Calunnie e doppiopetto blu

Il rifugio nei sogni

Peter si svegliò all’improvviso, quasi a volersi liberare dall’incubo che lo perseguitava in quel catastrofico sonno (Cap.27)

di  

Il rifugio nei sogni

 

Uno dei suoi onirici pensieri gli invase la mente e lo trasportò in un altro paese e periodo storico.

Prove schiaccianti, nonostante, il magro e occhialuto Osvald Perryngton non avesse mai creduto ai fantasmi, lupi mannari, stregoni, streghe o demoni. Lui voleva solo prove schiaccianti per credere all’incredibile.

« All’inferno il diavolo» era diventata l’ espressione favorita di questo alto e
curvo intellettuale che utilizzava in particolare tra i suoi compagni laureandi che lo ammiravano proprio per la sua ritrosia ad ogni forma di fede religiosa.

Quel giorno Perryngton era seduto in soggiorno con i suoi genitori, fumava la sua pipa, guardava il bagliore rosso del sole al tramonto, e contemplava la guglia della vecchia Harmour Church tra gli alberi spogli del cortile. Per lui l'Inferno era un'invenzione bella e buona della Chiesa e, quindi, una delusione. Le opinioni di quest’uomo magro, con gli occhiali, erano state man mano rafforzate dalle letture di Neitzche, Marx e Derrida, che aveva approfondito lezione dopo lezione, facendosi influenzare significativamente. 

Osvald studiava, per un dottorato in lingua inglese, in un’ importante università della California, e stava finendo una tesi sui principi dell’esoterismo anglosassone

I suoi genitori, da poco usciti per andare in Chiesa, erano fieri di lui.

Seduto sul divano verde e sbiadito dagli anni, dopo avervi dormito come un bambino, si mise la pipa in bocca e iniziò a riflettere.

Durante il periodo del college, aveva visto le superstizioni dei suoi antenati sradicate come le erbacce, ciascuna di esse gettata -a bruciare- sul mucchio degli scarti culturali che Osvald, però, aveva conservato nella parte posteriore della sua mente, nel caso un giorno fosse tornato utile un po’ di stupore e curiosità per impressionare colleghi e studenti che, riuniti intorno a lui,  avessero voluto disquisire di magia, possessione e altri tipi di fenomenologia.

Mentre le ombre della sera oscuravano il cielo, Osvald si chiedeva come e dove trascorrere il  fine settimana. 

Era contento che i suoi genitori fossero usciti, perché finalmente aveva la libertà di cui abbisognava, dopo il tanto.  troppo studiare. Il ragazzo voleva ora una spinta, un brivido che lo distraesse dalle solite cose.

Aveva bisogno di fare qualcosa di diverso, qualcosa da ricordare quando avrebbe lavorato  alla tesi nella sua piccola mansarda appena fuori il campus. In realtà, egli fu tentato di visitare la vecchia Harmour Church, dal mattone e legno traballante, meta di tante persone impaurite che non avevano il coraggio di entrarci a causa delle leggende che circolavano su questo edificio.

Superstizioni a parte, il posto trasmetteva un fascino inquietante.   

Osvald aveva vividi ricordi del luogo. Anche alla luce del giorno, durante la sua infanzia e l'adolescenza, la vecchia Chiesa era sempre apparsa buia; guardare quel posto era come osservare attraverso una scura pellicola trasparente.

Quand’ era ragazzino, e vi transitava davanti, per andare con la madre dal macellaio o a studiare da un amico, aveva sentito occasionalmente dei rumori sinistri, misti a suoni, provenire dalla Harmour Church, specialmente dopo le 6 p.m.

Al compimento dei suoi 14 anni, camminando intorno al perimetro della Chiesa, verso la mezzanotte di fine novembre, aveva sentito delle urla agghiaccianti, qualcosa che suo padre attribuiva ad uno spirito demoniaco. Un’ altra volta, sedicenne, tornando a casa, dopo qualche ora con la fidanzata forse nella notte più buia dell'anno, Osvald aveva visto uno sfarfallio di luce da una finestra del secondo piano della Harmour e un'ombra che rimbalzava sulla parete esterna. 

