A KARL VON SPIESS

Il Kowsch, un capolavoro dell’arte paesana russa -III e ultima parte-

di Piccolo da Chioggia

Il Kowsch, un capolavoro dell’arte paesana russa -III e ultima parte-

Figurina avicola intagliata in fondo al manico

Il Kowsch donato al sovrano sassone rappresenta il culmine che porta a sconfinare entro le meraviglie dell’arte orafa il modesto bacile della tradizione rurale russa. Esso è certo bello e suggestivo è il ricordo storico che ad esso si lega, dato che nel Kowsch sono uniti in una specie di continuità ideale il severo discendente dello scandinavo Rurik ed il geniale e controverso Romanoff, fondatore di città e fiero iniziatore della marineria russa. Ma su questo mestolo l’ingenua eppure possente carica del segno cede in ogni caso all’arte: la sagoma alata, esplicita nei mestoli paesani, è qui solo adombrata, e con ciò il messaggio primordiale veicolato dalla figurina stessa pare dileguare, vale a dire che ora tale messaggio non è più evidente e per farsi esplicito vuole una esplicazione antiquaria. Condensando in pochi termini, l’arte paesana qui si ritira ed occulta per far luogo all’arte colta, raffinata e sostanziata per somma parte di estetica e tuttavia meno evocativa se si prescinde dalle circostanze storiche della fattura e del dono. Il trapasso diretto dalla favola antica al bacile che reca la bevanda inebriante e rituale, che è il Kvas, è ancora visibile solo nel modesto Kowsch rurale, intagliato dal legno senza soverchi abbellimenti. Un fatto, questo, che chiarisce in ogni caso il rango di tale arte i cui esiti sono modesti rispetto a quelli dell’arte colta e la considerazione che ad essa è data da storici della civiltà.


Dato che il nostro bacile col manico su cui è posato un uccello benaugurale ha il suo ufficio primario nel raccogliere la bevanda tipica della tradizione rurale russa, il Kvas, Квас, vale ora di rintracciare del nome di quest’ultimo l’affinità con altre parole delle lingue indeuropee. Dal Vasmer e da altri Autori abbiamo una interessante notizia: la radice di Kvas pare essere la medesima del latino caseus e proviene dalla radice che origina l’antico indiano kvàthati il cui senso è un far bollire, tradotto in russo col verbo vagamente consonante di килятит. Evidente dunque è il nesso con l’idea d’una bevanda che ribolle, ovvero fermenta. Una ulteriore annotazione del Vasmer è quella che vede la radice di Kvas legarsi al latino quatio o quassus il cui senso devia allora verso un far ribollire o fermentare tramite lo scuotimento, si ricordi allora qui, a titolo di curiosa spigolatura, il nostro termine di sconquasso che bene evoca l’immagine d’uno scuotimento dovuto a moto meccanico.


Come che sia, l’idea principe, cioè quanto unisce il mestolo da ornarsi con un qualcosa che evochi la circostanza fatale del poter rivivere un rito noto da tempi antichi, alla bevanda inebriante che in esso deve versarsi, viene data dalla mitologia. È in virtù di questa idea principe che l’anonimo artiere di campagna ha determinato ab antiquo la forma, nel senso di sembianza, che venne data e per sempre si deve dare al legno attraverso l’intaglio creatore. E però quale mitologia, visto , che dal pantheon slavo o da quello lituano non abbiamo quella mole di documenti che ha permesso agli storici di ricostruire con una certa vastità di panorami l’antico mondo mitologico ellenico, latino, scandinavo o indoario? L’Autore austriaco non si è qui perso in dotte congetture ma ha proceduto con il suo tratto rapido ed illuminante ed ha rintracciato in un’ampia comparazione l’affiorare del motivo avicolo ornamentale e degli altri motivi simbolici ad esso associati tanto nelle opere delle varie arti applicate, quali tessuti, oreficeria, numismatica, miniature e via di seguito, quanto nell’arte paesana fatta dei semplici oggetti d’uso comune, quale appunto è il nostro Kowsch o lo sono i modesti vasetti che contengono il sale. Ha comparato tra loro questi manufatti tanto nello spazio, quello europeo, quanto nel tempo, rintracciando le eventuali analogie con gli oggetti di forma o ufficio consimili e provenienti dall’archeologia. A questo punto, un’interpretazione generale o almeno un tentativo di interpretazione erano possibili ricorrendo al patrimonio della tradizione orale europea e delle mitologie, soprattutto quelle ellenica o indiana la cui portata culturale, almeno quale barlume, può bene immaginarsi arrivare fino a più remote contrade del mondo indeuropeo, cui il mondo slavo nella sua variante russa appartiene.  

