Editoriale

Tornare a Itaca. In che senso definirci oggi conservatori

Riforme costituzionale, priorità di spesa, ridimensionamento della casta dei politici, alienazione del patrimonio demaniale e altro per rifondare un programma di destra

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

ono davvero contento che intelligenze sottili e profonde come quelle di Veneziani e Malgieri si siano mobilitate per lanciare un appello a tutte le energie vitali che si riconoscono – uso il termine per una facile e immediata comprensione – nella “destra”. Naturalmente, condivido molto di quanto da entrambi è stato scritto, a partire dalla rivalutazione del termine “Conservatorismo”; purtroppo, l’uso frequente nelle squallide cronache quotidiane della politica lo ha connotato in negativo, oltretutto attribuendolo indiscriminatamente a questo o a quel soggetto politico o sociale – partiti, poteri forti, sindacati, corporazioni varie – al punto di renderlo (quasi?) inservibile, ai fini di una auspicata rinascita della politica “alta”.


Dunque: in che senso potremmo definirci “conservatori”, nell’Italia di oggi? Soprattutto: cosa c’è da “conservare” fra le Istituzioni, l’apparato normativo, la cultura diffusa, gli usi e i costumi, la stessa economia? Una risposta compiuta richiederebbe quanto meno lo spazio di un ampio saggio. Qui mi limito a ricordare che ogni “vero conservatore” (così recitava il titolo di un saggio di Barry Goldwater), lungi dal ritenere esaurito il proprio compito politico nella difesa acritica delle posizioni di privilegio sociale, culturale, economico, non può che rendersi protagonista di incessanti elaborazioni, di continui adeguamenti volti a salvaguardare i “valori non negoziabili”, ma anche a modellarne le manifestazioni storiche allo “spirito del tempo”; insomma, il “vero conservatore” deve essere  sempre capace di nuove sintesi e di opportune mediazioni.

Questo e non altro fu lo spirito della “Rivoluzione Conservatrice”, apparente ossimoro di una politica che sola, ancor oggi, merita di attrarre le giovani generazioni.

Tornando alla nostra attualità, vedo una distesa di macerie morali, che conseguono a movimenti tellurici – ora bradisismici, ora violenti – tali da lesionare la nostra compagine morale e intellettuale. In questa nostra Italia (ma, dovremmo dire, in gran parte della nostra Europa), sono stati messi in discussione e, quindi, privati di ogni radicamento negli strati più profondi dell’inconscio collettivo, principi fondatori di ogni società, quali il principio di autorità, la responsabilità che consegue ad ogni decisione, il rispetto dei ruoli.

Contemporaneamente, sembrano andati perduti valori che costituiscono il collante di ogni civile convivenza: la capacità di conciliare gli interessi di singoli e di gruppi, nel nome del superiore interesse generale; la capacità di inclusione; il riconoscimento delle ragioni dell’Altro, su cui si basa l’esplicitazione e l’ampliamento dei diritti civili; lo spirito di sacrificio, soprattutto a beneficio delle generazioni future; la frugalità di costumi – pubblici e privati – che, ad esempio, impedisce di consumare più di quel che necessita, e così via.


Si tratta di un quadro metapolitico, che dovrebbe ispirare ogni programma politico (non solo “di destra”) e che dovrebbe essere sottoscritto da tutti i possibili naviganti verso Itaca. Volendo fare qualche esempio concreto, in ordine sparso e non certo cronologico, sul terreno propriamente politico mi sembrerebbe opportuno: 


        -procedere al riordino della nostra “società politica”, mettendo mano a riforme costituzionali – varate da un’Assembla Costituente eletta con metodo proporzionale – nella direzione di un recupero del legame fra cittadini e rappresentanti, di una più rapida e responsabile capacità decisionale dei soggetti investiti di potestà governative ai vari livelli; in generale, nel segno di una legittimazione derivante da un ampio, diretto ed esplicito mandato popolare. Ad esempio, la riforma in discussione (semi-presidenzialismo con elezioni a doppio turno, sullo sfondo di un sistema bipolare, ma con vincolo di mandato dell’eletto verso l’elettore), potrebbe costituire un utile punto di partenza;

       -riformulare alcune priorità di spesa, tenendo conto in particolare del fatto che l’Italia è un paese “post-industriale”, che, ad esempio, ha bisogno più della “banda larga” che non di qualche nuova autostrada; ma, soprattutto, privilegiando e valorizzando – non solo “manutenendo”! – i cosiddetti “beni culturali”, sia materiali che immateriali. Su questa linea, l’insegnamento e la ricerca dovrebbero ottenere la precedenza rispetto ad altri capitoli di spesa (gli stessi stanziamenti per le missioni militari all’estero andrebbero ridiscussi, alla luce della crisi presente e perdurante);

