In mostra a Bologna

Sironi e Burri i volti contraddittori dell'arte di chi fu fascista

Alle fascinose costruzioni razionali di Sironi il mercato ha preferito i misteriosi cretti di Burri, ma la storia si incaricherà di ristabilire le giuste proporzioni

di Mario  Bozzi Sentieri

Sironi e Burri i volti contraddittori dell'arte di chi fu fascista

Al C.U.BO., il Centro Unipol Bologna, è in corso, fino al 18 ottobre, “SIRONI-BURRI: un dialogo italiano (1940-1958)” a cura di Christian Caliandro. Più che una mostra tradizionale si tratta di un confronto serrato tra Composizione Murale (1940-42 ca.) di Mario Sironi e Nero con punti (1958) di Alberto Burri, due opere del patrimonio del Gruppo Unipol, che  testimoniano la tensione creativa che ha animato  la ricostruzione dell’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale e che bene aiutano a comprendere il valore emblematico di due artisti in apparenza così lontani tra loro, ma accomunati da un comune sentire spirituale.

Nel “trauma” dei due autori c’è infatti , poco considerata dal certa critica,  la “rottura” dell’ordine culturale ed insieme politico in cui si erano riconosciuti entrambi: Sironi aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, rischiando, nell’aprile 1945, di essere fucilato a Milano dai partigiani, venendo salvato da Gianni Rodari, che lo aveva riconosciuto; Burri, giovane ufficiale medico, viene fatto prigioniero in Tunisia dagli americani ed internato nel campo “non collaboratori” di Hereford nel Texas, lo stesso campo dove vengono reclusi Giuseppe Berto e Beppe Niccolai.
Per il Sironi maturo, grande autore del “muralismo” fascista, gli Anni Quaranta  del ‘900, rappresentano – in fondo – la fine di un ciclo, che lo costringerà a ricomporre la realtà entro le  dimensioni minime della tela e avendo come soggetti, lui l’artista delle grandi mitizzazioni, figure ed immagini sempre più quotidiane; per il giovane Burri la realtà è tutta, nuovamente,  da reinterpretare all’interno dei nuovi “scenari”, ma con lo sguardo rivolto ad un “arcaismo”  italiano, rappresentato, in modo essenziale, nei sacchi bituminosi e cuciti insieme (fino ad arrivare, negli Anni Settanta, ai famosi “Cretti”, che toccheranno, nella Gibellina terremotata, dimensioni monumentali).
In Sironi c’è la rappresentazione  simbolica di un’idea sociale e nazionale, ormai spezzata.  In Burri la presa d’atto di un’identità da ricostruire, “senza rinnegare” (e qui val la pena ricordare come – certamente non “per caso” – il “Cretto” di Burri fu, per anni, la copertina della rivista “l’Italiano”, diretta dall’esponente missino Pino Romualdi).
Da una parte la volontà di mantenersi fedeli alla pittura che incarna le macerie del mondo contemporaneo; dall'altra il superamento dei linguaggi tradizionali, sostituiti da valori materici che prendono lo spessore, tutto ideale, di materiali poveri, sacchi, bitumi, cuciture.
Sironi e Burri,  entrambi impegnati a  costruire una nuova consapevolezza della realtà più affine di quanto non appaia all’osservatore superficiale: un “dialogo” non solo artistico che parla alla nostra contemporaneità.
 

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