Calunnie e doppiopetto blu

Incubo mortale nel carcere di New York

Il sonno di Peter era pervaso dall’insicurezza del domani e da una sorta di squilibrio della realtà.(Capitolo 17)

di  

Incubo mortale nel carcere di New York

Prima di essere condotto a Rykers Island gli furono prese le impronte digitali e fatte le foto segnaletiche come a un criminale qualunque, un malvivente da segnalare alle autorità in modo che non nuocesse più. Peter, all’interno del pulmino che lo conduceva in carcere, non fece parola sebbene Bovaro, che lo scortava, tentasse di scuoterlo con ogni mezzo, assicurandogli che dentro ci sarebbe stato poco, il tempo che il giudice lo interrogasse, poi sarebbe tornato a casa.

 

La paura di Bovaro, dopo averlo conosciuto attraverso l’interrogatorio, era quella che Cummings non reggesse a tanta pressione, si capiva che l'uomo non era abituato ad avere a che fare con problemi giudiziari, la sua fedina penale era candida come neve al sole.

A Rykers Island venne sottoposto ad una lunga e snervante perquisizione personale. Fu fatto denudare completamente e obbligato a ispezione anale, in quanto all’interno di questa cavità avrebbe potuto nascondere chissà quali oggetti pericolosi.

 

Gli furono ritirate tutte le sue cose e consegnata la divisa da carcerato insieme a lenzuola e coperta.

La cella era piccolissima, già occupata da un colored e da un italo-americano. I due mostrarono subito simpatia per Peter, forse perchè capirono al volo che non era il solito delinquente appartenente alla loro categoria. Il profumo che ancora lo avvolgeva ritemprò Ishar (il colored) e Cannuto (l’italo-americano) abituati al puzzo di rinchiuso della cella.

Cummings occupò il lettino a terra e spiegò, quasi distrattamente, quasi fosse in stato onirico, la motivazione del suo arresto.

Cannuto sentenziò, dall’alto dei suoi 25 anni di esperienza carceraria - non sempre consecutivi- tenne a precisare, che Peter lì ci sarebbe rimasto ben poco poichè si vedeva lontano un miglio che era stato vittima di un’imboscata. Ishar aggiunse che conosceva di fama i Roughoaks e che da gente come loro c’era da aspettarselo. Erano strozzini, evasori fiscali, ma soprattutto erano definiti dalla comunità nera degli sporchi razzisti che onoravano il Ku Klux Kan .

 

Prima notte in carcere.

 

Nonostante fossimo in primavera inoltrata, Peter, si coprì con lenzuola e coperta fino alla faccia. Assunse un sonnifero, consigliato dal medico del carcere, e si addormentò.

Il sonno prese una componente del tutto mistica, contaminato dall’ esperienza tragica di quella giornata maledetta.

Un sonno pervaso dall’insicurezza del domani e da una sorta di squilibrio della realtà, da uno smarrimento e  stato di dipendenza dovuti a fattori metafisici e non naturali.

Peter si sentì catapultato, in un certo senso, all’interno di una bolgia infernale dove scontare i peccati commessi, percepiva la galera come esito finale di una condanna divina. Un incubo tremendo dove vedeva materializzarsi la famiglia dolorante al suo capezzale.

L’unica possibilità di salvezza era il sonno eterno, la morte una liberazione dal dolore e dall’angoscia. L’incubo di Peter si trasformò ben presto in una disperata ricerca della pace e della serenità contro tutte le incertezze e gli orrori della vita, e questa indagine confluiva sempre, ineluttabilmente verso l’eterno distacco, verso la vecchia signora con la falce.

Il risveglio riportò Peter ad un ritorno spaventoso alla realtà, e un senso di paura e angoscia lo avvolse in una stretta morsa: meglio l’incubo, che terminava con  l’eterno riposo, di questa puzzolente, ingrata, vendicativa esistenza. Di getto pensò ai Roughoaks, ma stranamente non provò odio o rabbia, solo profonda commiserazione verso quei personaggi, entrati da tempo nella sua vita, che lo veneravano e lo compiacevano in tutto, sapendo però di spingerlo ogni giorno di più verso un precipizio di dolore e inganni.

Non vi era acrimonia verso i vari Steven, Elizabeth, Donald, Sandra e David Harold;  lui aveva già capito le loro bassezze, la loro ignoranza totale,  le loro invidie,  le loro cattiverie verso i più deboli, i loro soprusi ambientali, i loro trucchi proibiti verso le istituzioni, ma mai avrebbe pensato che lui, definito uno della famiglia, fosse preso come capro espiatorio per tutte le malefatte compiute dai Roughoaks e ne dovesse addirittura pagare così crudelmente le conseguenze con la galera.