        -provvedere a  un generalizzato ridimensionamento della “casta dei politici – ma non solo! - a patto che riguardi tutto “l’indotto”: posti di sottogoverno, aziende municipalizzate, burocrazia, Istituzioni (vogliamo ridisegnare/sfoltire le Province?), assemblee elettive e assessorati pletorici, consulenze strapagate, massicce assunzioni clientelari e così via;

        -mettere mano il più velocemente possibile all’abbattimento del debito pubblico, facendo leva sulla vendita/valorizzazione reddituale dell’ingente patrimonio demaniale e varando un’imposta sui grandi patrimoni;

        -finalizzare quanto più possibile le entrate erariali, da collegare con trasparenza alle rispettive fonti di spesa (non necessariamente attraverso lo strumento federale, che in Italia, semmai, più che alle Regioni andrebbe storicamente riferito ai Comuni);

          -ricercare intese su basi europee, ai fini di una revisione dell’Unione attuale, basata sulla conquista del potere effettivo da parte di un solo paese – la Germania – con l’acquiescenza/collaborazione interessata di una cerchia di burocrati tecnicamente irresponsabili e – tanto per limitarci ad un solo esempio – riluttanti ad accettare l’evidenza del superamento di misure anti-inflazionistiche, in epoca di recessione diffusa. Solo su simili presupposti i popoli possono accettare la rinuncia a quote crescenti di sovranità nazionale, a vantaggio di un’entità che ha in spregio le regole democratiche e sembra paventare l’avvio di un processo di unificazione politica del Continente;

         -conciliare politica del territorio e politica energetica, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’estero del nostro paese.


Mi rendo conto di avere stilato una sorta di sintetico programma politico che su molti punti difficilmente darebbe luogo al necessario, largo consenso. 

E qui veniamo all’appello di Veneziani e Malgieri. Premetto che a mio avviso la politica non è solo una missione, ma anche una professione che, come tale, non può essere abbracciata e svolta da chiunque sia dotato di onestà, coraggio e fantasia, doti apprezzate e perfino indispensabili, ma non sufficienti (abbiamo cominciato a vederlo con i “tecnici” attualmente al governo, ma anche con i primi amministratori locali marca “cinque stelle”). 

E preciso che non mi piace l’idea di estendere in ambito nazionale la consuetudine delle liste civiche, nate in ossequio alle specifiche esigenze locali: siamo nel campo dei mezzucci, degli espedienti gattopardeschi – tutto cambi affinché nulla cambi - da parte di una classe politica che si ostina a non capire che gli elettori non la bevono più. 

Aggiungo che bisognerebbe spezzare quel filo rosso che ancora ci lega al Fascismo e che avviluppa con i lacci dei Partiti – nati come associazioni di pensiero e tramutati in centri di potere sempre meno trasparenti – intorno alle Istituzioni dello Stato (unica differenza: siamo passati dal Partito Unico ad una pluralità di partiti).


E allora? Ben vengano le forze – e le facce – nuove, ma all’interno di partiti che non abbiano vergogna del loro nome, che si richiamino ad una famiglia di pensiero e che dimostrino di sapersi rinnovare, a partire dai legami con il territorio, da profonde riforme statutarie che tengano in onore la partecipazione dei cittadini, per finire con una autentica – e inedita - capacità di rinunciare alle scandalose montagne di denaro fin qui lucrate. 

Niente partiti-contenitori, dunque: abbiamo già dato e abbiamo visto che la cosa non ha funzionato. E niente “quote”, né rosa né verdi: i cretini e i disonesti si ritrovano indifferentemente fra le donne e gli uomini, fra i giovani e i vecchi.


Ancora: in occasione della nascita di Alleanza Nazionale, una delle prime operazioni consisté nella rifondazione di un “pantheon” di padri nobili, di Autori di riferimento. 

Credo sia tempo di procedere a un’accurata revisione: se vogliamo ricostituire una “famiglia” ricca di differenze al suo interno, ma compatta e consapevole, bisognerà evitare di mettere insieme, senza la preoccupazione di elaborarne le opportune sintesi, liberali e statalisti, cristiani e pagani, anarchici e uomini d’ordine o, per scendere nel particolare, con un solo esempio, nuclearisti e antinuclearisti. Solo allora si potrà salpare per Itaca, senza il timore di abbandoni e tradimenti sul più bello.


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