teatro

Incontro di boxe con i sentimenti: Casa di Bambola seduce il pubblico fiorentino

Alla Pergola successo del lavoro ibseniano con buone prove attoriali

di Tommaso Nuti

Incontro di boxe con i sentimenti: Casa di Bambola seduce il pubblico fiorentino

ph Tommaso Pera

Al teatro fiorentino della Pergola è andata in scena la rappresentazione di Una casa di Bambola (1879), del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen (1828-1906): teatro pieno e applausi entusiasti, ancora dopo varie rappresentazioni.

Sconvolta nei suoi punti cardine,  la messinscena diretta dalla regista Andrèe Ruth Shammah ha saputo dare un pizzico di originale particolarità alla storia.

Nora (interpretata da Marina Rocco) è una moglie e casalinga all’apparenza fragile ma entusiasta del suo piccolo mondo in cui si è ritagliata intimità e sicurezze: la sua casa di bambole. Proprio l’attrice Marina Rocco definisce il suo personaggio “enigmatico” perché rovesciato rispetto ai  valori fondamentali a cui la storia iniziale si riferiva, prima che Shammah desse la sua visione della scena e  rivestisse l’attrice dell’abito di una donna piena di contrasti e dalle tante personalità con un grosso potere di “manipolazione” verso le persone e le situazioni che la contornano.

La donna è sposata con Torvald Helmer (portato sulla scena magistralmente da Filippo Timi), uomo dedito alla carriera e al lavoro, ma non meno attento ai bisogni e all’affetto della famiglia. La normalità e la solidità dell’apparente felicità di Nora vengono sconvolte da un ricatto dovuto ad un vecchio debito da lei firmato, falsificando un documento con il nome del vecchio padre defunto; il marito, venuto a sapere dell’ingenuità della donna in un primo momento lascia trapelare amarezza e sconforto di fronte ad un possibile ricatto dovuto alla leggerezza di una firma, ma poi, grazie all’aiuto di Christine Linde (interpretata da Mariella Valentini) la situazione volge al il meglio e Torvald perdona Nora, la quale decide però di lasciare la casa, marito e figli per cominciare una nuova vita  in seguito a che era appena successo, accusando il marito di essere un estraneo che ha trattato la moglie solo come una bambola.

Viene definita una “commedia tragica” e, fondamentalmente, non c’è vicinanza di parole che più correttamente ritagli la posizione dello spettacolo. Quello di Shammah è un vero e proprio lavoro di ribaltamento di ruoli rispetto alla  concezione classica e originale della storia; tutto ruota intorno alla figura femminile che riflette sul fallimento umano delle figure maschili sulla scena.

Ruolo fondamentale lo ricopre la scenografia, disegnata e progettata da Maurizio Fercioni: il colore rosa che fa da padrone, la presenza centrale di un divano (anch’esso rosa), la relegazione in disparte della poltrona (emblema della figura maschile) enfatizzano una serie di coincidenze studiate come immagine di copertina di uno spettacolo che mette in risalto l’abilità della protagonista di tessere le fila dei personaggi e maneggiarli con cura.

Oltre che al direttore di banca Torvald, Filippo Timi impersona altri due personaggi: l’amico dottore, innamorato di Nora da anni e il collega di Torvald, colui che ricatta la sua famiglia. “Non penso a differenziarli – sostiene l’attore – nel senso che sono talmente ben scritti che per l’interpretazione basta seguire la storia”. La divisione  dei ruoli  di Timi è fondamentalmente stata pensata per rivendicare una priorità maschile in un testo da sempre considerato una storia di emancipazione femminile. Può far strano vedere Filippo Timi nei panni di personaggi impostati, precisi e ragionevolmente seri; ma la vittoria di Andrèe Ruth Shammah è proprio riuscire a creare una divertente empatia con il pubblico riuscendo a rompere gli schemi grazie a momenti di pausa narrativa che aiutano a staccare per un istante dal filo conduttore della storia, che per qualche tratto può apparire faticoso. Filippo Timi e Marina Rocco (ma anche Mariella Valentini) riescono in tutto questo, riescono a mettersi dalla parte dello spettatore per un istante e stabilire un legame capace di far combaciare per alcune frazioni la sfera comica a quella tragica; un mix di versatilità e intransigenza dei personaggi confinati in un’impalcatura rigidamente strutturata.

Risalta agli occhi la capacità di fondere persona e personaggio: “con questo spettacolo ho scoperto l’Helmer che c’è in me, la mia parte ragionevole, mi piace essere dove voglio essere e questo mi associa molto al personaggio di Ibsen”, sostiene Timi.

Nella parte conclusiva della rappresentazione la tesi della centralità femminile si sgretola sotto le parole di Torvald: Nora asserisce di esser stata per troppo tempo trattata come bambola sotto le ali del marito, rivendicando la necessità di andarsene, di trovare la “se stessa” più vera. È in quel momento però che l’uomo  mette in campo il valore del matrimonio suggerendo di fare di tutto per cambiare, a patto di farlo insieme. La figura maschile viene messa in discussione e la reazione della donna di fuggire, inconsapevole del grande potere su ciò che ha intorno ma accorta del grande pericolo delle sue scelte, mostra la centralità del fallimento dell’uomo.

A concludere la cornice degli attori la piccola Angelica Gavinelli (figlia di Nora, che suona l’arpa sul palco), Andrea Soffiantini nei panni della balia e Marco De Bella, Elena Orsini e Paola Senatore presenza di sfondo volte a rappresentare la morte e la messa in crisi delle convenzioni sociali o addirittura il destino.

Lo spettacolo (in scena dal 26 febbraio al 6 marzo) risulta ben rappresentato e recitato, grazie anche a qualche qualche sfumatura di suspense e di tensione, e le novità introdotte da Shammah rientrano appieno nell’affresco della storia di Ibsen, seppur in notevole “spolvero”. Timi, Rocco e Valentini riescono nel difficile compito di risultare credibili nel rovesciamento situazionale in cui si trovano: comico e tragico, elastico e intransigente, un vero e proprio “incontro di boxe con i sentimenti”. 

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