Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Non è facile oggi trovare una voce tenorile che brilli per ampiezza, estensione e quando necessario dolcezza. Un ruolo come quello di Mario Cavaradossi, il pittore protagonista di Tosca, è sicuramente di una notevole complessità: richiede un tenore lirico spinto (o drammatico) ma chi interpreta questo ruolo deve anche saper esprimere l’intensa carica di sensualità che è sicuramente una delle caratteristiche principali del capolavoro pucciniano: opera “sanguigna”, da alcuni accostata (con una certa semplificazione) alle opere veriste, Tosca è un dramma che mette in campo non solo tutta le abilità di tessitura vocale del compositore lucchese, ma anche la sua grande abilità di orchestratore, capace di accostarsi a Wagner per l’uso dei Leitmotive, ma senza farsene condizionare o diventare un suo mero “imitatore”. Si può dire che Puccini sia attentissimo a quanto accade intorno a lui, pronto a trarne ispirazione ma senza mai farsene condizionare.
L’ultima edizione che sta per concludersi al Teatro del Maggio Fiorentino riesce senz’altro ad evidenziare le caratteristiche del capolavoro pucciniano, ed è stato giustamente premiato da un vivo successo, anzi dall’entusiasmo del pubblico che ha riempito il teatro malgrado alcune tra le prime recensioni abbiano evidenziato alcune pecche che però sembrano essere state superate nelle repliche. A partire proprio, senza dubbio, dal tenore, di cui Mosco Carner, sulla scia di Giuseppe Giacosa, scriveva: “ Cavaradossi, come rimprovera Giuseppe Giacosa, non è che il ‘signor tenore’ ma non può essere altro di fianco alla virago che gli succhia quel po’ di sangue che aveva in corpo. Se gli è permesso di cantare due splendide romanze è soltanto per far riposare un attimo quel temporale di donna o per permetterle un’entrata a grande effetto…”
Si può o meno concordare con Carner, ma certo il Cavaradossi di Stefano La Colla non si lascia confinare in retroguardia. Voce di una eccezionale chiarezza e potenza, dotato di ottima dizione e di bel timbro, La Colla ha saputo alternare una straordinaria potenza di emissione, con acuti veramente folgoranti, a momenti di morbidezza e di languore: E lucean le stelle è stato un vero e proprio gioiello, che ha incantato il pubblico il quale ha tributato fragorosi applausi a scena aperta; ma notevoli sono stati anche altri momenti di grande tensione, come il grido “vittoria”del secondo atto o lo splendido duetto del terzo, tra illusione amorosa e cupo presentimento di morte. In alcune rappresentazioni la Colla è apparso forse un po’ più impacciato all’inizio e l’aria Recondita Armonia ha destato qualche perplessità soprattutto nelle colorature; ma nel complesso la prova del tenore è stata senza dubbio egregia.
La Tosca di Francesca Tiburzi ha sicuramente una buona presenza scenica, ma sul piano vocale non regge il confronto con il tenore: la voce dal timbro piuttosto scuro ha una discreta consistenza nella zona centrale, con acuti sicuri anche se un po’ metallici ma maggiore difficoltà con le note gravi; anche il fraseggio lascia a desiderare e le colorature non sono proprio il massimo.
Lo Scarpia di Angelo Veccia colpisce più per l’aspetto scenico che per quello vocale: il suo personaggio somiglia vagamente a … Nosferatu e mostra una cattiveria non plateale né debordante, ma non per questo meno … mefistofelica (anzi). Peccato per il volume modesto della voce (con alcune “impennate” notevoli però, soprattutto nel secondo atto) e il colore poco vivido, quasi “secco”.
Trai ruoli minori, si fanno notare l’Angelotti di Luciano Leoni e soprattutto il sacrestano di Nicolò Ceriani, ottimo sul piano attoriale ma anche con una voce consistente e gradevole.
Per quanto la direzione, il giovane viareggino Valerio Galli è sicuramente uno specialista in Puccini (nel 2013 ha vinto tra l’altro il 42° premio intitolato al grande compositore). La sua lettura è senz’altro interessante, avvincente e personale: Galli coglie con grande sicurezza, sin dal celebre attacco iniziale, il lato sinistro e cupo di quest’opera, che dirige con grande passione evidenziando la potenza dello strumentale, sottolineando con grande efficacia lo stacco tra questa e le precedenti partiture pucciniane; il colorito “wagneriano”, il ricorrere dei temi, le sonorità aspre e taglienti, ma anche i momenti di appassionata e intensa sensualità, come l’introduzione dell’aria e lucean le stelle. Una bacchetta da tenere d’occhio, che ha già dato ottimi risultati e potrà ancora decisamente “crescere”.
La regia di Federico Bertolani si muove discretamente tra tradizione e simbolismo: l’idea di separare lo “sfondo” dal “cuore” dell’azione, recependo e interpretando una delle tante indicazioni dello stesso Puccini è risultata tutto sommato convincente. La “scatola” di travertino all’interno della quale si svolge la vicenda risulta forse un po’ deludente nel primo atto, anche per la scenografia “minimalista” che lascia fuori le consuete atmosfere barocche; ma tutto sommato, il finale con il “Te Deum” in una specie di balconata, cantato da fermo piuttosto che in processione, ha comunque un suo fascino. Nel secondo atto, la stanza di palazzo Farnese e la il cortile chiuso di Castel S.Angelo danno un a sensazione di oppressione e quasi di claustrofobia, che accentuano benissimo il ribollire e l’esplodere delle passioni. Bellissima la scena finale del suicidio, con la scalinata che si apre improvvisamente e la morte della protagonista tra lo sgomento (e il rispetto) delle guardie. Le scene di Tiziano Santi si rivelano del tutto adeguate e funzionali al progetto del regista, così come il gioco di luci di D. M. Wood. Molto belli (soprattutto quello di Tosca nel secondo atto) i costumi “tradizionali” di Valeria Donata Bettella.
Decisamente da vedere. Ultima (purtroppo) replica domenica 1 Ottobre, ore 15,30.
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