Editoriale

Il vero patriottismo è sociale... altrimenti non è

Nuovi problemi incombono sul popolo: italiano la povertà (passata dall’1,8 milioni di poveri, nel 2007, ai 4,6 di oggi), l’emergenza abitativa (con cento sfratti al giorno), la disoccupazione, la precarietà giovanile

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

rtiene all’assenza ideale di una certa destra “all’italiana” (anche se – ne siamo certi - il termine “destra” farà storcere il naso a più d’uno) la volontà/capacità di coniugare patriottismo e visione sociale.

Negli Anni Cinquanta del ‘900, Ernesto Massi, storica figura del primo Msi, scriveva: «La Nazione sia intesa non solo quale sventolar di bandiere, ma quale autentica solidarietà di popolo, di cui realizza i fini naturali». Gaetano Rasi, durante gli Anni Settanta, metteva in risalto il valore ideologico dell’alternativa missina, fissata nel social-corporativismo. Giano Accame, alle soglie del 2000, vedeva la “destra sociale” in anticipo sul socialismo scientifico, al punto da costringere Marx ed Engels a polemizzare, nel capitolo terzo del Manifesto, contro le varie forme di socialismo reazionario, feudale, corporativo, aristocratico, piccolo-borghese.

Ancora oggi le basi per una ripresa del “patriottismo sociale” ci sono tutte. La vera questione è non limitarsi ad evocare gli “antenati”, ancorché nobili, ma di declinare questa rinnovata sensibilità con lo sguardo rivolto al mondo. Più che di manifesti sui “principi” c’è insomma bisogno, per i patrioti del XXI Secolo, di un ritorno al reale.

Nuovi problemi incombono sul popolo italiano. E non sono solo quelli legati all’immigrazione e al terrorismo di matrice islamica.  A battere all’uscio degli italiani sono la povertà (passata dall’1,8 milioni di poveri, nel 2007, ai 4,6 di oggi), l’emergenza abitativa (con cento sfratti al giorno), la disoccupazione, la precarietà giovanile.

La lista è lunga, segno di quanto gravi siano le quotidiane esigenze di tanti italiani, messi ai margini del contesto sociale, costretti a livelli esistenziali di mera sopravvivenza, sviliti nella loro umanità. Non sono solo genericamente “poveri”. A questa massa appartengono i cosiddetti “neet”, quei giovani che non studiano, non lavorano e non cercano neppure un lavoro, gli esodati, le vittime della globalizzazione (con le delocalizzazioni) e della fiscalità rapace.

È un “sistema” (economico e non solo, fatto di relazioni sociali e di tutele) che va ripensato, riportando al centro il valore nazionale insieme a quello dell’etica collettiva e quindi di un’autentica socialità, rispetto a cui riordinare priorità, risorse, interventi.

Siamo concreti – abbiamo detto. Qui c’è bisogno di mirati piani d’azione (piano giovani, piano casa, piano povertà, piano famiglia), che fissino scadenze, che, preso atto delle diverse emergenze, indirizzino le risorse in modo chiaro, che fissino priorità. C’è bisogno di una mobilitazione generale dell’intero Paese, consapevoli che in gioco ci sono i più vasti destini nazionali, oltre che quelli economici e sociali di una parte.

E qui il cerchio si chiude. Nella misura in cui la Nazione è quella che al di sopra delle contingenze esprime una solidarietà, solo una rinnovata solidarietà potrà dare sostanza ad un’idea di Nazione costruita sulla memoria, sull’appartenenza territoriale, sulla comunità di destino.   

 È rispetto a questa realtà che quanti oggi si dicono e si sentono patriotticamente impegnati devono iniziare a muoversi, con rigore e costanza. Oggi più che mai il vero patriottismo è sociale o non è.

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