Questa specie di ossessione per quel luogo gli era stata trasmessa dal nonno, Theobald, nel corso degli anni. Osvald, aveva sentito tantissime storie su quell’edificio raccontate da quel vecchio pazzo che aveva vissuto con il ragazzo e i genitori e aveva reso evidente, il giorno della sua morte, che egli disprezzava tutti in famiglia tranne Osvald.

Solitamente, nonno Theo, chiamava il piccolo a sé nella grande sala di famiglia, lo teneva sulle sue gambe a cinque metri dal camino, e incominciava a riempirgli la testa con storie di paura sulla Chiesa sconsacrata.

A volte, ad Osvald era sembrato di sentire, chiaramente, il vecchio nella sua stanza -ormai desolatamente vuota- parlare di storie di morte e terrore, quasi a volerlo spaventare, anche dopo la sua dipartita.

"Prendete l'omicidio e lo smembramento di Peggy Drummond, avvenuto oltre trenta anni fa", aveva detto Osvald ad alcuni suoi amici una settimana prima. "Questo era uno dei racconti preferiti del nonno, dove aggiungeva sempre più sangue ogni volta che lo raccontava.

Peggy era una studentessa liceale che si manteneva a scuola con alcuni lavoretti extra, come fattorino delle pizze o rappresentante di cosmetici. Il giorno, guarda caso, di Halloween fece l’errore di bussare anche alla porta della chiesa sconsacrata di Harmour. Cosa strana, quella, perché in quella ex dimora del Signore non vi abitava più nessuno ormai da anni e anni. Povera ragazza! Comunque, secondo nonno Theobald, che fu l'ultimo a vederla viva, un mese più tardi, alcuni adolescenti ritrovarono il suo corpo, o quello che ne restava, in decomposizione sul pavimento interrato della Harmour Church.

Il vecchio, mentre raccontava, ringhiava e descriveva il luogo pregno di sangue dappertutto: sui muri, sul tappeto, su un crocefisso, sulle panche, ma la cosa più raccapricciante è che Peggy non aveva più i suoi bellissimi occhi verdi; le erano stati strappati da qualcuno o qualcosa.

Nessuno ha mai spiegato cosa stavano facendo i ragazzi nella chiesa, che non era più abitata da molti anni”.

Quando gli amici di Osvald dimostrarono tutta la loro perplessità in merito alla veridicità della storia, lo stesso aveva già riacceso la pipa e, colpito nell’orgoglio, rivolto a loro disse:  

"Okay. Allora sentite questa. Cinque anni dopo la scoperta di Peggy Drummond, i corpi morti e sventrati di altri due adolescenti, un ragazzo e una ragazza, vennero trovati appesi per il collo ad una trave della  soffitta del vecchio edificio Harmour.

L'assassino aveva legato una corda di nylon nero cinque volte attorno al collo di ogni vittima. Il rapporto dell’autopsia aveva dimostrato che i due erano stati sbudellati alcuni istanti prima della loro morte. Gli occhi del ragazzo e della ragazza erano stati cavati proprio come nel caso di Peggy. Forse gli avevano mangiati i topi, mi raccontava con un sorrisetto il nonno, quasi a stemperare la situazione da brividi.    Allora, a quel punto, il vecchio mi portava verso la finestra della sua camera e puntava il suo indice storto e tremante in direzione della Chiesa, appena visibile, nella luce della sera, tra gli alberi. Mi spiegava ansimando, e guardandomi negli occhi, che quell’ edificio era posseduto dal male; che poteva raccontarmi altre cento storie, tutte con il medesimo finale raccapricciante.

Naturalmente, Osvald, seduto sul divano verde e sbiadito, ripensava allo scetticismo dei suoi amici che non avevano preso assolutamente sul serio i suoi racconti o, meglio, quelli del vecchio Theobald.

Addirittura uno dei suoi colleghi di studio, Phillip Lukertown, gli aveva fatto notare che accettare per veri simili racconti era l’equivalente che credere nel diavolo, un personaggio considerato nei circoli intellettuali niente più di una finzione popolaresca e nociva, capace, comunque, di ispirare gesta oscure a chi facilmente impressionabile.

