Il Maestro Sergio Pacori

Se dai reperti di guerra nasce una scultura

L'artista va alla ricerca del materiale bellico, stagliato tra gli anfratti del terreno e a volte nelle fessure di vecchi arbusti...

di Ivan Buttignon

Se dai reperti di guerra nasce una scultura

Il nostro Ivan Buttignon mentre saluta il Maestro Sergio Pacori

Le “tempeste d’acciaio” di jüngeriana memoria stanno fruttificando. L’humus metallico fa fiorire arbusti, siepi e arboscelli di fulgide sembianze. Succede a Gorizia, uno dei più formidabili teatri di contesa e ostilità della Grande Guerra.

A distanza di un secolo, i pallettoni diventano grani di rosario, il filo spinato assume le forme di trecce di ragazza, le bombe si trasformano in colombe, le schegge dei petardi diventano le ali leggere di San Michele, grovigli indifferenziati di materiale bellico s’intrecciano sapientemente fino a mutare in un magnifico e poderoso drago. 

L’autore è il celebre scultore Sergio Pacori, classe 1933, nato a Gargaro, ora Slovenia, da un’ostetrica rimasta vedova e con quattro figli.

Sono famose le sue opere come L’Arcangelo Michele, l’Ardito che mima San Giorgio, la Vergine mistica, il Milite ignoto, S. Martino e il povero, il Leone di San Marco, esposte di volta in volta nelle prestigiose vetrine di consessi nazionali e internazionali.

Il Maestro Pacori elabora alfabeti plastici sempre nuovi, codici unici che contrassegnato e distinguono una scultura dall’altra.

 Il Maestro Pacori con il nostro Buttignon

“Ho iniziato a dedicarmi a questa passione all’età di cinquant’anni. – spiega il Maestro – Gli intervistatori, di solito, mi chiedono quale sia il mio segreto, visto che sin dalla mia prima opera ho reso una corretta distribuzione delle proporzioni, che ha stupito gli addetti ai lavori. Il mio segreto è che non ho segreti. Lavoro senza schemi di riferimento. Anzi, le dirò di più: paradossalmente sono un pessimo disegnatore, e pertanto uno schema disturberebbe l’esecuzione del mio lavoro. La condizionerebbe in modo negativo. Ecco perché assecondo semplicemente l’intelligenza delle mie mani, che lavorano con la consapevolezza di quanto vanno compiendo”.

Pacori va alla ricerca del materiale bellico, stagliato tra gli anfratti del terreno e a volte nelle fessure di vecchi arbusti, lo assembla, lo modella, lo adatta con i suoi strumenti: scalpelli, trance, lime. Deforma tutto con le sue mani, senza ricorrere alla fusione.

 Il Maestro e sue opere varie

Ho affettuosamente apostrofato il Maestro “creatore di forme”, al ché gli è sfuggito un ampio sorriso, e una pronta risposta: “Vede, le forme esistono già. Il Leone di San Marco o l’Arcangelo Michele o ancora il Drago rappresentano simboli diffusi, ampiamente condivisi dalla coscienza collettiva. Mi sento quindi più interprete che creatore. Vivere la seconda guerra mondiale e assistere in prima persona ad avvenimenti atroci è servito, probabilmente, a cauterizzare il mio dolore, a rendermi più forte ma soprattutto più attento rispetto a quello che mi circonda. Ricordo perfettamente una Gorizia occupata dai titini, le loro deportazioni e il terrore che seminavano, checché ne dicano, spesso e volentieri anche tra gli innocenti. Ricordo i mongoli, particolarmente animaleschi nei confronti delle donne, che venivano frenati dagli alleati tedeschi, con tanto di pistola puntata alla tempia per evitare violentassero e brutalizzassero le belle ragazze. Ricordo gli alleati slavi dei fascisti, che sparavano sui curiosi: di fronte a me, un cetnico fece saltare il cervello a una bambina di cinque anni che faceva capolino da una finestra”.

 L'artista con San Michele e il drago del male


In una terra battuta da plurimi nemici e di nessun amico, corrosa dalla miseria e dalle malattie, ricolma di insidie, bagnata dal sangue di innocenti colpevoli di chiedere libertà o di essere italiani, il bambino diventa quello che si rivelerò a cinquant’anni: Maestro.

Con passione, precisione, ingegno, Sergio Pacori ricambia il favore: nella pace, forgia i residui di una guerra che l’ha forgiato.

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