Maggio Musicale Fiorentino

E Grand Opèra fu. Meritato successo del Cortez di Spontini al teatro del Maggio.

L'opera di Spontini suscita applausi e interesse, grazie soprattutto alla regia di Cecilia Ligorio e del suo team e del direttore d'orchestra Jean-Luc Tingaud. Ultime repliche domenica 20 e mercoledì 23.

di Domenico Del Nero

E Grand Opèra fu. Meritato successo del Cortez di Spontini al teatro del Maggio.

Se la scommessa del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino era quello di creare un grande spettacolo, l’obiettivo può dirsi sicuramente riuscito.  Il punto di forza più notevole del Fernando Cortez di Gaspare Spontini in scena in questi giorni a Firenze è proprio l’aspetto registico e coreografico.  La regista Cecilia Ligorio aveva dichiarato scherzosamente (ma non troppo!) che non era certo facile realizzare un grand opéra senza … i grandi fondi napoleonici messi a disposizione nel 1809: qualcosa come duecentomila fiorini!  Anche perché il Cortez, al di là del valore artistico, aveva anche un messaggio “propagandistico” che stava molto a cuore all’Empereur . [1]

C’è un concetto che colpisce molto nelle dichiarazioni della regista, ed è rispetto.  Rispetto per Spontini e la sua opera – e quindi il contesto storico in cui fu composta – ma anche rispetto per la verità. Come conciliare dunque la celebrazione di Cortez con l’operato tirannico degli spagnoli? Per riprendere un celebre dilemma manzoniano, si potrebbe dire che l’intento della regista era di conciliare storia e invenzione; solo che qui l’invenzione era appesantita da un doppio livello di mistificazioni, l’esaltazione di Cortez ignorandone il lato oscuro e soprattutto quella napoleonica.

In un certo senso, ha un che di manzoniano anche la soluzione trovata dalla regista; l’opera si apre e si chiude con alcune parole proiettate sul palcoscenico e attribuite a Moralez, che la Ligorio definisce  in modo molto indovinato il Leporello di Cortez, in realtà scritte su un affascinante memoriale anonimo del tempo dei conquistadores,  e di Bernal Diaz De Castillo, una sorta di …pentito:  parole che mettono in dubbio la legittimità e la sincerità del condottiero, che per fondare un mondo nuovo ne spazzò via uno millenario.

Un tocco molto affascinante anche da un punto di vista dell’impatto: niente assurdità come spagnoli in mimetica pronti a far strage o peggio che mai un Cortez in veste di Rommel, come certi sconci del passato. Anzi: “ le scene firmate da Alessia Colosso e Massimo Checchetto evocano un mondo antico, con l’aiuto pittorico delle luci di Maria Domenech”, dichiara la regista.

Verissimo. E’ proprio un mondo antico e per questo quanto mai affascinante quello evocato dalla messa in scena, e senza bisogno di apparati faraonici o della quindicina di cavalli messi in scena durante la premiere del 1809:  una carta geografica in stile cinquecentesco del Nuovo Mondo, il fondale con le navi dipinte nel primo atto che poi, con un efficace coup de theatre si incendiano alla fine, l’accampamento spagnolo nel secondo con il lago in cui si getta Amazily, il tempio azteco nel terzo.   Una netta contrapposizione si vede anche nei costumi; neri, cupi e marziali gli spagnoli, policromi e vivaci quelli dei nativi. Qualcuno potrà anche definirli banali o convenzionali (è il bello della critica!), ma nel contesto erano invece perfettamente riusciti, anche grazie al gioco dei loro movimenti.

Uno dei timori dello staff del teatro era l’impatto dei balletti, sicuramente presenti in una misura assai maggiore che nelle opere italiane, ma ingrediente fondamentale del grand opéra. Ma sia grazie alla musica che alla coreografia di Alessio Maria Romano e dell’interpretazione della Compagnia Nuovo BallettO di ToscanA non c’è stata alcuna pesantezza né senso di lungaggine: particolarmente efficaci quelle del primo atto con uomini con la testa di cavallo che danzano davanti alle donne messicane con i loro vivaci costumi, mentre quelle del terzo sembrano voler mettere in discussione il “lieto fine” con l’inno alla pace e alla felice fusione dei popoli spagnolo e messicano.  Ben calibrati anche i movimenti sia dei cantanti che del coro; nonostante la lunghezza dell’opera, non si è mai avvertita sensazione di monotonia o staticità.

Per quanto riguarda la musica, Spontini ha una innegabile potenza e una strumentazione veramente notevoli, ma soprattutto il primo atto corre un po’ il rischio della freddezza e in qualche momento anche di una certa retorica celebrativa, ad esempio nella scena del dialogo tra Cortez e i suoi soldati. Jean-Luc Tingaud, chiamato al non facile compito di sostituire Fabio Luisi, è un esperto di opera francese del primo ottocento e si è rivelato davvero una soluzione ottimale. Dirige infatti con entusiasmo e piglio sicuro, ricavando dall’Orchestra del Maggio Musicale in ottima forma un suono limpido e cristallino, esaltando le ricche sonorità della partitura senza scadere nel roboante e senza ignorare le non frequenti accensioni liriche, come i duetti fra Cortez e Amazily. Buona anche la prova del coro, impegnato in uno spettacolo in cui le parti corali sono consistenti e di grande rilievo anche nell’azione.

Qualche nota meno brillante per quanto riguarda il cast. Per la verità, leggendo le cronache della prima (questa recensione si riferisce alla seconda rappresentazione, quella del 16 ottobre) si notano apprezzamenti abbastanza unanimi per tutto il cast vocale. Per quanto il riguarda il Cortez di Dario Schmunck, la voce è apparsa poco in forma, in certi momenti persino sbiadita, con poco calore e colore, tanto che il pubblico è stato alquanto freddo nei suoi confronti; il Telasco del tenore  Luca Lombardo si disimpegna piuttosto bene nel registro acuto, meno in quello centrale e ancora meno nel declamato, raccogliendo anche lui scarso entusiasmo di pubblico. Discorso ben diverso per il Moralez del baritono Gianluca Margheri, dotato di una voce robusta e dal timbro brunito e ottimo anche nel caratterizzare la parte; e soprattutto per la Amazily della soprano Alexia Voulgaridou, dotata di una voce ampia e di un colorito quasi da contralto, che ha ben caratterizzato il personaggio sia scenicamente che vocalmente, sia nel registro acuto che in quello centrale e con un buon fraseggio: è stata infatti l’interprete più acclamata. Interessante e ben calibrato anche l’Alvar del David Ferri Durà e il gran sacerdote messicano del baritono André Courville. Nel complesso comunque l’opera è stata assai gradita ed applaudita.

In definitiva, uno spettacolo senz’altro da vedere, sia per la proposta culturale che rientra nelle migliori tradizioni di riscoperta e riproposta di titoli dimenticati che è la vera vocazione del Maggio Musicale Fiorentino, sia per l’alta qualità di una messa in scena che dimostra come anche senza mezzi…napoleonici si possa fare un grand opéra, anzi una grande opera. ( Prossime repliche: domenica 20 ottobre ore 15,30 e mercoledì 23 ore 19)

 



[1] Per la storia dell’opera e la presentazione dello spettacolo cfr. http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=9187&categoria=1&sezione=8&rubrica=8

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