Osvald si chiedeva come un giovane sul punto di ottenere il suo dottorato in lingua inglese, potesse solo lontanamente prendere in considerazione le storie del vecchio nonno morto di insufficienza cardiaca congestizia quattro prima, e si domandava, mentre sbuffava la pipa e guardava fuori dalla finestra, in attesa del buio, come un’intera comunità potesse affermare  che la Chiesa era infestata. 

Infatti, per dimostrare a se stesso che non vi era alcuna base pragmatica, per tutte le superstizioni riguardanti la Harmour, aveva invitato, la notte prima, una sua ex fidanzata a trascorrere, parte della serata successiva, con lui nel vetusto edificio. 

"Considera il tutto una sorta di brivido a buon mercato», aveva detto, con aria di sufficienza, a Melody, la sua ex. 

"Certo, Osvald," aveva subito risposto la giovane: "Mi piacciono i brividi a buon mercato", e Osvald non poteva non ricordare che Melody al liceo era una di quelle ragazze che avrebbero fatto qualsiasi cosa per un po’ di paura e suspense addosso, soprattutto anche a livello sessuale.

Osvald e Melody decisero di incontrarsi al negozio di dischi, a pochi metri dalla Chiesa e dall’abitazione della giovane.

Bionda, con un fisico che avrebbe ridato un’erezione, anche da morto, a nonno Theo, la ragazza indossava un maglione attillatissimo che evidenziava due bellissime tette (forse rifatte), gonna di jeans inguinale e stivali con tacco vertiginoso.

Da lì, con la lavagna luminosa della luna piena a fare da cornice, camminarono mano nella mano nel centro della città, per fermarsi a cena da Clongh Dgong, un ristorante cinese situato a pochi metri dalla Harmou Church.

Melody seduta di fronte a Osvald , iniziò a raccontare di quello strano posto, di quella chiesa vecchia e sconsacrata da tempo.

"Io e alcune mie amiche di solito restavamo lontane da quel dannato posto, tranne che una volta".  Melody parlava velocemente, intingendo il pane nel suo brodo. "Una volta, dicevo, Mary, ed io abbiamo lanciato delle pietre contro la chiesa quando abbiamo visto dentro qualcuno. Mary ha, addirittura, attraversato uno dei finestrini anteriori per vedere chi fosse. Per noi era molto divertente, tipo un brivido a buon mercato, credo."

    Guardando intorno per assicurarsi che nessuno avesse sentito Melody parlare, ad Osvald tornò in mente la storia della ragazza. 

Tutto avvenne una notte, dopo una partita di football della scuola locale, dove Melody e Mary mezze nude e ubriache, avevano deciso di guidare fino alla vecchia chiesa di Harmour per trascorrere un paio d’ore tirando pietre contro le finestre dell’ edificio.

I vetri delle finestre rotte portate l’indomani a scuola, eressero le due a vere eroine, ma inaspettatamente il giorno dopo l’impresa, esattamente il 31 ottobre, Mary  venne trovata appesa per i piedi ad una trave del soffitto della casa adibita al parroco, squartata esattamente in due e con gli occhi strappati dalle orbite.

    "A volte," riprese a parlare Melody, bevendo un sorso di vino bianco e guardando Osvald, "a volte, a tarda notte, ho una sensazione inquietante, come se qualcosa o qualcuno mi guardasse nei miei fottuti occhi verdi, ed io sono certa che questa entità provenga da quel malefico posto. Poi penso a Mary, a come l'hanno trovata. Senza occhi e con le budella per terra. E, a volte, mi siedo sul letto e piango, mi attanaglia la paura, e in quel momento arriva sempre la mamma a dirmi che è tutto a posto e che devo dormire”.   

Sentendo la ragazza così angosciata Osvald, mentre lentamente masticava la sua cruditè di pesce impreziosita da frutti di bosco, le chiese se avesse avuto ancora voglia di andare alla Harmour Chruch. "Solo brividi a buon mercato", gli ricordò il ragazzo.

    "Oh, per l'inferno sì. Per l’Inferno, l'inferno, l'inferno, sì, lo faccio, lo faccioo!" esclamò esaltata Melody.

