Ritratto di una generazione muta: ROMANZO

Andavamo a letto dopo Carosello

Capitolo I. Equivoco, non confuso. 1. Invito con passato a sorpresa

di Giovanni F.  Accolla

Andavamo a letto dopo Carosello

“La forma è il pensiero…”

(K. Kraus)

Una domenica, dopo aver trascorso metà della giornata da padre esemplare - mi trastullai a lungo con mio figlio e poi andai con lui a comprare i giornali e le paste - giunse inatteso l’invito di mio padre (che di esemplare non ha mai avuto niente).

- lacopo ha sei mesi, ed io non l’ho ancora visto - mi disse al telefono - venite a trovarmi!

Non seppi formulare, tanto fui preso di sorpresa, una scusa che si tenesse in piedi, ed accettai. Non vedevo mio padre da più di un anno, e credo che prima dell’ultimo nostro incontro fosse passato ancor più tempo. I miei genitori sono separati da oltre trent’anni e con lui non ho mai avuto che sporadici incontri.

Entrato in quella casa in cui non ero mai stato, ne ebbi una profonda impressione: mi si parò subito davanti un grande quadro, più alto che largo, rettangolare: quei colori e quelle forme che, da formali, prendevano una torsione astratta, penetrarono attraverso i miei occhi e invasero territori della memoria del tutto dimenticati. Era un oggetto che, evidentemente, stava nella casa in cui nacqui e che mio padre si era portato con sé dopo il divorzio. Tale sensazione, continuò per tutta la sera: attonito e sbalordito, cominciai a prendere coscienza di un passato rimosso. Alcune prove oggettive della mia trascorsa esistenza mi venivano fornite con gentile, affettuosa, crudeltà.

- Guarda tuo figlio quanto ti somiglia - insisteva mio padre sottoponendomi alcune fotografie della mia infanzia - guarda gli occhi, e il naso… vedi, lo stesso sorriso!

Fu a dir poco sbalorditivo. Fu come se per la prima volta mi fossi accorto che c’ero. Esistevo dacché c’ero stato. Ero stato bambino, avevo giocato, sorriso, perfino, dinnanzi a qualcuno che scattava quelle che sarebbero diventate delle scomode prove.

Non mi restava che ricucire lo strappo avvenuto chissà quando. Pensai che avrei dovuto farlo al meno per mio figlio, o per riconoscenza di figlio, ora che anch’io ero divenuto padre.

A un certo punto della mia vita, in un momento non facilmente rintracciabile nel tempo, smisi di essere, smisi, in definitiva, di essere per intero. Il pensiero da quel punto in poi, sembra avermi preceduto o, probabilmente, fu come trascinato dalla vita. Mentre mi lasciavo vivere, mi pare di capire, la mente creava la propria autonomia. Ora immagino che, davanti al primo impasse della mia vita, abbandonai la barca del corpo al suo destino, alla sua deriva. Tant’è che della mia prima infanzia, così come della mia adolescenza, ho alcuni ricordi che, avvolti in uno strano alone di privata epicità, mi rendono spettatore. Sembra proprio che io abbia visto il cinematografo della mia vita, ed ora ricordi quanto avvenuto come un film veduto chissà quando. Se la responsabilità ha inizio col pensiero, la paura e il peso della responsabilità, cominciano col pensiero del pensiero.

Ricordo, per esempio, di quella volta che riuscii a segnare la rete decisiva, affinché la mia classe vincesse lo spareggio per accedere alla finale del campionato della scuola. Un fatto del tutto naturale nel palmares di ogni infanzia, credo, ma che, nonostante la mia diretta partecipazione, a me sembra aver svolto solo un ruolo marginale, da spettatore appunto.

Così, ogni cosa che mi accade, una volta accaduta, non mi appartiene. Mi riconosco soltanto nelle potenzialità. Sono indifferente ad ogni avvenimento che mi riguarda: lo svolgersi della vita mi pare, di fatto, inappropriarmi della vita stessa. Ormai, senza alcun dolore, ed anzi con un sottile piacere, assisto al passaggio (che credo a tal punto privo di transizione), dalla realtà del nulla, all’illusione del tutto. Dal niente di un sogno, al tutto di una mediocre quotidianità che non riconosco come mia.

1. Continua

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