RACCONTI DI UN’ALTRA STAGIONE

6. L'albero di natale

Brevissima favola di natale (Il tempo d’un fico secco e un sorso di vino)

di Giulia Bartolini

6. L'albero di natale

È Natale. Il nostro Sognatore non ha altri pensieri che quello di donare ciò che può. E senza indugi così….

In un altro paese, in cui gli uomini si occupano o del cielo o della terra (mai di tutti e due insieme), in cui le favole non le leggono più neanche i bambini, gli adulti si sentono ancora troppo giovani per dimenticare i torti subiti, e i ragazzi giovani troppo vecchi per aspettare con gioia il Natale; in un mondo vicino al nostro, in questa stessa stagione…

C’era una volta un uomo solo.

Oh, non era completamente solo, c’erano tanti altri uomini intorno a lui…ma lui si sentiva solo, in mezzo alla neve, sulla terra.

Viveva nel mondo della neve e del freddo, un mondo pieno di buio e gelo e di forza di gravità. 

 

In questo stesso mondo…

C’era una volta una donna sola.

Non era completamente sola… è solo che si sentiva sola, in mezzo alle stelle, in cielo.

Viveva dove c’era caldo e luce, ma anche buio e oscurità, e la gravità non esisteva.

 

Ecco, queste due persone erano così lontane che non avrebbero mai saputo dell’esistenza l’uno dell’altra se non fosse che erano abituati a non dormire e a guardare l’uno il cielo e l’altro la terra ogni notte, alla stessa ora, nella speranza di fuggire. 

Da cosa? 

In che mondo vivete voi? In un mondo in cui si fa fatica, a scegliersi, accettarsi, capirsi, andare avanti. Tutti vogliamo fuggire. Perso tutto o perso nulla tutti vogliamo che ci venga tolta o data la gravità. Per sentirci meno pesanti, per sapere che possiamo librarci, spostarci, crescerci da soli e annaffiarci senza paura di diventare umidi ma solo troppo alti; svegliarci la mattina di Natale come quando avevamo 8 anni, o 10, o 12 o…

 

Ecco io credo che in questo mondo, in cui viviamo noi, o in quest’altro in cui vivono un uomo solo sulla terra e una donna sola in cielo ci sia un’unica chance di sopravvivere. 

Quale sia ovviamente non lo so. Altrimenti non avrei necessità di chiedermelo. Ma sono certo che il tutto centri qualcosa con la ricerca della gravità o della sua mancanza. 

 

Allora. C’erano una volta un uomo solo con la gravità che lo appiccicava alla terra fredda e innevata e una donna sola senza gravità che fluttuava tra le stelle lontane nel buio, persa.

Soli. Soli. 

 

Immaginate per un attimo un silenzio sconfinato nel quale fluttuava la nostra donna sola, nel buio in mezzo alle stelle… e il leggero e impercettibile rumore della neve che cadeva sulle spalle ricoperte di pelliccia del nostro uomo solo. 

 

Una volta gli anni non si contavano se non con i giorni tristi,

una volta gli anni erano lunghi come decenni,

e i decenni come secoli,

e i secoli come ere.

Poi arrivò la luce”

 

Questa è una laica favola di Natale, ma la luce c’è Sempre.

 

Il nostro uomo solo e la nostra donna sola le avevano provate tutte. Ogni sera lui cercava di staccare i piedi da terra saltando più in alto che poteva per perdere la gravità; ogni sera lei si gettava in picchiata sulla terra come tuffandosi, sperando di riuscire a trovare l’atmosfera ed essere trascinata via dalla sua forza di gravità. Erano così disperati che erano arrivati a pensarle tutte. 

Dovete sapere che erano così disperati perché credevano d’aver perso tutto. L’amore della loro famiglia, quello dei loro figli, quello dei nipoti che non avevano mai avuto, degli amici persi e di quelli mai incontrati; credevano d’aver perso la possibilità di ricostruirsi, d’amarsi, d’essere capaci di continuare: avevano perso il futuro, e perdere o trovare la gravità era per loro l’ultimo modo per salutare la propria forma umana (che fosse in cielo o in terra) e andarsene leggeri o troppo pesanti, ma comunque andarsene.

