Editoriale

Unioni civili e adozioni: l'amore non può giustificare tutto

Lo sganciamento della procreazione dalla sfera della sessualità consegna gli esseri umani alla mercificazione degli ovuli e degli uteri in affitto e allo sfruttamento delle donne

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

uando l'essere umano capisce di poter far qualcosa, finisce per farla. C'è un equivalente aulico di questa affermazione: eccedere humanum est, continere divinum. La legge sulle unioni civili, formulata in modo da includere l'adozione del figlio del partner, appare proprio come il superamento di un limite, un eccesso, una delle pietre miliari di una strada in discesa che sta conducendo la nostra civiltà, figlia della Bibbia, della cultura greco-romana, del cristianesimo e anche dell'Islam, prima che del Rinascimento e dei Lumi, ad essere "altra". 
Il principale strumento metapolitico, morale e legislativo adoperato per sgomberare il campo da ogni contrarietà e opposizione alla direzione assunta è da individuare nella predicazione dei diritti a 360 gradi, per lo più senza adeguati bilanciamenti sul terreno dei doveri: diritti per la ricerca e la tutela della felicità terrena. Vogliamo credere che le intenzioni siano virtuose: la protezione dei più deboli, delle minoranze, dei meno favoriti. 
Di volta in volta, i politici, gli intellettuali e, in ultima istanza, i legislatori, hanno rivolto lo sguardo a chi non sapeva, non poteva, non voleva, ad esempio, mantenere in vita un matrimonio scosso dalle incomprensioni, dalle passioni sopraggiunte, dalla fine dell'amore, in definitiva dai marosi della vita; hanno prestato attenzione a chi non sapeva, non poteva, non voleva portare a compimento una gravidanza indesiderata; ma anche, viceversa, hanno considerato un diritto generare figli, a costo di ricorrere a pratiche d'ingegneria genetica - alcune delle quali ancora vietate nel nostro paese - e così via, fino ad invocare l'inserimento dell'eutanasia, già ipocritamente e nascostamente praticata, nel nostro ordinamento, e cioè a non potere e soprattutto a non volere continuare a vivere, sottraendosi a un destino di sofferenza.
Tutti temi sensibili, che investono la sfera dei valori ben più di quella degli interessi, che attengono alla coscienza più che all'ideologia e, in sintesi, che derivano da una visione del mondo, in grado di determinare l'appartenenza ad una comunità di vita e di pensiero - alla fine, ad una comunità politica - piuttosto che a un'altra. Per inciso, è questo il motivo per cui non si può essere d'accordo sul voto parlamentare svincolato dalla disciplina di partito e confinato nella libertà di coscienza dei singoli. Se il mio partito decide, su di una materia così importante, di votare come io non voterei, semplicemente le nostre strade si dividono. Questo, almeno, in un quadro di convivenza civile e politica in cui i partiti non siano solamente contenitori di interessi e comitati elettorali.
Ma torniamo alle unioni civili ed all'ampliamento di orizzonti delle adozioni. Qui ci interessano le linee di fondo; perciò tralasceremo le questioni dettaglio, quali la querelle sul voto segreto e, ancor prima, la considerazione che il PD ha preferito non limitare il provvedimento alla semplice disciplina delle unioni civili - sulla quale probabilmente avrebbe riscosso un consenso larghissimo e trasversale - ed ha evitato di trattare a parte la delicata materia delle adozioni, anche di quelle "ordinarie", in chiave di innovazione, rendendole meno macchinose e sempre salvaguardando in prima istanza le esigenze del minore.
