Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Musicista delle sartine? Uno degli sciocchi stereotipi e pregiudizi che sono circolati per decenni sul conto di Giacomo Puccini: un destino che lo ha accomunato a un grande poeta che gli viene spesso, e non certo a torto, accostato: Giovanni Pascoli. E’ uno degli strumenti “privilegiati” di questa solenne stupidaggine, critica e non , è stata per lungo tempo proprio La Bohème, considerata opera dal sentimentalismo un po’ facile, ingenuo e melenso.
Colpa dell’opera? No di certo! Responsabilità se mai di certe interpretazioni che potevano puntare su effetti di tal genere e su una lettura superficiale e da “cartolina” di situazioni e personaggi tratteggiati invece da Puccini con ben altra finezza e spessore. Rischio pienamente evitato nell’edizione attualmente in corso al teatro del Maggio Musicale Fiorentino, salutata nelle due rappresentazioni sinora eseguite da un caloroso – e meritato – successo di pubblico che è intervenuto numeroso a sostenere un cast davvero interessante e brillante.
Partendo dalla bacchetta, il direttore Francesco Ivan Ciampa ha dato una interpretazione interessante e avvincente: offre infatti una lettura delicata e ricca di quelle mille sfumature che innervano la partitura, con grande finezza e poesia nei momenti sentimentali e drammatici, ma senza rinunciare a incisività e vigore quando richieste. Non si deve dimenticare che quest’opera è stata tenuta a battesimo da Toscanini ed era molto ammirata da direttori del calibro di Karajan e Bernstein. Ciampa riesce a passare dai momenti lievi e sognanti del primo atto al ritmo incalzante del secondo (con un valzer di Musetta eseguito con una straordinaria carica di struggente vitalità e sensualità); mentre nel terzo atto, sin dalle prime battute emerge quella atmosfera di grigia malinconia nell’evocazione di un inverno freddo e spietato ; sino al quadro finale, dove esplodono gli ultimi momenti di vitalità e allegria sino alla tragica conclusione, toccante ma senza effetti plateali. Buono, malgrado qualche lieve sfasatura, il rapporto con il palcoscenico. Se insomma sia per la parte vocale che quella strumentale si è parlato in quest’opera di un effetto Falstaff “per la leggerezza di scrittura, per il brio ritmico e per la vivacità dei dialoghi” non c’è dubbio che queste caratteristiche emergano nelle rappresentazioni fiorentine. Ottime come sempre le prestazioni dell’Orchestra e del Coro del Maggio Musicale, in perfetta sintonia con il direttore. Un coro che tra l’altro, oltre all’eccellenza musicale, offre una presenza scenica sempre vivace e perfettamente “intonata” alla situazione.
Il cast vocale si presentava nel complesso abbastanza omogeneo e di buon livello. Rodolfo e Mimì sono due personaggi molto particolari nel panorama pucciniano; come scrive Alberto Cantù, sono due lirici puri, tanto che Rodolfo è vicino “alla sottocategoria dei tenori di grazia, terreno privilegiato di Gigli o Pavarotti.” Poche opere come Bohéme sono lontane infatti dalla vocalità prorompente e sanguigna degli autori “veristi”.
Il poeta Rodolfo è stato impersonato da Matteo Lippi, dotato non solo di buona presenza scenica, ma anche di una vocalità caratterizzata da potenza di emissione, di un buon fraseggio e discreto nelle colorature; apprezzabile non solo negli acuti, ma anche nel centro della voce e nel declamato. E’ stato molto apprezzato dal pubblico, come la Mimì di Maria Mudryak , soprano ventitreenne dotata di notevoli mezzi espressivi e che si muove sulla scena con sicurezza e disinvoltura. Voce corposa e di buon timbro, con notevole agilità e potenza negli acuti, ha sicuramente fatto onore al personaggio.
Discreta la prova anche della seconda “coppia”: il Marcello di Benjamin Cho è stato un personaggio simpatico con una discreta tecnica e un buon gioco scenico, mentre la Musetta di Angela Nisi è stata nel complesso abbastanza brillante soprattutto nella “scena del valzer” del secondo atto, invece composta e commovente nel quarto. Simpatici il Colline di Goran Simić e lo Schaunard di Vincenzo Bonsignore.
La regia di Bruno
Ravella, con scene di Tiziano Santi
e costumi di Angela Giulia Toso era
una “onesta” lettura tradizionale, magari non particolarmente “emozionante” ma
in compenso neppure irritante. Se la
soffitta del primo e del quarto atto è forse un po’ troppo angusta e anonima ,
più efficaci il secondo quadro con le
scene di vita parigina e il caffè Momus
e la gelida desolazione della Barriera d'Enfer del terzo. Il regista ha saputo poi sfruttare benissimo le indubbie doti di recitazione dei personaggi, che hanno saputo essere ora gradevomente "scapigliati" ora commossi e drammatici, senza mai eccedere o strafare.
Uno spettacolo decisamente da vedere e da apprezzare. Prossime repliche sabato 23 e mercoledì 27 settembre (ore 20), sabato 30 (ore 15,30).
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