  

L’interpretazione del von Spiess sull’apparire dei motivi ornamentali avicoli riposa, come detto, su quanto è attestato dalla tradizione europea in forma di favole, usi, costume e quando ciò sia possibile anche di mitologia. Entro alla tradizione non scritta per l’uccello si individuano degli uffici che si possono così ripartire:


I Uccello quale annunziatore del tempo e a tal proposito nel mondo russo è da rammentare la relazione che intercorre fra la quercia di Perun, il dio dei fulmini che scaglia l’ascia ed equivalente slavo del Thôrr scandinavo, e certi uccelli che annunciano primavere e tempesta.


II Uccello quale veicolo che porta la bevanda di salvezza o il cibo sacro.


III Salvatore e annunziatore del destino


IV Uccello benaugurale, o vendicatore o giudice.  


Dell’uccello veicolo della bevanda d’immortalità ovvero di salvezza, l’Austriaco riporta nelle sue pagine, con un effetto invero suggestivo, il senso di un corto dramma, il Sauparna della letteratura sanscrita, che affonda le sue radici nell’epopea indiana del tempo vedico. In esso si racconta del ratto del Soma, l’inebriante bevanda divina, effettuato da parte del rapace Garuda. La materia è tratta dal Mahabharata e però è notevole, aggiunge il von Spiess, che nella coda del dramma sia detto che pure a coloro che abbiano assistito alla sua rappresentazione come spettatori avverrà di ottenere un beneficio. Noi siamo qui forse in grado di dedurre che la rappresentazione stessa abbia in sé medesima una valenza di atto rituale. L’effetto benefico quale è elencato nel Sauparna si descrive in questi termini: continuità della stirpe con maschi, forza di visione, liberazione dai nemici. Come si vede trattasi d’un panorama spirituale non distante da quello che si può incontrare negli inni del Rg-Veda. Al ratto del soma compiuto dal rapace Garuda, corrisponde, nella mitologia nordica, la conquista dell’idromele compiuta dal supremo Odhinn che ha assunte per l’impresa, in grazia del suo potere di mutazione e travestimento, le sembianze d’un’aquila.


Alla figura avicola, argomento principe, l’Autore associa un altro motivo ornamentale che nell’arte paesana è a volte connesso con la figura alata, quello della luna. La relazione con l’astro notturno viene esplicata  innanzitutto attraverso l’importante fattore temporale: se è nelle festività che ab antiquo si riattizza il fuoco nuovo e si preparano le bevande sacre ovvero quelle dell’ ebbrezza come soma, idromele, birra, è però dalla luna che il tempo viene misurato ed è in virtù di essa che nel calendario agrario si codifica la cadenza della festa. Il folclore nonché la linguistica europei confermano quanto a lungo il mondo rurale sia stato vincolato all’antichissimo calendario lunare. L’astro notturno viene poi figurato nelle varie tradizioni come:


I una botte colma di nèttare divino che si illumina, si riempie e si vuota;


II il caldaio libero nel cielo che cuoce da solo, si arroventa, è colmo di acqua bollente e di bocconi appetitosi d’ogni sorta e si muove come un carro, viene frantumato in pezzi ma poi di nuovo ricomposto.  (In questa veste, l’astro lunare mostra una qualche similarità con il culto di Perun nella antica Russia, dato che questo dio era visto come muoversi su di un carro di fuoco lungo la volta celeste);  


III un uccello brillante, dorato e di fuoco, ripieno della bevanda di ebbrezza e veicolo dunque di tutto ciò che sia connesso ala stessa: acqua di vita, di immortalità, erba della salute o della nascita, o ancora della pietra delle meraviglie o dell’oro;


IV un toro luminoso che ha in sé latte e tutti i semi possibili;


V la botte miracolosa che alberga ogni sorta di pianta.


