Editoriale

L’imposizione della neolingua per cancellare la nostra civiltà

Come nel romanzo di Orwell stiamo assistendo ad una mistificazione violenta che nel nome di un’utopia egualitaria provocherà una disastrosa perdita di identità degna del peggior totalitarismo

Gianfranco de Turris

di Gianfranco de Turris

ine specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing (Socialismo inglese), un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Si riteneva che, una volta che la neolingua  fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archelingua dimenticata, ogni pensiero eretico sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole»: così scrive George Orwell all’inizio della appendice di 1984dedicata a “I princìpi della neolingua”. I termini della neolingua escludevano ogni altro significato «compresa la possibilità di giungervi in maniera indiretta. Ciò era garantito in parte dalla creazione di nuovi vocaboli, ma soprattutto dalla eliminazione di parole indesiderate e dalla soppressione di significati eterodossi e, possibilmente, di tutti i significati secondari delle parole superstiti».

Nel mondo del Socing descritto in 1984, prosegue Orwell,  l’intervento sulle parole per modificare la mentalità delle persone non era rivolto solo al presente, ma anche al passato intervenendo sulla letteratura precedente. Da un lato, dunque, con la neolingua «si poteva ottenere un’enorme contrazione del vocabolario», dall’altro, considerato che «la storia era già stata riscritta», bisognava intervenire sulla letteratura considerando «che nessun libro scritto prima del 1960 poteva essere tradotto nella sua integrità. La letteratura antecedente la Rivoluzione poteva essere soggetta solo a una traduzione ideologica, che è come dire all’alterazione completa del senso e del linguaggio». Così si cominciò a “tradurre” secondo i criteri della neolingua autori come «Shakespeare, Milton, Swift, Byron, Dickens e altri».

A conclusione  di tutta questa lunga, complessa e sottile operazione, spiega lo scrittore inglese, «era prevedibile che i tratti della neolingua sarebbero diventati sempre più marcati: parole sempre meno numerose, significati sempre meno flessibili, sempre più ridotta la possibilità di usarle in maniera impropria. Soppiantata una volta per sempre l’archelingua anche l’ultimo legame col passato sarebbe stato reciso». Tutto ciò è stato scritto nel 1948.

Nella edizione di 1984 che Mondadori pubblicò nel 1984 con la introduzione di Umberto Eco, l’illustre semilogo affermò che Orwell aveva fallito e che nessuna delle sue catastrofiche precisioni si era avverata. Oggi, a sessantacinque  anni dall’uscita del romanzo e a quarant’anni dalla fatidica data, noi stiano vivendo l’incubo del mondo di Oceania dove il protagonista, Winston Smith, lavora al Ministero della Verità riscrivendo libri, documenti, articoli del passato anche recente per non farli essere in contraddizione con le verità espresse del Socing e dal Grande Fratello. Non ce ne rendiamo conto, o non vogliano rendervene conto, pressati da cose assai più contingenti e gravi, ma è purtroppo così. Basta fare attenzione alle caratteristiche specifiche della neolingua.

Nuove parole che introducono nuovi concetti e che cancellano parole e concetti del passato in modo da modificare il pensiero e la visione del mondo. E’ esattamente quello che stanno cercando di fare il Dipartimento Pari Opportunità/Urar con i suoi interventi sulle fiabe e sugli orientamenti sessuali dei bimbi degli asili e delle elementari, l’Ordine dei Giornalisti con le sue regole per le parole riferite agli immigrati clandestini e zingari, e infine (per ora) le Università di Trieste e di Udine con un “protocollo” contro le “dissimmetrie grammaticali e sintattiche” che si vorrebbe far adottare dallo Stato e dalle amministrazioni locali nei documenti ufficiali. Vale a dire proponendo l’uso dei un femminile tutto particolare nei titoli di professioni e di cariche: dottora invece di dottoressa, professora invece di professoressa, rettora invece di rettrice e così via. Resta il dubbio che si debba dire “giudicia”, ma ci stanno pensando.

