Editoriale

Ci sono muri e barriere, fisici e mentali

Tutti contro il muro difensivo di Budapest, ma è stato il comunismo a costruire l'unica barriera contenitiva verso l'esterno

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

’intenzione manifestata dal governo ungherese di erigere un muro, per proteggere le frontiere del paese dall’invasione dei migranti, ha riportato nell’agenda della politica internazionale la nozione di “muro”, che sta alle origini della civiltà stanziale. Le prime città, e per millenni, furono infatti cinte da mura, non solo per ragioni difensive verso l’esterno, visto come il luogo del Caos, ma per evidenziare l’ordine che si costituiva all’interno delle mura stesse e proteggere l’identità e le specificità culturali della comunità.

Il muro è parte integrante della nostra storia, sia quando è visto – magari retrospettivamente – in negativo, sia quando viene considerato come fattore positivo dello sviluppo civile di questo o quel popolo. Alla spicciolata, si può pensare alla Muraglia Cinese e al Vallo di Adriano, al Muro di Berlino e a quello eretto da Israele per bloccare il passaggio di terroristi dai Territori Palestinesi, ma anche a quello – che non pare aver suscitato il medesimo “scandalo ungherese” – eretto dagli spagnoli nelle loro enclaves africane di Ceuta e Melilla, per arginare il flusso di migranti dal Marocco, dirimpettaio delle coste spagnole.

La nozione di muaro, dunque, mentre si connette – anche per contrapposizione - a quelle di Porta, di Frontiera, di Ponte, sembra simboleggiare quella di “chiusura”, di separazione, di ignoranza – anche voluta – nei confronti di tutto ciò che si trova al suo esterno. In questo senso, si pone in evidente contrasto con l’ideologia dominante della globalizzazione e, in chiave di sensibilità, di gusti, di idee acquisite, del “pensiero unico”. Viene tuttavia sottovalutata la funzione di approfondimento e progressiva consapevolezza di appartenenza ad una tradizione, magari da arricchire mediante i contatti con l’Altro; processi che soltanto una forte identità può agevolare, senza scivolare in un egualitarismo indistinto, dove si perdono lingue, memorie, usi e costumi.

Una volta di più, poi, si mostra logora e inadeguata la bipartizione “destra/sinistra”, applicata alla categoria del “muro”: si ha gioco facile, oggi, nello scagliare la taccia di “destra retriva”, contro il governo di Orban, dimenticando che solo pochi decenni fa la “vergogna di un muro – per di più interpretato allora come strumento per impedire non già l’ingresso di stranieri in un sistema statuale “chiuso”, bensì la fuga di cittadini verso un esterno, da essi ravvisato come regno della libertà – era addossata ad un “regime di sinistra”, come quello della Germania Comunista.

Del resto, la stessa Chiesa di papa Francesco scompagina quelle categorie, venendo lodata da sinistra, quando perora la causa dei migranti, mentre da quella stessa sinistra viene denigrata, per le sue “posizioni retrive, di destra” – proprio oggi, in occasione della grande manifestazione romana – quando si pone come baluardo della famiglia tradizionale e, più in generale, quando si oppone alla dilagante ideologia del “gender”.

Ed è appena il caso di ricordare l’acuto pamphlet di Régis Debray, “Elogio delle frontiere”, autore non certo etichettabile “a destra”.  Nelle sue considerazioni, Debray denuncia lo scacco che l'illusione di un mondo senza frontiere porta con sé: un mondo globalizzato, ma non unificato, in cui si tendono a cancellare le diversità e, persino al di là delle intenzioni, si propone il pensiero unico.

Quanto poi sia tornato d’attualità il tema delle frontiere, lo sta dimostrando il miope, egoistico atteggiamento in particolare di Francia e Austria, pronte, in questi giorni, a chiudere le loro e a mettere nel cassetto le retoriche dichiarazioni europeiste, appellandosi alla lettera di trattati superati velocemente dalla storia di questi mesi. Qui ci limitiamo a dire che i muri, specialmente quelli senza Porte e Ponti levatoi, forse rappresentano l’esasperazione delle frontiere, che però sono fondamentali per riconoscere l'altro e per considerarne la pari dignità, favorendo la ricerca dell'equilibrio attraverso il negoziato e la mediazione, in vista dell’inevitabile incontro, muro o non muro.

Aggiungiamo che uno Stato incapace di difendere i propri confini, di salvaguardare la propria identità culturale, di individuare e perseguire la missione delle proprie Forze Armate – si veda lo snaturamento della nostra Marina Militare, ridotta a organizzazione umanitaria – di mettere ordine ed energia anche nei rapporti con gli Stati amici, è uno Stato destinato al declino (e con esso, il popolo che dello Stato è elemento essenziale).

E su questa via, non ci saranno muri, per quanto alti ed estesi in lunghezza, in grado di salvarci.

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