Lessico inattuale. Un conservatore davanti al pensiero unico

Il lessico conservatore di Gennaro Malgieri per Giuseppe Del Ninno

L'autore del libro, dunque, politologo e poeta, manager e scrittore?

di Giuseppe del Ninno

Il lessico conservatore di Gennaro Malgieri per Giuseppe Del Ninno

Siamo qui per presentare il nuovo libro di Gennaro Malgieri, “Lessico inattuale”, sottotitolo: “Un conservatore davanti al Pensiero unico”.

Molti degli intervenuti conoscono bene Malgieri e sanno cosa vuol dire, per lui, essere conservatori: “conservare”, per Malgieri – che del resto lo spiega bene sia nella Premessa che nello specifico capitolo – non appartiene solamente alle categorie del politico; l’attitudine a conservare è una categoria dello spirito, una modalità esistenziale che guida tutto un percorso di vita, sia nella dimensione privata che in quella pubblica.

E Malgieri – lo sappiamo bene – ha avuto importanti incarichi pubblici, da quello di parlamentare a quello di consigliere d’amministrazione della più importante impresa culturale italiana, la RAI, fino a dirigere e anche a fondare testate che nella storia del giornalismo e della cultura hanno occupato ed occupano un posto non secondario.

Dicevamo della politologia: su questo terreno, Malgieri ha sviluppato un lavoro teorico di cui sono testimonianza alcuni suoi testi, da “Una certa idea della Destra” a “Le macerie della politica”, ma non va dimenticata la sua opera poetica, in versi e in prosa: a quest’ultima categoria, per inciso, appartiene quello che una volta si definiva “un aureo libretto”, appena uscito e stampato a cura dello stesso Autore, nella sua personale Biblioteca di Zarathustra; alludo a “Stagioni”, che proprio sul tempo ciclico articola una serie di riflessioni e di memorie, dove il lirismo attinge a visioni fulminanti e universali.

Malgieri, dunque, politologo e poeta, manager e scrittore? In una simile, inconsueta poliedricità va in effetti ricercata la chiave di lettura anche di questo “lessico”, incardinato sull’asse della coerenza, della visione ampia, del non volersi arrendere, neppure di fronte ai segnali se non dell’apocalisse, certo del declino.

Visione: si rimprovera, sempre più spesso, alla politica di riuscire a gestire a malapena l’Emergenza, soprattutto economica – e in proposito andrebbe letto e commentato nelle scuole il capitolo dedicato da Malgieri a questo tema – di perdersi dietro alle questioni di bottega elettorale e, in definitiva, di non avere una visione del mondo intorno alla quale suscitare entusiasmi e consensi non effimeri; ebbene, Malgieri in questo suo volume, attraverso una disamina che non è soltanto lessicale, ma investe i comportamenti, le idee indotte e quelle acquisite dalla generalità dei contemporanei, non soltanto italiani, rimanda appunto ad una weltanshauung, nobilitando la politica e la stessa scrittura. E lo fa scegliendo la forma dell’elzeviro, la più aristocratica e poetica del giornalismo, non a caso in crisi, di questi tempi superficiali, volgari, stupidamente veloci; con un’eccezione importante nel capitolo dedicato alla Partitocrazia, dove si dilata il numero di pagine e riaffiora lo studioso di teorie politiche.

Mettendo insieme questi capitoli brevi, costruiti con una prosa di un’asciutta eleganza, l’Autore avvia una grande opera di recupero del significato di parole che affollano la nostra attualità, e lo fa accettando proprio la sfida dell’inattualità, restituendo loro il significato originario e privandole delle scorie accumulate in decenni – se non, a volte, in secoli – di usura, ma anche e, principalmente, di deliberata, orwelliana falsificazione. Sotto questo profilo, i capitoli dedicati al Cibo, al Corpo, all’Europa e alla Scuola sono esemplari. Non si pensi però ad una prosa savonaroliana, al piagnisteo di chi risolve ogni analisi, ogni constatazione in una lode del tempo passato intinta nell’umor nero.