Più tardi quella notte, entrarono nella ex dimora del Signore, abbastanza facilmente. Si arrampicarono su un albero e saltarono su un piccolo terrazzino del tetto, rompendo una finestra, e aprendosi un varco attraverso quella che doveva essere la stanza adibita all’organo. 

Osvald, aveva con sé una torcia che subito accese appena i due furono all’interno.

Gli scaffali di pino scuro e certi quadri appesi alle pareti sembravano non essere mai stati sfiorati dalla polvere, così come alcune statue raffiguranti santi e angeli. Una visione insolita per un luogo abbandonato. Notò assenza di polvere ovunque. 

Il Crocefisso, sembrava essere stato attaccato da pochi minuti da quanto era pulito e splendente.

L'unico elemento insolito era l'odore: l'aria sembrava satura di un olezzo metallico simile all’odore del sangue. Appeso al soffitto era visibile un lampadario enorme che, quando Osvald premette  l'interruttore per accenderlo, dalle sue lampade scaturì un bagliore rossastro, tipo falò.

    «Gesù», esclamò Melody, quasi senza fiato, "Mio Dio, che posto è mai questo".

    "Certo è un luogo un po’ strano," rispose Osvald, ancora sorpreso da tanta pulizia.

    "Vuoi continuare ad ispezionare?" chiese la ragazza, ansiosamente.

   

Osvald, annuì con la testa, sebbene gli fosse apparsa un’immagine mentale di un cadavere appeso a testa in giù, che perdeva sangue dalla testa e dalle gambe. Stava capendo che c’era qualcosa di maledettamente incomprensibile in quel fabbricato fatiscente. 

Però, aveva giurato a se stesso di resistere agli impulsi legati alle superstizioni, e Osvald riguardando Melody  le disse "Cazzo, sì, proseguiamo". Sentendo, nondimeno, un leggero tremolio alle gambe aggiunse "vediamo questo posto una volta per tutte."  E così i due iniziarono ad esplorare l’interno, a accendere le luci delle lampade nel corridoio, quelle che portavano al piano di sotto, poi camminando lungo l’ androne che conduceva in una  grande sala ove prima veniva detta la Santa Messa.

Inspiegabilmente vicino ad un antico pulpito era posizionato un letto matrimoniale enorme, con sopra un ventilatore a soffitto e una specchiera con impilate foto molto vecchie di persone che Osvald sembrava ricordare essere del luogo. I volti di questi personaggi parevano freddi e irati.

Poi, proseguirono intravedendo la sacrestia e trovandovi abiti curiali, scranni, divani imbottiti e un grosso orologio a pendolo che batteva l’ora degli orologi dei ragazzi.

Usciti da lì, si diressero verso la sala del tabernacolo, che era più grande di un normale salone, e guardarono un lungo tavolo di quercia circondato da vecchie sedie in legno, ognuna delle quali sembrava nuovo di zecca.

 Il loro cammino, adesso, prendeva la direzione dei confessionali dove, uno dei quali, aveva la porticina aperta. Melody chiese, impaurita, a Osvald di non andare oltre, quella apertura le metteva i brividi.

"Qual è il problema?" rispose il ragazzo, che nel frattempo si sentiva più coraggioso e audace man mano che il tempo passava senza nulla accadere.   

“Ho paura di quel confessionale aperto” balbettò Melody , indicando la porta.

"Perché?" ribatté il ragazzo. "Non può esserci niente in quel bugigattolo, dammi retta”.

Appena finì la frase Osvald sentì sulla schiena come una fredda folata di vento, e dentro la sua mente gli apparvero due occhi immensi, rossi come il fuoco e due enormi diti pollici che tentavano di strapparli dalle orbite.   

Il suo cuore cominciò a saltargli in gola, ma con la forza della sua volontà volle ricordarsi che ciò che aveva immaginato era solo frutto di mera superstizione. 
"Merda, piccola, siamo venuti apposta per curiosare o no?”  disse Osvald rivolgendosi a Melody e imitando un sfrontatezza che i suoi amici e colleghi sarebbero venuti a sapere grazie alla lunga lingua della giovane.

“ Se non vuoi venire, Melody, allora andrò io da solo”.

