Editoriale

Grande Guerra, si celebra mistificando

Se va bene si va sull'aneddottica e il folklore, altrimenti inizia la condanna unendo le due guerre mondiali sotto la stessa matrice

Simonetta  Bartolini

di Simonetta  Bartolini

l sistema della mistificazione in campo storico-giornalistico è quanto meno imbarazzante.

Eccoci alle celebrazioni del centenario della Grande Guerra, apparentemente tutto prevedibile e corretto: puntatona di Porta a Porta con ministro della difesa, storici o sedicenti tali, soldati in divisa storica, crocerossine, banda dei bersaglieri e coro degli alpini.

Sulla Rai e altri canali è iniziato un promo con la voce di Ungaretti che legge una celebre poesia di Porto sepolto sul sottofondo della Canzone del Piave, i quotidiani hanno affidato ai loro opinionisti più o meno qualificati (di solito meno, ma tant’è) l’articolessa rievocativa, roba simile al coccodrillo precotto da mandare in pagina all’occorrenza funebre.

Niente di strano il sistema mediatico funziona così, e non solo per la Grande Guerra.

Nessuno crede a niente, è una cosa che va fatta, la si fa senza crederci, una seccatura obbligatoria alla quale adempiere senza neppure  chiedersi il perché.

Ovviamente siccome il sistema consolidato nei media – e nei giornali (in alcuni almeno) in maniera particolare, che essendo in crisi di vendite cercano disperatamente di conquistare qualche copia in più ricorrendo alla provocazione– è di inventarsi qualcosa di originale o almeno di ancorare tutto all’ideologia, che lungi dall’esser morta è ben viva e vegeta e lotta insieme a loro, ecco che si parla di Grande Guerra e di II Guerra Mondiale unendole maldestramente (ma i giornalisti sono per lo più maldestri e ignoranti, in parte perché ignorano in parte perché preferiscono ignorare) in una unica analisi. Ovviamente gli pseudo colti obbietteranno che due importanti storici, Paul Fussel e George Mosse hanno fatto la stessa cosa unendo l’analisi dei due conflitti nei loro due libri più famosi, La Grande Guerra e la memoria moderna, il primo e Le guerre mondiali il secondo. Vero solo nella misura in cui i due studiosi si sono cimentati in una analisi diacronica (nella prima è avvenuto questo nella seconda quest’altro) mentre i nostri “revisionisti” (nel senso che rivedono la storia ma al netto dei documenti) strampalati applicano alla prima guerra mondiale le categorie critiche della seconda.

Peccato che la prima guerra mondiale non sia stata una guerra ideologica, nel senso che non fu affrontata da nessuna delle parti in campo come una guerra del bene contro il male (come avvenne nella seconda), ma semmai come una guerra fra impronte di civiltà diverse dove il termine di civiltà era squisitamente culturale: si contestava alla Germania il militarismo strutturale (si veda Soffici sulla «Lacerba”), le si rimproverava una cultura che niente aveva a che vedere con la classicità greco-romana e si manifestava piuttosto come “istruzione” ( Papini ancora su «Lacerba»). Per non parlare naturalmente delle rivendicazione dei territori rimasti sotto l’Austria che per alcuni la connotò come quarta guerra d’indipendenza.

Bene, detto questo velocemente e assai superficialmente (ci scuserete), si può già comprendere l’impossibilità di paragonare le due guerre mondiali unendole sotto un’unica condanna (perché le guerre vanno sempre condannate, già come se ci fosse qualcuno che le vuole così per divertimento) che, riparandosi sotto il capello dell’umanitarismo, le associa in una medesima ideologia guerrafondaia , imperialista, tromboneggiante, che usa il patriottismo per raggiungere gli scopi più ignobili della politica.

Ovvero l’accusa che è stata rivolta a Fascismo e Nazismo riguardo allo scoppio della II Guerra Mondiale.

Naturalmente la Grande Guerra è un’altra faccenda, avvenuta prima del nascere di fascismo e nazismo, ma poiché, dopo la marcia su Roma, Mussolini (che fu interventista e intervenuto, nonché ferito e decorato) rivendicò al fascismo i valori di eroismo, patriottismo, irredentismo ecc. ecc. del conflitto, ecco che quei 600.000 morti italiani sono stati tradotti in una zona grigia di prefascismo e se non si è potuto accusarli  (ci sarebbe mancato altro) di aver provocato il ventennio più esecrato del ‘900, a meno che non abbiano lasciato testimonianza scritta di ripulsa, disgusto e condanna della guerra, li si è resi invisibili.

“Mai più la guerra” si legge nei sacrari rinnovati dalla contemporaneità politicamente corretta che ha cancellato, dove ha potuto, ogni riferimento all’eroismo dei caduti, alla nobiltà del loro sacrificio, per non parlare del valore del patriottismo. Quel “mai più la guerra” (un pleonasmo banale e irrispettoso), è uguale a “mai più la droga”, “mai più nucleare”, “mai più le stragi del sabato sera”. La differenza fra la prima esecrazione e le altre sta nel fatto che i morti in guerra hanno generosamente (talvolta anche involontariamente, nel senso che ne avrebbero volentieri fatto a meno), coraggiosamente, dato la vita per qualcosa che aveva un senso e sentivano (nella maggioranza dei casi, anche se vogliono farci credere il contrario) come un valore, la Patria; mentre i morti per droga, per incidenti stradali,  per lo scoppio di centrali nucleari sono vittime più o meno consapevoli di scelte proprie o altrui al netto di ogni atto di generosità, coraggio altruismo e valori.

Trasformare i soldati caduti in vittime inconsapevoli è l’offesa più ignobile che si possa far loro, ma in nome del politicamente corretto la si fa e tanti saluti.

La voglia di mostrare la propria limpidezza d’animo, la bontà indiscutibile della propria posizione, la intima bellezza e superiorità etica che contraddistingue la propria figura di intellettuale storico(?) , e giornalista ce l’ha data Paolo Mieli nella già citata si Porta a Porta. Preso dalla foga moralista, ha detto che il brutto delle guerre sta nel fatto che quando si vincono si parla di eroi e quando si perdono invece no (analisi brillante e originale), ma soprattutto riferendosi alla famosa definizione di Benedetto XV, che bollò la Grande Guerra come  “inutile strage” (scatenando la reazione polemica e dolente dei cattolici al fronte che, come Silvio d’Amico, si ribellarono a questa posizione della Chiesa di Roma), ha affermato con sprezzo del ridicolo che a distanza di tempo dovremmo considerare le due guerre mondiali del ‘900 secondo un unico criterio di condanna seguendo il filo da sempre tenuto dalla Chiesa cattolica, e ha citato l’inutile strage.

Il povero Galli Della Loggia, le cui posizioni saranno anche talvolta discutibili ma è uno storico vero, uno studioso che ha studiato è dovuto intervenire per correggere  Mieli: «Veramente non mi risulta che la Chiesa abbia mai condannato la Seconda Guerra Mondiale come Benedetto XV fece con la Prima»

Imbarazzo del conduttore, silenzio di Mieli, rapido cambio di argomento.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da ghorio il 23/05/2015 18:38:10

    Grazie, direttore, di questo editoriale. I vizio italiano è sempre quello di rapportare gli eventi al modo di pensare conformista. Come nazione dovremmo tributare sempre il nostro applauso a coloro i quali hanno lottato per un'idea che, allora, era quella dell'unità territoriale. Il ricordo deve essere perenne e tutto questo senza porsi il problema di essere retorici.In una nazione seria il 24 maggio e il 4 novembre dovrebbero essere feste nazionali.

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