Il motivo del caldaio che cuoce e ribolle da solo ricorre pure nei racconti italiani e negli Schwanken tedeschi per i quali è attestato che a volte sono adombrati dei contenuti molto antichi.  

Abbiamo visto come la forma a mezzaluna del manico contraddistingua alcuni tipi di Kowsch e da quanto precede ne possiamo intuire la ragione dell’associarsi alla figura alata. Come spesso avviene nelle favole dove diversi possono essere i segni e gli episodi del mito che confluiscono nel racconto ed il tutto si affastella in varie trame, così in quello che possiamo forse definire la traduzione in plastica della favola, ovvero l’oggetto dell’arte paesana, di varia origine possono essere i motivi ornamentali e non tutti legati in un unico e lineare racconto mitologico. Ciò credo possa spiegare che invero è l’uccello il vero punto fisso ed irrinunciabile nel quale cercare di comprendere l’antefatto primordiale che l’artiere paesano rievoca nell’intagliare il legno che darà il bravo mestolo. Volendo tentare una ulteriore precisazione, il motivo della luna o mezzaluna con tutta l’immensa mole di argomenti del mito che esso reca, quali ad esempio la notte come il non manifestato e le acque come il virtuale o il germe di ogni cosa, è da ritenersi qui aggiuntivo e legato più che altro alla parte a “calice” o a “navicella” del Kowsch


È inutile qui soffermarsi troppo su questo aggiungersi nell’ornamento del motivo a luna nel mestolo, sia in ogni caso notato che esso si svolge in un modo coerente: come da sempre un bacile colmo d’acqua rappresenta in forma simbolica la possibilità del manifestarsi d’ogni virtualità contenuta in germe entro le grandi Acque primordiali rappresentate in modello dal bacile, così pel Kowsch ricolmo della bevanda inebriante possiamo senza incoerenza estendere l’idea che entro di esso vi siano raccolte, ancora inespresse, tutte le virtualità che detta bevanda può propiziare con gli stati estatici da essa indotti. Se non è ora obbligatorio entrare in un serrato esame del tema mitico dell’ebbrezza, dato che il nocciolo della questione riposa soprattutto nell’ornamento avicolo del Kowsch, vale di ricordare una storia interessante: nella mitologia nordico-scandinava, l’ebbrezza è individuata nel gigante Kvasir, il cui nome è evidentemente tratto dal termine Kvas che in danese e norvegese assume il significato di frutta spremute, mosto di tali frutta. Di questo gigante, così è raccontato negli Skâldskaparmâl dopo che un interlocutore domanda al poeta donde abbia origine l’arte della poesia:


“Ne è causa che gli dei (ovvero gli Asi) ebbero una guerra col popolo dei Vani. Ma convocato un incontro fra i nemici si trovò di fare una tregua a questo modo: si accostarono entrambi i nemici a un medesimo vaso e vi vomitarono dentro. Quando si separarono, gli dei presero il vaso e non lo vollero lasciare: ne modellarono un gigante di nome Kvasir. Egli era così saggio che non vi era domanda al mondo per la quale egli non desse risposta. Partì pel  vasto mondo a insegnare la saggezza ma un dì andò a trovare i nani Fjalarr e Galarr che l’avevano invitato. Essi lo trassero in disparte e lo uccisero. Fecero colare il sangue in due vasi e in un paiolo; il paiolo si chiama Odhroerir, i due vasi Sôn e Bodhn. Mescolarono al sangue del miele e si formò un idromele tale che chiunque ne beva diviene poeta o saggio. I nani dissero agli Asi che Kvasir era soffocato nella propria intelligenza perché nessuno vi era di così abile per esaurire il suo sapere per mezzo di domande…”


Bevanda inebriante dunque posta a sigillo d’una concordia definitiva dopo una guerra fra le famiglie divine,  Asi e Vani, e sorgente di poesia. Una trama con le cospicue varianti dovute al panorama affatto differente ma in ogni caso piuttosto simile si ritrova in un capitolo del Mahabharata e mostra di far parte d’un corpo di leggende che doveva essere comune al mondo indeuropeo: Varuna e Indra, dio sovrano e dio guerriero, sono in guerra con i Nasatya, dei della salute e della prosperità che ritengono dei d’un rango minore. Un eremita (non è per nulla che siamo in India!) alleato dei Nasatya, al quale essi avevano reso la salute, fabbrica colla sua forza mentale il gigante Mada, ovvero Ebbrezza che minaccia di inghiottire tutto il mondo, con i superbi e recalcitranti numi ivi compresi. Indra cede e l’accordo è fatto: i Nasatya sono associati alla comunità divina, mentre Mada, esaurito il suo ufficio, viene tagliato in quattro parti dal pio eremita e la sua essenza si distribuisce nella bevanda, nelle donne, nel gioco e nella caccia.


