Editoriale

In hoc signo vinces, la croce o la falce e il martello? Papa Francesco e le strane ambiguità del suo pontificato

Tuona contro il denaro e la finanza, a favore della compassione e della solidarietà (e ci mancherebbe altro) ma poi sembra sorvolare sulle dittature comuniste

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

i sicuro il grande Pio XII, ma anche Giovanni Paolo II, pur beatificato dall’ineffabile argentino asceso al pontificato, si saranno rigirati nella tomba. Un crocifisso intagliato nella falce e il martello … Questo il dono che il presidente della Bolivia Evo Morales si è sentito in dovere di fare  al papa in occasione della sua visita dell’8 luglio scorso. Il presidente poi ha messo al collo di Francesco  anche un collare con una placca dove era raffigurata la stessa croce a forma di falce e martello

No grazie, avrebbe dovuto replicare seccamente non solo un pontefice, ma anche un cristiano degno di tale nome.  Ci sono migliaia di ragioni per rifiutare, mentre riesce francamente assai difficile trovarne una sola per accettare.  Comunismo e cristianesimo, o qualsiasi forma di religione, non sono compatibili: parola, prima che di pontefici e padri della Chiesa, degli stessi guru fondatori del comunismo, Marx e Lenin;  se la religione per questi  due  loschi figuri era l’oppio dei popoli, il cristianesimo poi era una dose concentrata!

In verità, si ha l’impressione che papa Bergoglio, più che dal Vangelo, si lasci sin troppo spesso guidare da una massima insidiosa e poco affidabile: Il nemico del mio nemico è mio amico.  Aforisma, che tra l’altro contraddice in pieno una bellissima affermazione di un certo Cristo:  “Sia il tuo parlare sì sì no no; ciò che è di più, viene dal maligno”.

Non si tratta certo di voler dare lezione di cristianesimo al papa, ma di cercare di ricordargli una buona volta che l’ambiguità non può essere  la cifra del successore di Pietro.  Sono sin troppe le volte in cui Francesco ha sconcertato gli stessi cattolici, con buona pace di chi, come  Massimo Introvigne, cerca di giustificarne sempre e comunque  anche le uscite più strambe.

L’impressione è infatti che dopo la decisa presa di posizione di  Benedetto XVI contro il relativismo, il suo successore ne faccia invece, incredibilmente, la sua bandiera.  Del resto, quando egli disse che la Chiesa doveva essere un “ospedale da campo” sembrava clamorosamente mettere in secondo piano che la Carità ha come presupposto necessario la Verità; “ Che cos’è la Verità?” è una affermazione di Pilato, non di Cristo.

Viene spontaneo pensare: cosa avrebbe pensato il Cardinale József Mindszenty, picchiato, sottoposto a torture e a umiliazioni di ogni genere da parte dei figli ungheresi della falce e del martello, nel vedere quel simbolo al collo del successore di Pietro? O il beato padre Jerzy Popieluszko, sacerdote cattolico assassinato dai funzionari del ministero dell’interno della repubblica popolare di Polonia, beato della Chiesa cattolica? O per venire in casa nostra, il seminarista Rolando Rivi, ucciso in modo barbaro ed efferato dai partigiani comunisti solo perché portava l’abito talare e recentemente beatificato?

E questi sono solo pochissimi nomi di un elenco che potrebbe essere sterminato. Ma – diranno i soliti “giustificazionisti” ad ogni costo, bisogna capire, contestualizzare.  Oggi come oggi, anzi oggi più che mai, il nemico sono le banche e il grande capitale, e citeranno il discorso pronunciato dallo stesso Francesco a La Paz:  “se la politica è dominata dalla speculazione finanziaria o l’economia si regge solo sul paradigma tecnocratico e utilitaristico della massima produzione, non si potranno neppure comprendere né tantomeno risolvere i grandi problemi che affliggono l’umanità”. “La ricchezza va distribuita» ha proseguito poi  il papa, purtroppo però troppo spesso ci abituiamo «all’ambiente di iniquità che ci circonda», tanto da divenire “insensibili alle sue manifestazioni”.[1]

Parole certo più che condivisibili, anche se tutt’altro che nuove o rivoluzionarie. Proprio per questo, e pur facendo tutta la tara che si vuole al particolarissimo contesto storico e geopolitico dell’America latina, non si comprendono assolutamente le ragioni di un gesto del genere; anche perché Francesco dovrebbe ricordarsi che, qualsiasi siano le sue origini, egli è capo della Chiesa Universale e non semplicemente di quella latino – americana.

“Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell'uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balda della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile..”[2]

Non si tratta di un testo della cosiddetta “teologia della liberazione”, ma del secondo paragrafo della Rerum Novarum, la tanto celebre quanto poco conosciuta enciclica di Leone XIII;  ed egli, scritte queste cose, non sentì affatto il bisogno di mettersi al collo uno straccio rosso con o senza falce e martello, ma anzi di ricordare che il socialismo era un “falso rimedio” alla questione per tutta una serie di ragioni, non ultima l’abolizione della proprietà privata che è un “diritto naturale”. Ben poca cosa appare in confronto l’affermazione di Bergoglio per cui “La fede è una luce che non abbaglia, le ideologie invece abbagliano”. Per  evitare certi abbagli  la chiarezza e il rigore dottrinale  non possono  venire oscurati: altrimenti davvero si rischia l’ora delle tenebre.

Non ci sono dubbi che oggi come oggi, il nemico principale siano le banche e un capitale che tende sempre di più a soffocare qualsiasi residuato identitario e comunitario; non c’è bisogno, purtroppo,  di andare  in Bolivia per capirlo. E soprattutto non può comunque essere una ideologia condannata dalla storia oltre che dalla Chiesa una valida alternativa. Ma Francesco sembra ignorare queste e tante, troppe altre cose. Lasciate che i piccoli vengano a me, diceva Cristo, ma è molto discutibile che gli Scalfari della situazione o i capi di stato di ispirazione marxista possano essere definiti “piccoli”. Piccoli sono se mai quei cristiani che ogni giorno danno testimonianza di fede con il loro sangue, ma di loro Sua Santità si cura ben poco e in modo quantomeno distratto.  Sarebbe stata una bellissima testimonianza di fede e coerenza vedere Francesco, magari con il più serafico dei sorrisi, togliersi di dosso il medaglione con falce e martello e annessi e, con un sorriso ancor più serafico, mettere lui al collo del presidente boliviano la sua  propria croce dicendogli (magari in spagnolo ) “ In hoc signo vinces.  Il resto lascialo a satanasso”. Sarebbe stato un gesto veramente da Papa, e non invece – nella migliore e più ottimistica delle ipotesi (!) di basso, infimo cabotaggio politico.



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