 

Ci provarono, per giorni, per anni, per mesi, a perdere o trovare la gravità. E le persone intorno a loro non li capivano.

Ma perché vuoi arrivare alle stelle?” dicevano gli amici all’uomo solo. 

è così bella la gravità, ti tiene con i piedi per terra, ti fa sentire forte; da quaggiù puoi comandare il mondo, ne sei il padrone!”

 

Ma perché vuoi cadere sulla terra?” dicevano le amiche stelle alla donna sola 

è così bella la mancanza di gravità, ti fa sentire libero, i problemi del mondo sono così lontani e tu puoi volare leggera e vedere tutto dall’alto.”

 

Io voglio staccare i piedi da terra” diceva l’uomo solo;

Io voglio avere delle radici” diceva la donna sola.

 

Poi, un giorno, spaventati e soli, s’incontrarono. 

Lui s’era legato ad un razzo pronto a partire, per perdersi nello spazio. 

Lei aveva attaccato con del fil di ferro due meteore ai piedi e sperava che il peso la portasse giù. 

Mentre una scendeva e l’altro saliva s’ incontrarono, o meglio, si scontrarono. 

Il razzo distrusse le due meteore e si staccò per volare nello spazio e i due sarebbero stati risucchiati dal motore se non si fossero tenuti stretti. 

 

Ecco, ora la situazione era piuttosto problematica. Quando tutto il trambusto causato dal razzo e dalle meteore scemò, i due si resero conto di essere attaccati da un incastro di fil di ferro, quello con cui s’erano legati addosso razzo e meteore. 

La gravità teneva a terra l’uomo solo, con i piedi ben ancorati; la mancanza di gravità portava lontana la donna sola, ma il filo la tratteneva, e così sospesi, si salutarono.

Cominciò una curiosa conoscenza, incastrati com’erano tra terra e cielo. Non si posero il problema di lasciarsi, ma cominciarono, infuriati e furiosi per quella situazione a dir poco paradossale e quella posizione imbarazzante, a conoscersi. 

 

Lei gli parlò delle stelle, e dei colori della notte, e di come ci si senta persi senza gravità, lui le parlò del proprio peso, dei chilogrammi che ti costringono a sollevare un piede alla volta mentre cammini, ad andare al lavoro con le spalle basse e la faccia alta; lei gli parlò dei venti e lui dei mari e scoprirono la bellezza di ciò che non potevano toccare. Cominciarono a parlare così tanto di tutto ciò che avevano perso, che desideravano, che avrebbero voluto, che conoscevano, che gli mancava, che:

 

“gli anni diventarono

lunghi come decenni,

e i decenni come secoli,

e i secoli come ere.

Poi arrivò la luce”.

 

Rimasero legati per così tanto tempo, che si scordarono di mangiare e di bere, di respirare e vivere e morirono, lentamente, senza paura, senza accorgersene: come avrebbero voluto, se ne andarono dal mondo, dolcemente.

 

La terra e il cielo, commossi da quell’incontro di solitudini, non consumarono i loro corpi...li trasformarono.

 

L’uomo solo, avvolto dalla terra e dalle foglie, divenne un grandissimo albero, le gambe, ancorate a terra dalla gravità, divennero le forti radici d’un abete maestoso che crebbe al centro della terra; la donna sola, legata all’uomo da quei fili di ferro, sempre più stretta, si trasformò, grazie alla benevolenza delle stelle, in una corda di luci dorate attaccata stretta, come in un abbraccio, all’albero, leggera e sospesa, mai schiava della forza di gravità. 

 

Questa unione luminosa tra la terra e il cielo, sospesa tra ciò che è leggero e ciò che è pesante, tra ciò che vogliamo gettare e ciò che ci manca rimase a risplendere nei secoli: abbraccio di ferro, rami e luce.

 

“Una volta gli anni non si contavano se non con i giorni tristi,

una volta gli anni erano lunghi come decenni,

e i decenni come secoli,

e i secoli come ere.

Poi arrivò la luce”

 

Senza buonismo, o banalità. Che sia solo un Natale di luce. 

Agli amori lontani e a quelli vicini. A chi ama il Natale e a chi l’ha scordato. 

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