Il geniale von Spiess, nel volume nominato, effettua come detto una classificazione e dipoi una comparazione fra i recipienti ornati da figure avicole del folklore europeo. Per i Vogelgefäß norvegesi se ne indica l’uso rituale del bervi l’idromele nelle grandi occasioni di festa della stirpe. Questi oggetti, dei quali uno, davvero notevole e lungo quasi un metro, è raffigurato nel foglio con il Kowsch dono dello Zar, passavano di generazione in generazione ed erano ben custoditi. Nella Slovacchia rurale vi è il piccolo calice dei pastori, visibile sempre nel foglio con il Kowsch zarista. Il manico del calice è sagomato in estremità come il capo di un galletto. Dall’arte orafa tedesca viene un singolare e grande cucchiaio d’argento conservato nel museo civico di Flensburg nella Germania che confina colla Danimarca. Dalla sua immagine si vede come questo cucchiaio sia il più affine, qualitativamente almeno, ai Kowsch della tradizione rurale russa anche rispetto al gran calice prezioso donato da Pietro il Grande, per il fatto di ospitare sul lungo manico l’ornamento avicolo nell’atto esplicito di estendere o forse ritrarre le ali. 


In qual modo interpretare però queste affinità fra gli oggetti nominati ed il Kowsch? Più precisamente cosa vogliono adombrare questi volatili piumati calati su mestoli, cucchiai o calici? Che storie antiche recano essi con sé? Attenendoci ai Kowsch russi le figurine avicole sono intagliate con la grazia creatrice dell’ingenuità e sembra quasi che si fossero posate dopo un faticoso volo sui manici, tanto su quello dell’argenteo cucchiaio, quanto su quelli dei modesti mestoli rurali. Ma che significato può avere la fatica di ornare in tal guisa un oggetto dall’uso così modesto? Credo che un senso di questa fatica lo si possa dare se si torna di nuovo alla leggenda che ha trovato compiuta forma nel Mahabharata, o se si rileggono i numerosi inni rigvedici a Soma, la bevanda inebriante e conferitrice d’immortalità: Soma ha la sede sulle montagne o nel cielo da dove fu portato a Indra da Garuda che lo strappò come un’erba. Dunque, intagliata nel manico del Kowsch, la figurina alata pare essere plausibilmente il ricordo affievolito ma non estinto d’una leggenda la cui estensione nello spazio continentale si è dispiegata, mutando alcune apparenze ma non la sostanza, dalla Scandinavia di Odhinn fino all’India.  Inoltre Soma nel Rigveda è ora sorgente, ora ruscello oppure pianta in un bacile che è un simbolo acquatico. E qui sembra far capolino l’immagine della bevanda che producendo l’ebbrezza creatrice divina, ed anche poetica per deduzione, si levi come una pianta dalle belle forme, dalle parvenze precise e compiute nel proprio trionfo sulla confusione e l’informe rappresentate dalle acque, segnatamente le acque primordiali. Se i bacili contenendo il Soma divengono essi stessi i veicoli, l’aiuto modesto ma necessario, della forza magica simboleggiata dal liquido divino è allora più che giustificato onorarli d’una fattura artistica e decorata. Confluiscono così nel povero oggetto paesano, il Kowsch i ricordi di leggende molto antiche: bevendo da esso il bevitore per un istante rinnova l’atto d’Indra che assetato di gioia e nuove conquiste beve di sete inesauribile il Soma inebriante. Intagliandolo secondo le semplici regole codificate dal tempo, l’artigiano trascrive in forma plastica la leggenda del ratto di Soma raffigurandone in segno il calice che lo accoglie e in figura Garuda che lo rapì illo tempore. Nell’atto creativo d’intagliatore l’oscuro paesano russo attua una via pratica e diviene partecipe d’una vittoria delle forme compiute sull’indistinto delle acque primordiali.



