Fotografia d'arte

Omaggio a Karl Blossfeldt

Terminata la prima guerra mondiale, le fotografie del Berlinese hanno la sorpresa di divenire le immagini cui si ispira l’ondata estetica della 'Neue Sachlichkeit'

di Piccolo da Chioggia

Omaggio a Karl Blossfeldt

Karl Blossfeldt

La grande filosofia tedesca era arrivata, in principio del diciannovesimo secolo, a distinguere con estrema precisione di un oggetto contemplato la “parvenza”, ovvero ciò che appare a noi, e quel qualcosa in esso oggetto di inafferrabile, insondabile e non riconducibile alla semplice esperienza e tale da rimanere celato in una nebbia che non dilegua: “la cosa in sé”.  Con ciò la conoscenza empirica si affacciava sull’ immenso panorama della conoscenza vigile a sé stessa per essere condotta da quest’ultima fino all’inquietante estremo. 

Se questi risultati, qui posti in un condensato assoluto, noi non li immaginiamo rinserrati per i secoli entro dei polverosi volumi ma li osserviamo agire sulla realtà ed innestarsi sui processi mentali di esseri finemente consapevoli, pure se lontani da queste speculazioni e dediti ad altro, non è impossibile arrivare a comprendere sotto un angolo di visuale non troppo angusto quelle forme della realtà che a tutta prima ci appaiono come l’effetto di semplici cause immediate.  È questa la rudimentale premessa da dare come ausilio per considerare l’opera classificatrice di un naturalista e fotografo tedesco, Karl Blossfeldt.

Nato nel 1865, Blossfeldt entra da apprendista modellatore in una fonderia d’arte. A diciannove anni decide di prendere lezioni di disegno per perfezionare il proprio apprendistato, consistito, fino allora, nel modellare ornamenti ispirati a foglie e fiori. Possiamo presumere che tali ornamenti altro non fossero che i tradizionali arzigogoli floreali delle cancellate e delle ringhiere dell’ultimo quarto dell’ottocento. Come molti suoi contemporanei Blossfeldt è appassionato alla fotografia e ne coltiva tutti i risvolti tecnici al punto d’arrivare a costruire da solo le macchine fotografiche che usa e con le quali avvia un’opera sistematica di osservazione delle forme vegetali. La quale matura e si precisa con l’occasione d’un viaggio a Roma, nell’anno1890, quando a Blossfeldt si offre di partecipare al vasto progetto di un professore di disegno che nella capitale italiana raccoglie tutte le immagini possibili di ornamenti per ordinarli in tavole descrittive ad uso degli allievi delle accademie d’arte tedesche. È di qui che vedono la luce le prime fotografie pubblicate dal naturalista le quali, con il lungo passar del tempo, nel 1899, gli fruttano una nomina a maestro di “modellato da piante” nella scuola statale berlinese di arte applicata, e dipoi, ma molti anni più tardi, il 1921, e in virtù dell’egregia opera svolta, il conferimento del titolo di professore. 

Per molto tempo il nome di Blossfeldt  era rimasto confinato quasi soltanto entro i circoli dei cultori di belle fotografie d’arte che avevano potuto ammirare le sue immagini di foglie e fiori nelle esposizioni in gallerie o le avevano notate sulle riviste. Avviene solo a partire dal 1928 che l’opera di questo paziente appassionato di botanica e geniale fotografo raggiunga in breve una rilevanza internazionale quando la pubblicazione del volume “Urformen der Kunst” vede susseguirsi ancor prima del 1930 le edizioni inglese, nordamericana e quella svedese. A questo successo editoriale si aggiunge quale complemento un altro volume consimile, “Wundergarten der Natur”, apparso nel 1932 pochi mesi prima della scomparsa dell’Autore. 

