Un importante studio di Marco Barsacchi

Demogorgone: il volto dell’Origine

di Giovanni Sessa

Demogorgone: il volto dell’Origine

La copertina del libro

Un recente libro di Marco Barsacchi affronta un tema che, almeno dalla seconda metà del Trecento, circola ampiamente nella cultura europea. In certi periodi in modo sotterraneo, in altri coinvolgendo nell’azione esegetica intellettuali di vaglia. Si tratta de Il mito di Demogorgone. Origine e metamorfosi di una divinità oscura, nelle librerie per i tipi di Marsilio. Duplice la rilevanza di questo lavoro: induce, innanzitutto, a riflettere sul ruolo di una divinità misconosciuta d’Occidente che potrebbe svelare aspetti assai significativi del nostro passato e, per di più, lo fa coinvolgendo il lettore con un periodare affabulatorio che alleggerisce il rilevante apparato erudito delle sue pagine.

   La storia di Demogorgone ha inizio con la circolazione del manoscritto delle Genealogie deorum gentilium di Boccaccio, importante raccolta mitografica costruita sulla curiositas e sull’empatia intellettuale, più che su un serio approccio filologico, che uscì in prima edizione nel 1472. Fonte di riferimento del certaldese, oltre ad Ovidio, fu Tedonzio Campano, del quale poco ci è noto. Lo scrittore acquisì la lezione di Teodonzio a Napoli dove frequentò, assieme a Paolo Bontempio da Perugia, bibliotecario di Roberto d’Angiò nonché autore delle Colletiones, il dotto Barlaam, monaco basiliano incontrato, per la prima volta, nel 1339. E’ del tutto plausibile che, con il nome di Teodonzio, si tramandasse un patrimonio di conoscenze antichissimo, sopravvissuto in area greco-bizantina. Boccaccio, quindi, presenta Demogorgone come “Padre degli Dei” sostenendo che furono gli Arcadi a venerarlo per primi quale mens sotterranea, energia generatrice eterna. A sostegno di tale tesi, Teodonzio avrebbe rinviato al Protocosmo, opera perduta del poeta Pronapide, precettore di Omero. In epoca più tarda, le teogonie “classiche” avrebbero precipitato nell’oblio il “primo” degli dei.

   Barsacchi affronta, a questo punto, l’etimologia di Demogorgone. Ricorda che, secondo taluni degli interpreti, il nome deriverebbe dalla traslitterazione di “Demiurgo”, personaggio centrale nella cosmogonia platonica, mentre a parere di altri l’esegesi corretta del nome rinvierebbe a un “dio della terra”. In realtà, le due lezioni sono complementari, potendo essere unificate nella seguente e conclusiva: Demogorgone è un dio sotterraneo capace di plasmare le forme. Il che ci pare alludere all’unità indivisa del Principio, avente in sé il momento femminile, il tratto tellurico, e il momento maschile-formale. La realtà sintetica di Demogorgone, implica rilevanti conseguenze sul piano storico-religioso, ma è significativa, come si vedrà, anche sotto il profilo speculativo.

   Veniamo, pertanto, alla presenza del dio “terribile” nella storia culturale d’Europa. Barsacchi sostiene che, durante l’Umanesimo, Demogorgone svolse la funzione di una sorta di “fantasma dell’Opera”, circolante dietro le quinte della scena culturale dell’epoca. Presente nella speculazione neoplatonica, di lui si fa menzione in Marsilio Ficino, così come nelle Mytologiae di Natale Conti o nelle Imagini di Vincenzo Cartari del 1556. Lorenzo Griffoli giunse a sostenere l’esistenza di un tempio in suo onore, coperto dal Duomo di Montepulciano. Significativo il ruolo che gli fu attribuito nella poesia cavalleresca da parte di Matteo Maria Boiardo nell’Orlando Innamorato: il poeta lo presentò nella veste di “Signore delle fate”, che tanta fortuna avrebbe avuto nella letteratura fantastica. La sua figura è presente, inoltre, nei Cinque Canti di Ariosto, nonché nel Baldus e nell’Orlandino di Teofilo Folengo.

    Di maggior rilievo ci pare l’attraversamento della filosofia compiuto dalla sua potestas divina. La cosa ebbe inizio con i Dialoghi d’Amore di Leone Ebreo, in cui compariva quale proto-Jahvé.  Giovanni Bracesco di Iorci Novi, esegeticamente più corretto, lo lesse quale momento dirimente del sapere ermetico-alchemico. Nei suoi Dialoghi, Demogorgone divenne metafora del “ferro”, metallo (dio) primordiale, dal quale sarebbero sorti tutti gli altri (dei). Lungo la stessa linea interpretativa si mossero Cesare della Riviera, Robert Fludd e Giordano Bruno.

   In Francia l’ambivalente figura divina fece capolino nei Mystères, rappresentazioni teatrali a sfondo religioso, dove si marcava il tratto “demonico” del personaggio. La cosa fu ricordata da Rabelais e Geoge Sand, che lo disse spirito delle profondità della terra. Si affermò nella letteratura inglese di età elisabettiana nella veste di “Signore della Notte” e dei destini, ma è nel Romanticismo che emersero le sue letture più accorte e speculativamente profonde. In particolare, ad opera di Coleridge e Shelley. Demogorgone nel Prometheus Unbound viene presentato quale “parola non detta, che dorme nelle profondità della terra, e rappresenta un potere superiore allo stesso Giove…quel potere che impropriamente e riduttivamente viene chiamato destino. Esso è al limite tra il Nulla e l’Essere, tra il caos e le Forme” (p.178). Ecco, siamo entrati nel vivo della questione che ci interessa! Demogorgone è simbolo della verità colta dalla tradizione ermetica e che, per certi aspetti, è sopravvissuta nella filosofia idealista e in talune correnti del pensiero novecentesco (Evola, Emo). Il suo nome ci dice l’eterna coappartenenza degli opposti, di essere e nulla. La sua potestas, esercitata sulla possibilità dell’impossibile (fate, mondo di mezzo), ma anche sulle forze ctonio-energetiche che plasmano metamorficamente la natura, lo rende eversore delle letture “apollineo-pacificatrici” del mondo antico. Il dio rinvia alla dimensione tragico-dionisiaca che segnò di sé il mondo pre-cristiano. Tale verità si mostra anche nelle rappresentazioni pittoriche del “Padre degli Dei”, nel fregio della villa medicea di Poggio a Caiano, di cui Barsacchi compie esemplare analisi. Da essa si evince come il dio sia qui scisso in due figure, l’una dal tratto solare, l’altra tellurica, rinvianti all’Unità dell’Origine, simbolizzata dal serpente uroboro che si morde la coda e sovrasta il fregio. Tale intuizione Carducci chiamerà “Informe eterno”, il D’Annunzio dell’Alcyone “l’originario mostro”, essa sfilò a Firenze nel 1566 su un carro durante la Mascheratadella Genealogia degli Dei, in occasione delle nozze di Giovanna d’Austria e Francesco de’Medici. Nel Novecento Pessoa la intuì come (s)fondoultimo del reale, ma non ebbe il coraggio dell’impossibile, che solo consente di tenere lo sguardo fisso sull’abisso originario.

    Eppure Guido Di Nardo, archeologo della prima metà del Novecento, ricordò come gli antichi abitatori dell’Italia pre-romana identificassero nel paesaggio dei Colli Albani, l’emersione del Genius loci di nome Demogorgone. E’ necessario tornare a vedere al nostro fianco la sua potestas, perché possa eventuarsi un Nuovo Inizio. Lungo tale cammino, il libro di Barsacchi è viatico essenziale.

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