Sembra forse poco ma si consideri questo unico verso tratto dall’inno del Rg-Veda IX, 3, 1 e dedicato, appunto, a Soma. Qui Soma rapito da Garuda ne assume quasi il genere e vola come un uccello. Lo trascrivo prima nella sua egregia versione tedesca dalla quale poi lo volto nella nostra lingua: 


Dieser unsterbliche Gott fliegt wie ein beschwingter Vogel, um sich auf die Holzgefäße zu setzen.


Questi,

il dio immortale, 

in guisa di uccello alato vola, 

per finir a deporsi 

su bacili di legno


Il bravo paesano russo che un millennio intaglia i Kowsch non sembra aver dato perfetta immagine plastica pure a questo suggestivo passo poetico?

   


Poscritto


I Kowsch in legno, a quanto mi pare di capire dai dettagliati disegni sull’opera di von Spiess non paiono essere troppo capienti. Le misure di quello prezioso donato da Pietro il Grande al Sassone rappresentano forse un limite superiore, almeno per i mestoli d’un tempo. Immagino allora un altro uso per quelli più modesti in legno che per avventura dovessero approdare sulle nostre mense. Essi potrebbero versare nei piatti una buona minestra o prelevare da festose zuppiere delle prese di riso lombardo condito da salse raffinate e gustose. Fra queste ultime ho nominato volutamente la gloriosa pommarola napoletana. È un omaggio dovuto al genio di quella capitale che nel 1866, ad appena cinque anni di distanza dalla fine del regno, trovava modo di ospitare nel suo Museo Nazionale in una levata di antica fierezza la celebrazione dedicata ai cinquant’anni trascorsi dall’apparizione del venerabile saggio sulla coniugazione del verbo sanscrito, latino e germanico ad opera di Franz Bopp. Il qual saggio, seguito dalla grammatica comparata dello stesso e poi dal compendio dello Schleicher e dalle etimologie del Pott, era l’iniziatore stabilito degli studi indeuropei. Da questi ultimi, per una via indiretta discende anche la lunga ricerca sull’arte rurale in Europa di von Spiess.


Fra gli oggetti d’artigianato artistico e d’uso comune nelle contrade rurali Karl von Spiess riporta nella sua opera anche dei graziosi vasetti per custodire il sale sagomati in guisa di navicelle con un capo aviforme. Quasi dei Kowsch minuscoli e però senza il manico. Ancora una volta interessante è il nesso con il simbolo alato: se il mestolo di legno dal quale si beve il Kvas, rammenta del Soma divino e dell’immortalità ch’esso garantiva ai numi, il piccolo vasetto aviforme custodisce e veicola  a suo modo la qualità conservatrice dei cibi del sale, e ciò è quantomeno garanzia di non morte per fame e per malattie dovute ai veleni che scaturiscono da cibi avariati.


Poscritto secondo 


Ho detto del rito adombrato dal paesano bevitore di nettare dal Kowsch che per un istante si fa eguale ai numi che bevono il Soma, e poi dell’atto creativo dell’intagliatore che rinnova il canto vedico e trasfonde in immagine plastica la leggenda dell’erba donde si pressa il Soma rapita da Garuda. Un terzo atto sembra restare senza senso: e noi che studiamo ed ammiriamo il povero mestolo decorato? Cosa vuol significare ciò? A noi è data la contemplazione schopenhaueriana del Kowsch, di un oggetto modesto e però artistico e di lunga storia e custode in forma ingenua di leggende primordiali. Se non siamo di fronte all’opera della grande arte che sospende per un istante il fluire e gli appetiti del Wille e ci fa abbracciare in uno sguardo la grande Rappresentazione, la Vorstellung, nel Kowsch scorgiamo tuttavia e con stupore tratti del Sublime nel vedere come da tempi immemorabili l’aspirazione a sentirsi divini, ad imitare i numi, provenga fino a noi, non attenuata e dissimulandosi per farsi comprendere entro un oggetto che racconta di una favola intelligibile pure a chi non ha modo di leggere il Mahabharata né di assistere al dramma Sauparna…  

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