L’opera di questo meticoloso ed appartato botanico consiste in somma parte di immagini di foglie, fiori steli, infiorescenze in bianco e nero osservate come fossero pure costruzioni di un genio della natura dotato di senso architettonico. Sono immagini catalogate attentamente allegando a ciascuna il nome latino della specie ritratta e pervase tutte, al di là dell’intento documentario, di una silente bellezza e da un’ inquieta tensione all’ordine. Innumerevoli sono le specie ritratte, quasi che nel suo lungo lavoro Blossfeldt avesse voluto tentare di far propria la massima del grande Linneo: tot numeramus species quot a principio creavit infinitum Ens. E ciò con una singolare corrispondenza nel carattere specifico dei mezzi tecnici usati per la descrizione di quanto veniva osservato; nel rendere con forma verbale esatta la pianta o il fiore, la foglia e gli ulteriori elementi il grande Svedese ricorreva alla lingua che gli consentiva il massimo grado di precisione, il latino usato in modo così magistrale da far divenire la pagina linneiana non solo letteratura ma anche opera d’arte. Il botanico tedesco ricorre, per descrivere a sua volta la forma figurata vegetale, al mezzo più oggettivo possibile quale è la fotografia.  Lingua latina usata con la fredda concisione descrittiva di un Cesare, attenta a render manifesto con le parole ciò che delle forme osservate è specifico, stabile ed immutabile e tralasciando quanto è soggetto alle inevitabili variazioni dovute al caso come esplicato in un’altra massima dello Svedese: varietates laevissimas non curat botanicus. E la fotografia, usata in guisa di un occhio il più possibile distaccato dall’inconsapevole accentuazione di questo o di quel tratto, come facilmente può avvenire con il segno manuale, e reso lontano e onnicomprensivo con la preparazione accurata del fondo, ovvero della lastra di vetro su cui appoggiare la pianta, e della luce.

Le immagini di Blossfeldt, poi venute a comporre i due volumi, si erano poste solo un modesto ufficio, quello di servire da modello per gli allievi durante la lezione di disegno ornamentale a motivi vegetali. Con la sincera attenzione alla didattica che è classica della scuola tedesca dell’epoca bismarckiana, il botanico appronta pure delle diapositive con cui proiettare l’argomento sul quale svolgere le esercitazioni. Vale di rammentare che siamo al tempo nel quale il solido Falke, un ministro del cancelliere di ferro, fonda la “volksschule” ancora oggi in uso e ossatura per un programma d’istruzione permanente alle arti pratiche rivolta tutti gli strati sociali non più soggetti alla scuola primaria. Vi è da riflettere sul senso che assume l’immagine fotografica nell’intenzione di Blossfeldt : in quanto “riproduzione tecnica” essa è solo una fase di transito utile, e anche dotata di una propria estetica, al fine di propiziare una “riproduzione d’arte”, manuale quindi, dalla quale col tempo e l’aiuto delle Muse possa nascere una possibile opera d’arte.

Terminata la prima guerra mondiale, le fotografie del Berlinese hanno la sorpresa di divenire le immagini cui si ispira l’ondata estetica della “Neue Sachlichkeit”, la “nuova oggettività”, che appare come una delle componenti dello “Sturm und Drang” che dagli anni 20 agli anni 30 inoltrati, vuole attuare entro l’ambito della Mitteleuropa il superamento completo e finale delle ultime sopravvivenze romantiche per avviarsi verso una presumibile “nuova età dorica”. Il motivo dell’ascrivere l’opera del botanico radicato nel periodo bismarckiano all’ultramoderna “Neue Sachlichkeit”, prima da parte degli appartenenti al movimento stesso e poi dagli storici dell’arte, viene di per sé una volta che si osservino le immagini e venga ricordato a chiare lettere della tensione effettiva e davvero sentita di questo movimento nel senso dell’auspicata “nuova età dorica”. Entro la modesta foglia od il fiore o lo stelo ritratti nella fotografia, il Berlinese pare infatti voler rinvenire quella nuda e immateriale forma che dall’iperuranio ordina ed anima la creatura vegetale.

Sembra, a dire il vero, quasi paradossale il fatto che le immagini di Blossfeldt siano il campione di un fenomeno dell’arte tedesca che si riconduce al “neodorico”, quando, se si intende “dorico”, il ricordo non vola certo alle forme vegetali, che la natura ha eletto a muse dell’ornamento e spesso anche dell’arzigogolo, ma piuttosto conduce ai templi ellenici come quelli di Paestum o dell’Acropoli ateniese, ovvero alle pure architetture che già sono il frutto maturo di un processo di astrazione e semplificazione. Conviene allora rammentare un monito tratto da Schopenhauer: duo cum faciunt idem non est idem : se due fanno la medesima cosa, ancora il risultato non è il medesimo”,  il tempo è passato e Berlino non è poi Sparta. Tenuto il dovuto conto di ciò, possiamo tentare di precisare in una semplice formula descrittiva il doricismo dell’opera di Blossfeldt con il dire che esso è più una visione dorica della natura corinzia

L’obiettivo dorico sulle forme spigolate nel giardino dell’Arcadia corinzia non ha un effetto immediato. Perciò è necessaria un’aspra disciplina come dimostrato dalla lunga strada percorsa dal professore berlinese.

