Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un corpo è la morte … tenebra e pietra. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome
Se Pirandello è, almeno in molti suoi testi teatrali e non, un autore “difficile”, non c’è dubbio che i Giganti della montagna, ultimo dramma composto dal grande agrigentino e purtroppo rimasto incompiuto, sia uno dei più complessi e tormentati. Sorta di testamento spirituale di chi aveva cercato di scandagliare l’animo umano per metterne a nudo l’infinito groviglio di contraddizioni, di oscurità, di ipocrisia e di paure: lui, il professor Pirandello, che tutto sembrava anche nell’aspetto fuorchè un anarchico sovversivo, è stato invece, come bene aveva avvertito Gramsci, un vero e proprio …bombarolo della parola e soprattutto del palcoscenico. [1]
Gabriele Lavia , nel duplice ruolo di attore protagonista (il mago Cotrone) e regista, porta sui palcoscenici del teatro della Toscana, nella cornice settecentesca della Pergola, una nuovo allestimento, coproduzione del Teatro della Toscana, del Teatro Regio di Torino e del Teatro Stabile di Palermo.
“Pirandello vive con I Giganti della Montagna il suo grande momento espressionista. Si tratta di un espressionismo onirico, fantastico, visionario” ha dichiarato La via e in queste parole si può cogliere quella che è la chiave di volta della sua interpretazione. La scena (a cura di Alessandro Camera) con una “licenza poetica”, non è la facciata della villa della Scalogna, ma un teatro in rovina. Ma è una licenza del tutto accettabile perché pienamente Pirandelliana, e perché coglie perfettamente il tremendo messaggio dell’autore: la morte, la rovina dell’arte e del teatro in particolare. In questo teatro in rovina però vive il regno della fantasia, con il “mago” Cotrone e i suoi compagni “scalognati”: un bizzarro personaggio “fuori di chiave” come tanti eroi pirandelliani, che ha veramente raggiunto una sua folle saggezza. In questa dimensione ossimorica sta la grandezza dell’interpretazione di Lavia, che si trova totalmente a suo agio nei panni di un personaggio che ha veramente “capito il gioco” e ha fatto per l’appunto del gioco dei sogni e dei fantasmi l’unica dimensione in cui sia possibile vivere e in cui possa vivere l’arte. Il Cotrone di Lavia è sicuramente perfetto in questa dimensione paradossale, talmente credibile che riesce ad essere verosimile persino nei momenti più “bizzarri; “Cotrone è una figura dai tratti allegri, non è un malinconico. Perché? Cotrone è un personaggio disperato, e solo i matti e i disperati possono essere allegri (…) È il personaggio di Cotrone ad esprimere il concetto: la bellezza può esistere soltanto tra gli artisti, sono i teatranti che vivono fuori del mondo reale a capire la grandezza del teatro.”
Per il resto, la messa in scena è sicuramente molto colorita ed efficace: belli e perfettamente adeguati al contesto i costumi di Alessandro Viotti, vivaci e coloriti quelli degli “scalognati”e dei “fantocci”, più grigi e borghesi- almeno all’arrivo – quelli della compagnia della contessa Ilse, che però ben presto si adeguano all’atmosfera stranita e stralunata della Scalogna. Lavia insiste molto sulla dimensione onirica e “assurda” del dramma, di questo mondo del non senso in cui la realtà è data da evocazioni di “fantasmi”, di fantocci che si animano e dai sogni che sembrano altrettanto e più reali della vita “vera”; il tutto realizzato con una grande animazione in scena, con un sapiente gioco di luci e ombre (di Michelangelo Vitullo) e con lo scaltrito uso delle maschere (altra parola chiave dell’universo pirandelliano)di Elena Bianchini. Molta animazione in scena con un folto numero di presenze, “incursioni” in platea, musica e danza. Se un difetto possiamo trovare in questa magica atmosfera è forse a tratti un certo eccesso di frastuono, di urla e di agitazione, in particolar modo all’inizio del secondo atto, che rientra certo nel contesto sia del dramma che della interpretazione di Lavia, ma che in qualche momento è parso un po’ eccessivo.
Per quando riguarda gli interpreti, oltre alla bellissima interpretazione di Lavia c’è da segnalare la Ilse di Federica de Martino: personaggio complesso, che alterna momenti di delirio ad altri di tenerezza, ma sempre determinata a portare sino in fondo la sua “missione” di rappresentare l’opera del poeta che per lei si è tolto la vita: quella Favola del Figlio cambiato che invece Cotrone vorrebbe che non uscisse dalla dimensione della sua villa, perché l’arte ormai può trovare la sua ragion d’essere solo nel sogno e nella fantasia.
Essendo molto numerosi i personaggi in scena riesce difficile tracciare un profilo anche breve di ciascuno. Tra i personaggi della compagnia della contessa è prevalsa però una recitazione un po’ “sopra le righe”, a tratti un po’ troppo “gridata” con una dizione non sempre impeccabile. Molto “coloriti” e folcloristici (come del resto devono essere) gli “scalognati”, tra cui spicca in particolare la Sgriscia di Nellina Laganà, interpretata con molta simpatia ma anche con un tocco di commossa umanità; i fantocci, personaggi della Favola del figlio cambiato, erano quasi tutti giovani della compagnia INuovi e nella loro parte si sono fatti valere.
Uno spettacolo da vedere e da apprezzare e che il pubblico della prima ha vivacemente applaudito, anche per il bellissimo messaggio che Lavia vuole trasmettere: se è vero che Pirandello, soprattutto in quel finale che non fece in tempo a scrivere, voleva scrivere la “morte del teatro”, questa è la risposta dell’attore – regista: “Il teatro non morirà. Rinascerà nella paura, nella sconfitta, nel dolore…ma rinascerà.” E speriamo che abbia ragione.
Prossime repliche sino al 3 novembre (28 ottobre riposo)
[1] Per la storia dell’opera e la presentazione dello spettacolo cfr https://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=9195&categoria=1&sezione=8&rubrica=8
Inserito da MatthewSaw il 27/12/2019 12:55:32
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