Osvald aveva deciso di dirigersi verso la porta del confessionale, nonostante sentisse dentro di sé che qualcosa non andava.    " Osvald, Osvald, merda, tesoro, per favore," piagnucolava la giovane.

"Per favore, cosa?"

 “Per favore non entrare in quel buco nero, cazzo. Ho un brutto presentimento, amore”.   

Invece di ascoltarla il ragazzo proseguì senza esitazioni. “Torno fra un attimo” furono le parole di Osvald.

"Comunque, al diavolo il Diavolo". Urlò scherzando il dottorando. " Ti sembra una cosa carina da dire, Osvald,?" affermò Melody piagnucolando e, nel contempo, il giovane si chiese se stesse cercando di farlo sentire dispiaciuto per lei o se Melody fosse realmente spaventata. Lui pensò che fosse uno stratagemma emotivo da parte della ragazza

"Andrà tutto bene, mia dolce fanciulla", assicurò Osvald. "E non sarà mai completamente buio. La luna è piena, come non mai, questa sera e si vede benissimo anche senza la torcia", e detto ciò spense la luce portatile " Sì, si può vedere quasi tutto."

Osvald aveva ragione. Alla luce della luna, tutto nella vecchia chiesa era visibile: il pavimento, i  vecchi candelabri sopra l’altare, le mensole contenenti libri Ecclesiastici, il cordone della campana… tutto.

"Ok, Osvald. Fanculo. OK," gli urlò Melody rassegnata. "Ma torna subito… e di corsa."

   

Fu quando Osvald entrò nell’atrio del confessionale, calpestando il pavimento freddissimo, che capì di avere commesso un errore fatale.

Nell’oltrepassare la piccola porta del confessionale per entrare al suo interno, accusò una gran botta contro il lato sinistro della sua testa. In preda al panico, riaccese la torcia mentre la porta si stava chiudendo alle sue spalle. Aveva urtato violentemente contro l’ala di un angelo, una grande e alta statua di marmo che inverosimilmente era contenuta in quello spazio così ridotto.

Attese, senza fiatare, mentre sentiva il sangue battere nel cervello. 

Poi, udì dei passi goffi, farsi sempre più vicini, sul pavimento nella direzione di Melody, e a quel punto sentì che gridava. 

Osvald intuì gli inconfondibili rumori di una lotta, dopodiché i passi rapidi di Melody che correva per sfuggire a quelli più pesanti del suo inseguitore.

Successivamente, sentì altre grida della ragazza, che invocava il suo nome.

Ancora urla e ancora, che quasi riportavano alla mente i grugniti di un enorme cinghiale  preso in trappola. Come se risvegliato da un incubo orribile, sfondò la piccola porta e si diresse verso Melody. 

La ragazza, però, non era più là, ma sentì sbattere una porta dietro di sé. Si girò verso di essa, e notò che era stata realizzata in legno duro e spesso, che non si muoveva e che non possedeva maniglie. Così si gettò contro l’enorme uscio colpendolo più volte con le spalle e i piedi. Improvvisamente le urla di Melody cessarono. Chiedendosi se la sua ragazza fosse morta, Osvald, cominciò a cercare freneticamente la torcia, che nel frattempo aveva perso nel disperato tentativo di sfondare la porta. Improvvisamente vide qualcosa di scintillante nel buio proveniente dall’altra parte della sala. 

Il ragazzo cominciò a correre verso quel bagliore, e la luce della sua torcia gli rivelò che per terra giaceva una enorme ascia il cui manico di legno sembrava fresco come acquistato il giorno stesso.

Il giovane si precipitò per le scale, torcia in una mano e ascia in un’ altra e, a due passi dalla grande porta, la alzò facendola oscillare. Al primo colpo, la lama si insaccò nel legno e fu difficile ritrarla. Osvald la fece oscillare ancora, e ancora, e ancora… infine, perforandone il legno. Grazie a questi ben assestati colpi, aveva creato un'apertura rettangolare attraverso la quale, piegandosi, poté andare oltre.

Osvald esausto gridò a squarciagola il nome di Melody, chiedendo dove fosse.

Ascoltò e dietro il silenzio assoluto sentì qualcosa, un ansimare ritmico che cresceva sempre più forte, come due immonde bestie che stavano accoppiandosi selvaggiamente. 

