravvivere giornaliero, le piccole preoccupazioni, che appaiono così lontane dai nostri obiettivi, spesso ci distraggono a tal punto da impedirci di fare il massimo per divenire grandi medici, grandi scrittori, grandi filosofi, grandi essere umani.

Si può raggiungere la vetta, come il dott. Breuer, eppure non aver fatto tutto ciò che era possibile fare; ovviamente a questo punto entra in gioco la possibilità di scegliere. Si sceglie come "sfruttare" la propria potenza o è lei a esprimersi o ad uscire dagli unici piccoli spiragli che lasciamo aperti distrattamente nel nostro stesso inconscio?

 I.D.Yalom ci presenta un Nietzsche che ama questo concetto di Potenza a tal punto da risultare ed essere incapace di sopportare di sottomettere la propria a quella di un altro, incapace di ricevere consapevolmente aiuto da un qualsivoglia altro individuo, che così eserciterebbe la propria potenza in misura maggiore rispetto al filosofo che riceve l'aiuto.

E' forse questo il modo giusto di "sfruttare" la propria Potenza? Non permettere a quella di un altro individuo di governare la propria o di aiutarla, o forse addirittura di arricchirla? Lascio a chi legge la possibilità di scegliere la propria risposta (inconsciamente o consciamente), eppure mi ritraggo spaventata di fronte alle ultime parole di Breuer :

" Forse di fronte alla competizione mi sono tirato indietro. Per me è più facile competere con il mistero dell'equilibrio di un piccione che con un altro uomo".

E' forse questo il problema principale che ci spinge ad non essere del tutto la nostra stessa Potenza, il nostro essere in Potenza? La competizione spaventa , l'altro individuo e il dover paragonare la propria potenza con quella di un altro terrorizza , forse proprio perché, riprendendo il medesimo circolo vizioso, si ha sempre paura, di non aver fatto abbastanza, di non aver preparato abbastanza la propria stessa potenza, di non aver reso se stessi completamente pronti al confronto.

Ma al confronto con chi? Con l'altro essere umano? Questa paura di essere sopraffatti, questa paura del paragone puro non è altro che paura della propria incompletezza,  senso di colpa per tutto ciò che ancora ci manca, incapacità di accettare completamente quel "so di non sapere" Socratico che è unica verità e che ci ha fregati tutti.

Il concetto di potenza è eterno in questo senso, l'eterna paura dell'uomo che lo porta sempre a non fare abbastanza poiché anche fare molto non sarebbe mai abbastanza; quell'eterna paura di ogni individuo , giorno dopo giorno , traguardo dopo traguardo, senza mai una vera meta d'arrivo , di riscoprirsi come ci direbbe Nietzsche "Umano, troppo umano".
E allora che si fa? Non si butta via il nostro essere in Potenza, ma nemmeno quella consapevolezza Socratica, quella risata Nietzschiana che accetta l'eterna non finalità.

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    4 commenti per questo articolo

  • Inserito da gian galeazzo tesei il 20/08/2012 19:11:30

    Se ho letto bene l'autrice di questo ottimo articolo e' una "semplice ventenne". In tal debbo esprimere subito la mia ammirazione. Complimenti ragazza , splendide riflessioni ! Da semplice vecchio (non dico quanto) voglio confessare che ancora rimpiango le volte, non pochissime, in cui , per pigrizia spero piu' che per mancanza di coraggio, dinanzi alle opportunita' di competere mi sono tirato indietro. La potenza in senso nietzschiano si puo' esprimere , per quanto deduco, dal rapporto tra le opportunita' di competizione che si sono presentate e quelle che si sono effettivamente colte.

  • Inserito da gian galeazzo tesei il 20/08/2012 19:11:29

    Se ho letto bene l'autrice di questo ottimo articolo e' una "semplice ventenne". In tal debbo esprimere subito la mia ammirazione. Complimenti ragazza , splendide riflessioni ! Da semplice vecchio (non dico quanto) voglio confessare che ancora rimpiango le volte, non pochissime, in cui , per pigrizia spero piu' che per mancanza di coraggio, dinanzi alle opportunita' di competere mi sono tirato indietro. La potenza in senso nietzschiano si puo' esprimere , per quanto deduco, dal rapporto tra le opportunita' di competizione che si sono presentate e quelle che si sono effettivamente colte.

  • Inserito da gian galeazzo tesei il 20/08/2012 19:11:26

    Se ho letto bene l'autrice di questo ottimo articolo e' una "semplice ventenne". In tal debbo esprimere subito la mia ammirazione. Complimenti ragazza , splendide riflessioni ! Da semplice vecchio (non dico quanto) voglio confessare che ancora rimpiango le volte, non pochissime, in cui , per pigrizia spero piu' che per mancanza di coraggio, dinanzi alle opportunita' di competere mi sono tirato indietro. La potenza in senso nietzschiano si puo' esprimere , per quanto deduco, dal rapporto tra le opportunita' di competizione che si sono presentate e quelle che si sono effettivamente colte.

  • Inserito da Loredana il 20/08/2012 12:20:04

    Non conoscevo questo aspetto di Nietzsche. Purtroppo, ogni volta che nella conversazione o sotto i miei occhi quando leggo, emerge la figura di un filosofo, soprattutto di uno intenso come questo, rimpiango il modo superficiale in cui mi è stata insegnata filosofia al liceo, perché questo mi ha impedito di trattenere qualcosa di più oltre a semplici nozioni temporali (per evitare di collocare Nietzsche, per esempio, nel Seicento) e qualche pietra miliare del suo pensiero (il Superuomo, sempre in questo caso). Il brano citato all'inizio dell'articolo mi ha colpito con forza, perché riecheggia una mia riflessione di questo periodo. E per rispondere alla domanda contenuta nel titolo, direi che non tutti siamo capaci di concentrarci, visualizzare i nostri obiettivi, e mordere per raggiungerli. Il successo spaventa l'essere umano quanto l'insuccesso, per mille motivi. Digeriamo male l'idea di essere scintille d'universo in carne, e di avere potenza "seria" nei nostri cuori, perché un certo insegnamento ci ha imposto di essere umili (nel senso di "umiliati"), e di non osare spingere troppo lo sguardo in alto o in avanti, perché si potrebbe "peccare" di presunzione. Alcuni di noi, invece, ignorano bellamente questa vocina ammonitrice, e leggono, scrivono, si misurano, s'interessano, mordono, vengono morsi, frustati, maltrattati, ma alla fine costruiscono la propria vita e brillano. E la luce della ribalta su di loro non è che il riflesso, talvolta, della luce che inonda da dentro, dalla consapevolezza di aver realizzato la propria potenza. E' un bell'esempio da seguire, quando ci si trova a mani nude a lottare contro il proprio senso di IM-Potenza.

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