Si propone anche l’abolizione del maschile onnicomprensivo, cioè che comprende anche il femminile. Come fare? Un bel problema. Alcune soluzioni seriosamente avanzate sembrano uscite da una barzelletta: ad esempio, sostituirlo molto semplicemente con  il femminile: “Carlo e Franca sono arrivate a Firenze”. Bello, no? E non sarà una discriminazione al contrario? Un’altra serissima proposta è da settimanale enigmistico: non mettere la vocale finale e sostituirla con un... asterisco! Ecco il risultato: “Carlo e Franca sono arrivat* a Firenze”. Straordinaria idea. L’asterisco assumerà una importanza capitale in futuro, vedrete, allo scopo di non “offendere” nessuno. Perché non allora “arrivati/e”, come già qualcuno usa? Non pare si possa dato che, è accertato, di sessi non ce ne sono soltanto due, ma tre, quattro e forse dodici, qualcuno si sentirebbe escluso e si “offenderebbe”.

Leggeremo allora: “Car* amic* benvenut* a questa manifestazione”. Ma a voce come si esprimerà l’interlocutore anti-sessista per non “offendere” le persone presenti? (sempre che si sentano “offese”). Ci si sta pensando accanitamente. Oltre a questo, però, rimane non risolto un altro fondamentale problema: come riscrivere “umanità” dato che sembra riferirsi al solo “genere uomo”? Una bella gatta da pelare per i gestori della neolingua.

Vocabolario sempre più ridotto e quindi povero, per esprimere quel che si pensa.

Siamo sulla buona strada grazie questa volta alla tecnologia. Inviare SMS costringe a essere essenziali, a contrarre le parole, a usare segni specifici, mentre quella funesta cosa che è Twitter obbliga a non utilizzare più di 140 caratteri. I ragazzi stanno imparando rapidamente e gli  elaborati scolastici ne sono la prova. E c’è chi ha avuto la meravigliosa idea di far scrivere su Twitter dei “romanzi sintetici”. Forse Marinetti avrebbe applaudito? Non credo, guardandosi intorno, giacché oggi la povertà di vocabolario riflette la povertà di pensiero..

Riscrittura e censura non solo delle opere classiche ma anche delle opere popolari e per l’infanzia, dei cartoni animati  e dei fumetti.

La malattia mentale del politicamente  corretto, del buonismo e dell’antirazzismo fondamentalista sta provocando l‘epurazione di parole e frasi ritenute “scorrette” e “disturbanti” da alcuni famosi romanzi come Huckleberry Finn di Mark Twain, Pippi calzelunghe di Astrid Lindgren, il Robinson Crusoe di De Foe, I dieci piccoli negri di Agatha Christie, per non parlare di molte fiabe d’autore come Andersen e Grimm da tempo nel mirino dei censori.  Lo stesso sta capitando a cartoni animati come Tom e Jerry di Hanna e Barbera o fumetti come Tintin di Hergé.

Mentre i nostri nonni e bisnonni censuravano per pruderie i passi ritenuti scabrosi per la morale, i loro attuali nipoti esaltano la pornografia e applicano invece una censura che è, come ha spiegato esattamente Orwell, “ideologica”. A quanto pare lo fanno non solo le dittature vere o immaginarie, ma anche le grandi democrazie occidentali. Ovviamente, sempre e solo “per il nostro bene”.

Certe cose sono talmente ridicole e grottesche da condannarsi da sole e da indurci a sorridere su o a fare spallucce. Purtroppo per noi le cose sono molto più serie delle apparenze. Il conformismo imperante culturale, accademico e giornalistico potrebbe pian piano insistendo attraverso tutti i mass media creare un “effetto imitazione” tale da far assuefare la gente comune alla mostruosa neolingua che alcune lobby vorrebbero imporci a tutti i costi. Sono passati vent’anni da La cultura del piagnisteo di Robert Hughes, ma le sferzate del critico australiano non sono servite a nulla, anzi la situazione è nettamente peggiorata. Ricordiamoci sempre che secondo J.R.R.Tolkien, che era linguista e filologo, la lingua rappresenta l’identità di un popolo, e quindi guai a perderla, corromperla, semplificarla, modificarla.

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