Terrorizzato, il giovane lasciò cadere la sua ascia e si avviò in direzione del suono, salì delle scale, trovò un corridoio, ed infine una stanza simile a quella attraversata da lui e Melody. Quasi impazzito dalla paura, teneva la torcia di fronte a lui, e pensava di aver visto qualcosa di grande in mezzo alla stanza molto piccola e buia, e sembrava sentire la voce di Melody, e poi continuava a vedere una luce brillare davanti a sé, e ancora una volta pensava che quel bagliore fosse un segno per ritrovare la ragazza.

Alla luce della scintillante luna, poté vedere le sue braccia e gambe legate con una corda e appesa ad anelli in acciaio sporgenti da ognuna delle quattro pareti. 

Melody era stata sospesa orizzontalmente nello spazio buio, un metro o giù di lì dal pavimento; il suo corpo nudo era inerte. La corda che legava le braccia e le gambe era stata stretta così forte che la giovane donna non poteva fare il minimo movimento. Il suo volto si girò allontanando lo sguardo da Osvald. La figura sembrava grottesca, e fluttuare nell'aria.

Il ragazzo si sentì irrompere da un sudore freddo, paralizzante, il cuore gli batteva all'impazzata, le mani gli si intorpidivano; si chiedeva cosa stesse facendo in quella stanza, quella notte. Rimase per diversi minuti, immobile, statuario finché si alzò e cercò di non guardare verso quella faccia, sicuro che gli occhi della stessa erano stati rimossi, e assicurandosi di non impazzire o morire dalla paura. 

Poi, udì una voce cavernosa, che non ebbe a riconoscere, che diceva "Hey, si può credere a tutta questa merda?" E distinse Melody che intanto aveva voltato la testa verso di lui. 

Guardando su e giù il suo corpo, evitando accuratamente gli occhi, vide che i suoi polsi e le caviglie portavano rossastre bruciature a causa dello strofinio della corda contro la carne. Poi, con fascino morboso, vide scivolare del sangue in direzione del seno nudo e si chiese cosa avrebbe dovuto fare. Melody era piena di graffi sul petto e sul ventre, segni che suggerivano una disperata difesa.

Affascinato, quasi stupidamente, Osvald fissava il corpo penzoloni davanti a lui, e trovava difficoltà a riconoscere quella ragazza che aveva frequentato fin dalla scuola elementare. 

Sentirsi immerso in qualcosa di così oscuro e terribile stava divenendo quasi palpabile, e si accorgeva solo ora che alcuni anelli d'oro trafiggevano sia i capezzoli che l’ organo depilato della ragazza, e si chiedeva quando Melody avesse deciso di farsi il piercing in quelle parti così intime; in realtà si sentiva un po’ eccitato.

Dandosi coraggio, lentamente alzò lo sguardo, verso il suo viso: si accorse che sia la guancia che la fronte della giovane portavano tagli profondi e stava sanguinando leggermente dal naso e dalla bocca, e poi guardò i suoi occhi. 
Con un enorme sospiro di sollievo, si rese conto che Melody aveva ancora gli occhi, ma il suo volto e la sua leggera mimica facevano capire che il buio era, ormai, entrato profondamente nella sua anima.

Fissò la ragazza, con fare delirante, in realtà pensando di scorrere la mano sul petto, sfiorando la sua fodera libera di peluria, quando sentì sussurrare, beffardamente, "Ehi, piccolo uomo, hey, piccolo uomo, lui è qui. Egli è qui; Egli è qui.. . E tu sei fottutamente morto, morto, morto” Questa non poteva essere la voce di Melody, si disse, lottando per rimanere razionale. Non era lei. Sembrava un suono diabolico.

"Cosa?" chiedeva a voce alta Osvald, mezzo stordito.

"Che cosa stai dicendo?" e subito gli venne in mente che questa ragazza, grottescamente sospesa, non mostrava di sentire alcun dolore.

"Ho detto" ringhiò la ragazza, gutturale, con quella sua voce proveniente dalle profondità delle viscere "lui è qui, stupido stronzo di madre infelice. E’ da qualche parte in questa casaccia, sacco di merda. Ehi, piccolo dinoccolato essere malfatto, o sig. AL DIAVOLO IL DIAVOLO , stai per essere mangiato vivo”. 

