Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un gradito ritorno tra le austere colonne del cortile dell’Ammannati nella reggia fiorentina di Pitti. Dopo le note scintillanti di Cenerentola ritorna la Traviata nella edizione già presentata lo scorso anno, con la regia di Alfredo Corno e le scene di Angelo Sala. Un allestimento che già l’anno scorso era nel complesso piaciuto e che conferma la sua validità, anche se non senza qualche inevitabile punto critico. L’idea è quella di dare alla vicenda di Violetta Valery, personaggio creato da Alexander Dumas figlio nel celebre romanzo La signora delle camelie, ispirato però a una donna realmente esistita, una ambientazione successiva di un secolo: gli anni cinquanta del Novecento, nella Roma di Anita Ekberg e della Dolce Vita. Un tocco decisamente felliniano, accentuato anche dalla “finzione” cinematografica e non senza una atmosfera vagamente pirandelliana: quella, per intenderci, di Ciak si gira, alias i quaderni di Serafino Gubbio operatore . Non solo perché i ciak in alcuni momenti ci sono davvero (la celebre scene del brindisi del primo atto, ad esempio) ma perché permane in effetti un certo effetto di “straniamento” tipico dello scrittore agrigentino: la vicenda viene infatti come rivissuta in una sorta di lungo flashback che la “finzione” cinematografica contribuisce a rendere come “lontano” ed “esterno”.
Questo non significa indifferente: anzi la regia di Corno, alla quale lo scorso anno non abbiamo risparmiato alcuni rilievi critici almeno in parte ancora validi,[1] è sembrata però quest’anno ancora più funzionante e coinvolgente; merito forse anche di un cast decisamente migliore, che ha saputo colpire ed entusiasmare il pubblico, ma sicuramente la ripresa ha consentito di attenuare alcuni difetti e migliorare alcune scene, come quella della “campagna” del secondo atto.
E venendo al cast, ottima come sempre la prestazione dell’Orchestra e del Coro del Maggio Musicale Fiorentino. Quest’ultimo, nella scena della festa in casa di Flora della fine del secondo atto, si è trovato nella particolare situazione di dover “rivestire” una serie di maschere forse sin troppo eterogenee e variopinte. Ma questo non gli ha certo impedito di rendere alla perfezione il clima fatuo e “salottiero” dei momenti di gioia effimera, alternati con quelli più cupi e drammatici del finale del secondo atto.
Molto interessante e apprezzabile la direzione del maestroSebastiano Rolli, perfettamente assecondato da un’orchestra more solito in stato di grazia. Anche se infatti il processo di affinamento della scrittura orchestrale sarà successivo a Traviata,già in quest’opera ci sono notevoli presagi, come nei due preludi che sembrano voler dipingere la fragilità della protagonista. Rulli ha saputo rendere queste sfumature più malinconiche, liriche e psicologiche senza rinunciare alla dimensioni più “teatrali” della partitura (e sempre con una grande attenzione al rapporto con il palcoscenico) e puntando su tempi serrati, quasi a sottolineare la corsa della vicenda verso la catastrofe.
“Perché sul vostro San Carlo non si potrà rappresentare indifferentemente una regina od una paesana, una donna virtuosa o una puttana? [...] Se si può morire di veleno o di spada perché non si può morire di tisi o di peste! Tutto ciò non succede forse nella vita comune?” Così scriveva Verdi al De Sanctis a proposito di una rappresentazione dell’opera al San Carlo, ma la frase è interessante per capire come concepiva il compositore il suo personaggio: una “puttana” ma nello stesso tempo una donna fragile e desiderosa di amore vero, vittima di una società cinica ed egoista nonostante la “maschera” che si era costruita. Caratteristiche rese molto bene dalla soprano Claudia Pavone, che sebbene all’inizio abbia suscitato qualche perplessità (ma del resto fa parte del ruolo: nel primo atto Violetta è, o meglio appare come donna frivola ) già dalla scena del brindisi dimostra una linea di canto solida e compatta, una grande abilità nello colorature e un fraseggio moto curato, dote questa fondamentale per un personaggio come Violetta e per lo stile particolare di canto voluto per lei dal compositore : quello “stile di conversazione" in cui, soprattutto nel secondo atto, vengono a frantumarsi le forme tradizionali. Una ottima interpretazione dunque, sia sul piano della recitazione che su quello vocale.
Per quanto riguarda il tenore Alessandro Scotto di Luzio il discorso si fa un po’ più complesso. In alcuni momenti il suo timbro chiaro anche se non particolarmente brillante e una discreta padronanza degli acuti lo rendono senz’altro credibile, ma in altri è risultato un po’ opaco e poco convincente. Con una maggiore attenzione e cura anche semplicemente della “pronuncia”, la prova avrebbe potuto essere superiore, ma nel complesso comunque soddisfacente.
Nessuna perplessità invece per il baritono Marcello Rosiello, un Giorgio Germont dalla voce piena, ben sostenuta e ricca di colori e sfumature, apprezzate anche nella celebre e ben eseguita Di Provenza del secondo atto.
Buoni anche i ruoli comprimari, quali la Annina di Marta Pluda e la Flora di Ana Victoria Pills. Uno spettacolo molto apprezzato e applaudito dal pubblico e decisamente da vedere: ultime repliche 22,25,28 giugno e 1 luglio, ore 21,15.
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