Si è parlato di due piazze, di due popoli, in occasione delle recenti manifestazioni, rispettivamente  a sostegno delle unioni civili ed a favore della famiglia. In proposito, preso atto della spaccatura esistente sul tema, in particolare in Italia, vanno tenute presenti alcune premesse. Intanto, le unioni omosessuali di fatto sono una realtà, sia pure largamente minoritaria, già esistente nella nostra società, e con esse anche le adozioni da parte di coppie omogenitoriali, sia pure con artifici burocratici e/o con sentenze frutto di forzature. In secondo luogo, non ha senso parlare di rapporti "contro natura": infatti, tutto quello che esiste e muta in natura è, per questo solo motivo, "secondo natura". Analogo errore logico viene compiuto da coloro - spesso, ahimè, perfino da ecclesiastici - che giustificano questi nuovi modelli di famiglia in forza dell'amore: così facendo, si passa in secondo piano proprio l'aspetto contrattuale e legislativo di cui si pretende l'estensione anche alle nuove aggregazioni; per di più, si ignorano gli elementi costitutivi – antropologici -  che per generazioni, fin dalla Bibbia, sono state alla base della nascita e dell'educazione dei figli.
Senza contare che lo sganciamento della procreazione dalla sfera della sessualità consegna gli esseri umani al "gabinetto del dott. Caligaris" (e domani, chissà, a quello del dott. Mengele), alla mercificazione degli ovuli e degli uteri in affitto e allo sfruttamento delle donne (specialmente delle più deboli e sfavorite, come non hanno mancato di notare criticamente non pochi illustri studiosi e opinionisti di matrice marxista e femminista). Così, viene fatto passare per atto d'altruismo la rinuncia della madre surrogata al portato del suo grembo, all'esserino sconosciuto nutrito per mesi nel suo ventre e dal quale si dovrà separare appena lo avrà messo alla luce, negandogli anche il conforto del latte materno.
Il vero problema del ddl Cirinna' allora non è tanto quello di dar luogo legale a nuove forme di aggregazione familiare: in fondo, la famiglia cosiddetta classica discende da un lato dalla natura, dall'altro dalla cultura e, sotto quest'ultimo aspetto, nel corso della storia si sono registrate molteplici modifiche e altrettante differenze si annoverano tuttora in aree geo-culturali diverse dalla nostra (basti pensare alla diffusione della poligamia e perfino alla persistenza, sia pure in remote plaghe, della poliandria). 
Il fatto è che per la prima volta viene messa in discussione la stessa distinzione tra maschio e femmina, e non solo nella prospettiva matrimoniale (nuptiae sunt coniunctio maris et foeminae, recitavano i giuristi latini); se in parallelo alla vicenda unioni civili si considera la lenta penetrazione della cosiddetta cultura di gender, in virtù della quale le differenze di genere sarebbero non già naturali, bensì dettate dai condizionamenti ambientali e, appunto, culturali, si capisce appieno la portata del fenomeno. E la circostanza invocata dalla grancassa mediatica, secondo la quale si tratterebbe di adeguarsi alla modernità di quasi tutte le legislazioni dei paesi cosiddetti avanzati, non fa che confermare la portata epocale di questi fenomeni.
Del resto, il vero obiettivo dei sostenitori di questo ddl non è tanto quello conclamato di ampliare l'area dei diritti, bensì quello di accrescere il potere pervasivo della Tecnica, a discapito del Sacro, lungo un plurisecolare processo di desacralizzazione. Stiamo insomma assistendo alla rivincita di Prometeo, nel nome del Pensiero Unico Planetario. 
Purtroppo, i segnali che vengono da più parti non autorizzano alcun ottimismo: la civiltà che abbiamo conosciuto fin qui è sul punto di soccombere, come fu già per quelle rappresentate dagli imperi di Egizi ed Etruschi, Romani e Bizantini e Mongoli e perfino Sovietici. Quanto alla Chiesa, se è giusto non rifiutare il battesimo a nessun neonato, che ne sarà degli altri Sacramenti, che presuppongono una partecipazione ed una capacità educativa convinta di tutta la famiglia, genitori in primis? Le avvisaglie di cedimenti dottrinali non mancano: mai come oggi ci sentiamo retroguardia, come Orlando a Roncisvalle.

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