A questo punto, Melody fece schioccare le labbra, sembrando di godere di questo momento.

Osvald fece un passo indietro, guardò il corpo di lei, e notò che la stanza cominciava a girare vorticosamente intorno a lui e disperatamente tentò di concentrarsi pensando che niente di ciò che vedeva era vero, reale, ma solo frutto della superstizione più becera.

"Chi c’è qui?" chiese Osvald, mentre il terrore lo stava indebolendo sempre più.

"Chi, chi, chi sta parlando?", continuò il ragazzo.

“ Chi pensi sia, testa di cazzo?", disse lentamente, ridendo, e guardando il giovane attraverso gli occhi, di qualcun altro, la ragazza. 

"Qualunque cosa sia ha un enorme, cazzo, molto più grande del tuo, e mi ha scopata profondamente e deliziosamente. Sto ancora godendo dentro di me - e mi è piaciuto."

 Osvald rimase immobile, tra il terrorizzato e l’affascinato dalla sinistra voce.

  

 "Ehi, piccolo uomo", chiese, sorridendo, cominciando ad ansimare pesantemente, "ora puoi scopare me . Puoi fottermi fino alla morte. Sono in posizione. Entra dentro di me…sarà un vero e proprio brivido a buon mercato. " Disse Melody, o chi per lei.

 Stordito, la guardò a bocca aperta, col viso insanguinato, poi disse: "Che diavolo sta succedendo qui? Che cosa è questo? Che diavolo ti è successo, Melody?" 

Mentre parlava, si chiedeva perché avesse posto queste domande, sentiva un misto di paura e di piacere, sapeva che qualcosa lo stava osservando, si sentiva azzerato da questa presenza.    

Lentamente, quasi incapace di muoversi, si voltò, guardò nel buio, illuminato dal chiarore di luna piena, e cercò qualunque cosa lo avesse bloccato in quella stanza e, chiunque avesse

violentato la ragazza. Mentre non riusciva a intravedere alcunché, sentiva le tenebre che passavano attraverso la casa, una brezza fredda e buia sembrava circondarlo minacciosamente, percepiva degli occhi malefici su di lui, intuiva che qualunque cosa fosse aveva avuto il potere di trasportarlo nella fossa dell’inferno.

Il panico aveva ormai il sopravvento, e con la forza di chi non ha più nulla da perdere volle fare l’ultimo tentativo per liberare Melody . 

Così si voltò verso di lei, tirando fuori dalla tasca dei jeans il suo coltellino svizzero; l'aprì, e mise la lama sulle corde che legavano le gambe. Mentre tentava rapidamente di tagliare quelle funi, lei prese a ridere, e indipendentemente dalla pressione esercitata dal coltello sulle corde, esse non si ruppero.    

"Gesù Cristo," sussurrò Osvald, cadendo in ginocchio, e sapendo che la situazione era disperata. "Gesù, Gesù, Gesù".

 "Lui non ti aiuterà, lo sai, piccolo uomo “,urlò Melody, lentamente, girando il viso verso di lui e fissandolo maliziosamente. "Vieni qui , nano di un mortale; scopa me, violentemente e riempimi di sangue. Ti piacerà certamente, sarà quel brivido che mi hai promesso....."

  

Il fruscio dietro di lui, come il vento che attraversa gli alberi, gli fece fermare il battito del cuore; i peli che rivestivano il retro del collo si intirizzirono come aghi, e il naso, le orecchie, le braccia e le gambe, divennero marmati come il ghiaccio.

Si pizzicò, credendo di sognare, sperando che questa notte finisse quanto prima, ma sentì qualcosa sulla sua spalla, qualcosa di grande, scuro e squamoso che stava passando dietro di lui;  abbassò la testa e fece un respiro profondo, poi si alzò, si voltò e scattò verso la porta che dava sul corridoio.