Malgieri possiede e - sa usarlo – il registro dell’ironia e della sorridente, convinta accettazione della modernità, nei suoi esiti migliori: si vadano a sfogliare i capitoli sul Calcio, sul Gossip, sullo Zapping (quest’ultimo addirittura assurto a simbolo della libertà per l’homo televisivus, un tempo soltanto succube).

L’Autore non si sottrae a nessuna delle sfide poste da alcune antinomie e contraddizioni insite nella complessa materia che affronta: a partire proprio dalla parola cruciale – conservatore – egli accetta la sfida della conciliazione problematica fra la politica, la vita quotidiana e la religione, nella sua duplice accezione pubblica e privata. Malgieri non fa  mistero della sua fede in un cattolicesimo austero e caritatevole, trascendente ma ben radicato nella storia, soprattutto europea: basterebbe leggere i capitoli sull’Estrema Europa – con una sorprendente, commossa illustrazione di Kiev, culla del cristianesimo -  e sul Monachesimo. Ebbene, dalle sue frasi traspare una sofferenza per quella “separazione” evangelica fra Dio e Cesare, per quella apparente subordinazione della continuità fra le generazioni, sia pure nel nome di valori spirituali condivisi, alla visione della Gerusalemme Celeste.

Perché sia chiaro: per Malgieri, conservare non vuol dire assumere l’atteggiamento dell’Avaro che cela gelosamente le sue cose – le sue idee – e si illude di portarsele dietro, magari fino alla sua finis vitae, mentre intorno tutto il mondo cambia. Al contrario: Malgieri propugna l’accezione classica della tradizione (ecco un vocabolo che avrebbe consentito ulteriori sviluppi al capitolo sul Conservatore), nella sua funzione precipua di trasmissione, di padre in figlio, di valori e - perché no? – di patrimoni. Conservare e tramandare diventano così compiti a rischio di “tradimento” – non a caso l’etimo è il medesimo – nella evidenza del fatto che non si può trasmettere una cosa o un’idea se non mutandone lo stato (di adeguamento ai tempi, di dislocazione nello spazio).

Con il suo pensiero, con il suo scritto, Malgieri fa così opera di meta-politica, nel senso più alto dell’espressione: fare politica, vale a dire occuparsi della cosa pubblica, anche da semplice cittadino, reagendo alle pressioni e ai guasti provocati magari dalla stessa politica – ma poi dalle correnti di pensiero, oggi convergenti in una direzione unica – a partire dalle parole; fare politica a partire dalle parole e dal lessico in cui vengono incardinate, per tessere quel consenso troppo spesso radicato nella pigrizia, nella supina accettazione, non a caso propria dello Spettatore Televisivo e dell’Utente di Internet. “Non può esservi grande politica ove prima non sia stata grande poesia”: questa frase di un personaggio di Jünger deve essere rimasta bene in mente a Malgieri.

Se poi qualcuno volesse cercare ortodossie o eresie, rispetto gli schieramenti obsoleti della politica, si legga il capitolo sui Migranti e, in generale, la rivisitazione del colonialismo: gli risulterà difficile collocare l’Autore in questa o quest’altra casella della politica tolemaica (anche se a Malgieri non ha mai fatto paura la definizione di “uomo di destra”).

Dunque, se metapolitica prelude a una battaglia delle idee e per le idee, Malgieri non si sottrae; anche se si immagina forte la sua tentazione di ritirarsi e concentrarsi in un erbario jungeriano, o magari in quel Deserto dove vivevano la loro ascesi quotidiana i Padri eremiti e dove vivono la loro drammatica vicenda di “senza terra” gli amati saharawi; quel Deserto che ispira a Malgieri le pagine più “spirituali”, più alte e rarefatte di questo libro.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da piccolo da Chioggia il 13/12/2013 14:01:05

    all'uopo potevate metterne qualcuna, di queste poesie del Canapone direttivo, tanto per cerziorare i Giangastoni lettori come me... voi direte: comprati il libro, piccolo da Chioggia. avete ragione. ma se un autore è probo e caritatevole è proprio della poesia che potrebbe far un dono gradito...

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