Disciplina che deve condensare e lentamente comporre, per arrivare alla pura rappresentazione della forma del bello, i risultati della paziente intrapresa. Prima il disegno ornato con i suoi canoni di stile e proporzione; poi l’approfondita pratica della fotografia con la visione prospettica centrata maggiormente sull’idea di piani successivi che si allontanano verso il fondo che non sulle linee di fuga come nel disegno; e, a coronare, il mondo della flora ammirato dal botanico. E infatti le immagini di fiori, foglie, gemme, steli ritratti hanno una caratteristica che è davvero spettacolare, esse non sono mai immagini piatte perché appaiono come volessero adombrare sempre un vero paesaggio. E ciò avviene anche se si viene a sapere, dai racconti sull’opera di Blossfeldt, che il fondo chiaro altro non è che una semplice lastra di vetro. Dov’è qui l’arte? Il dominio della tecnica fotografica è qui un effetto e non certo la causa nell’aver elevato delle immagini, semplici all’estremo, di enti della flora a forme rappresentative del bello. Alla ragione della bellezza delle fotografie del professore tedesco tentiamo di dare qualche lume rammentando che, in ogni caso, ultima latet

Foglie gemme e corolle di fiore sono ritratti sempre o quasi con una parte di stelo che determina un’asse verticale. L’immagine fiorisce dunque verso l’alto come un albero se vi sono molte foglie o collarini di petali. O ancora si slancia come un traliccio contorto o un albero spoglio se sono solo poche gemme minute a ornare i culmini degli steli. Dato che l’immagine è inquadrata da molto di presso l’idea che se ne riceve è quella di un’ente vegetale di forme strane e curiose per le somiglianze che sono richiamate: o un ventaglio semiaperto, o tralicci con funi attorcigliate, rami uscenti in simmetria perfetta dallo stelo, o ancora collari di fiori dalla geometria caledoiscopica e oltre. Tutti questi enti mostrano nettissimo il loro rilievo, ovvero mostrano di aver un volume e di non essere delle semplici forme appiattite.

Dato che il fondo è un grigio chiaro ecco che si affaccia l’intuizione viva di vedere o alberi o tronchi che solitari svettano verso il cielo in un panorama che possiamo immaginare ma non vedere, come se dietro gli alberi o i tronchi fosse scesa una densa nebbia nel mezzogiorno illuminato. 

La visione dorica ha cambiato luogo e forme. Non è più il tempio dalle linee rette nell’assolata o tempestosa primavera ellenica splendente; è la pianta ramificata e falcata dietro la quale una nebbia cela ogni fuga prospettica.  Quasi un riflesso della mutata combinazione di luogo e tempo con le relative deduzioni: siamo a Berlino e non a Sparta e altra deve essere la dottrina.

In Laconia era il genio di Platone con la dottrina dell’idea che sorregge dall’iperuranio la corrispondente forma visibile; fiore, animale o stella. A Berlino si misura invece la nuova critica kantiana; vi è l’oggetto, con la sua parvenza, “die Erscheinung” e ciò che di tale oggetto è immerso, remoto, nell’insondabile, “la cosa in sé”, “das Ding an sich”. Con la sua opera Blossfeldt ritrae l’oggetto e così ne sonda all’estremo la parvenza, ovvero ne rende manifesta l’idea che di essa parvenza è l’aspetto iperuranico, fissato ed immutabile nei cieli, per porre infine a sé stesso e all’osservatore attraverso l’oggetto ritratto il duro quesito sulla “cosa in sé”.

In quest’opera, bella e semplice, si trova dunque una nuova via in ombra , un inaspettato passaggio laterale e solitario che può condurre tanto all’estetica tedesca quanto alla primavera dell’arte e delle dottrine elleniche.

E appare possibile che, nel loro navigare attraverso tempi e luoghi, sospese nell’aria come avviene per certi semi della flora, e non più fisse nell’inchiostro delle pagine ma cose divenute vive, le speculazioni della critica nata a Königsberg e le visioni della più classica fra le dottrine elleniche abbiano fatto vibrare senza apertamente palesarsi alcune corde del genio di un botanico berlinese intento a ritrarre straordinarie immagini di steli ornati da corolle, gemme e foglie. 

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