 Successe così in fretta che Osvald non ebbe il tempo di reagire: un gancio arcuato e appuntito perfettamente oscillò verso di lui e si conficcò di taglio dentro e attraverso il suo stomaco: provò la sensazione come di essere sollevato da terra, mentre un dolore bruciante lo paralizzava oscurando il chiarore della luna nei suoi occhi. Il rumore di qualcuno che stava urlando come una bestia al macello, la nausea improvvisa come se gli avessero asportato mezzo intestino, l’odore del suo stesso sangue, infine, la sensazione che stesse scivolando fuori del proprio corpo, lasciando la sua figura carnale insanguinata e mutilata, lo portarono al punto che qualcosa stesse ricominciando di nuovo: alcunché di indescrivibilmente orribile.

  

Sospeso nel corridoio in un punto vicino al soffitto, guardò di sotto, e vide il proprio corpo ricoperto di sangue, trafitto da un gancio enorme; l’ uncino a sua volta era collegato ad una catena che pendeva dalla volta. 

Si chiese se, in qualche modo, fosse arrivato sotto il giudizio divino a causa delle cose sbagliate e dei peccati commessi.

Sapeva che era circondato da un buio così vasto che si estendeva oltre la sua immaginazione, e venendo a conoscenza, per la prima volta, che il male era una massa tangibile.

Mentre fluttuava, studiava il suo cadavere, che ancora dondolava appeso alla catena: il sangue che colava sul tappeto lo rendeva incredibilmente leggero, senza provare alcun dolore, con il pensiero a Melody nella stanza accanto. Lei che era morta qualche istante prima che lui tentasse di uscire dalla chiesa maledetta.

Poi guardò negli occhi rosso fuoco di un enorme massa scura che si librava davanti a lui. Pensò per un istante a suo nonno, allorché si sentì prendere da un’ entità la cui forza non aveva paragoni al mondo, viste anche le dimensioni delle enormi ali nere. 

Si sentì trasportato alla velocità della luce lungo un infinito corridoio buio, dove echeggiavano  le urla di milioni di persone che avevano subito la stessa condanna nei secoli precedenti.

Alla fine di quell’androne vide il bagliore di un lago di fuoco, è intuì che Melody era là che lo aspettava , e sapeva che avrebbe viaggiato lungo questo corridoio per l'eternità.

Peter si svegliò all’improvviso, quasi a volersi liberare dall’incubo che lo perseguitava in quel catastrofico sonno.

Inaspettatamente, però, si ricordò che la massa nera, con le grandi ali, dopo aver depositato Osvald all’inferno, si decomponeva facendo fuoriuscire da essa certi, particolari, esseri umani…

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    14 commenti per questo articolo

  • Inserito da ines giolli il 09/03/2012 21:54:14

    TRAVOLGENTE E APPASSIONANTE

  • Inserito da ines giolli il 09/03/2012 21:43:47

  • Inserito da elena il 09/03/2012 21:39:01

    da leggere

  • Inserito da vittoria il 09/03/2012 21:36:10

    MOLTO BUONO

  • Inserito da brunella il 09/03/2012 21:32:43

    interessante

  • Inserito da ines giolli il 08/03/2012 23:01:25

  • Inserito da marcoparenti il 08/03/2012 12:40:46

    Complimenti, bellissimo racconto.

  • Inserito da MARTA il 08/03/2012 09:36:30

    Veramente bello. Nuovo. Elettrizzante. Un grande 10 e lode. Marta. Ho anche digitato mi piace su facebook... sei fortissimo

  • Inserito da ginagrassi il 07/03/2012 21:44:45

    Mio bravissimo scrittore, io la rapisco e la porto con me. Accetta? Complimenti. Bellissimo pezzo.

  • Inserito da d.vergara il 07/03/2012 21:33:20

    Appassionante fino alla fine.

  • Inserito da carlabenedictis il 07/03/2012 20:45:25

    Bellismo e coinvolgente

  • Inserito da carlabenedictis il 07/03/2012 20:45:00

    Bellismo e coinvolgente

  • Inserito da BETTIROSSI il 07/03/2012 18:35:11

    Così ci abitui male, Capo Redattore. Ma quando la pubblicazione?

  • Inserito da marta_volli il 07/03/2012 18:32:55

    Onirismo al massimo della propria struttura: Capolavoro; bellissimo da leggere

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