 

Perchè, si chiedeva Peter, se avevano qualcosa contro di lui non lo avevano chiamato in separata sede discutendo civilmente la cosa!? – che bisogno avevano di  diffamarlo così apertamente; perchè arrivare ad assoldare un detective della Aeroportuale per incastrarlo? Per quale motivo l’ anziano Roughoaks non lo difese minimamente e credette a tutto quanto propinatogli dalla figlia e dal genero? Sì,  volevano farlo fuori, lo temevano, avevano paura del loro futuro, ma perchè inventarsi del furto di tutti quei dollari, perchè Mr. David Harold non provò ad ascoltare anche Peter.... Perchè pure Donald, nonostante la sua pochezza intellettiva, non lo difese.... Perchè !!!

Cummings cominciò a pregare, leggendo alcuni santini che la madre si era premurata di dargli, e uno di questi era una preghiera rivolta a Santa Rita che spesso durante la giornata recitava. 

Il primo giorno, trascorso tra una preghiera e l’altra, lo vide comunque sempre nella sua cella, non ne uscì mai, nemmeno per l’ora d’aria.

Peter, attese la notte per potersi riappropriare del suo sonno e questi arrivò puntuale a tenergli compagnia.

 

Seconda notte in carcere.

 

Prima di coricarsi e di chiudere gli occhi pensò intensamente a tutti i suoi familiari e lacrime amarissime gli bagnarono il volto.

Nel semibuio della cella, Cummings, vagò con la mente verso alcuni momenti belli della sua vita, ma quasi a punirlo per questi pensieri il senno  lo riportò subito agli avvenimenti recenti. Si addormentò con impressi i due poliziotti che lo bloccavano sulla porta di casa, peregrinando poi verso le figure dei Rouhgoaks, di Mr. David Harold che lo aveva abbandonato così vigliaccamente, verso Donald e le loro lunghe chiaccherate malviste da Elizabeth e Tick, ripensò alle due sue auto consumate per la compagnia, sempre in cerca di nuovi clienti, ogni volta a disposizione di Mrs. Sandra per scarrozzarla di qua e di là, senza sosta a fare da autista a Steven e consorte, come un perfetto maggiordomo. Per non parlare del grande affetto che nutriva per l'unico figilo di Elizabeth, continuamente a chiedergli regali e lui a scattare ad ogni sua richiesta.

Perchè, perchè ora si trovava lì, con quei due coinquilini vestiti come lui. Non era possibile, l’incubo lo riportava alla distruzione interiore, ad una angoscia così profonda da odiare a vita i Roughoaks, ma non gli riusciva, si auto-incolpava dell’accaduto, recriminava con se stesso di non aver considerato Donald quando un giorno gli sussurrò di stare molto attento a sua sorella e a Tick in the skin, sentiva il peso del dolore che aveva dato ai suoi cari e agli amici di sempre.

In questa seconda notte il suo incubo partorì una donna bellissima, dai lunghi capelli castani e dagli occhi blu come il cielo.

Il volto ammaliante si tramutò ben presto in un ammasso di rughe, verruche e nei, il corpo rivestito da stracci maleodoranti era curvo dalla grande gibbosità che mostrava la schiena e i piedi scalzi parevano rami secchi ormai morenti. All’ improvviso, Peter, si trovò testimone ad un processo all’ interno di un vecchio e fatiscente tribunale. La vecchia era stata accusata di stregoneria da una giuria composta dai Roughoaks e dai poliziotti Bovaro e Miller.

Jane, la donna che doveva essere giustiziata perchè accusata di un maleficio contro un familiare dei Roughoaks che soffriva di asma e di dolori alle ossa di fronte ai quali i medici nulla seppero fare, chiese a più riprese di essere liberata in quanto si proclamava assolutamente innocente.

Uno dei Roughoaks, allora, sentenziò che se avesse resistito a certe torture sarebbe stata liberata, altrimenti bruciata sul rogo come era giusto fare alle streghe. La vecchia, sdentata e con una benda sull’occhio sinistro a dimostrazione della sua parziale cecità, accettò la proposta e di lì a poco arrivarono i macchinari del supplizio. Lo schiaccia-alluci, il torchio, la ruota, l’olio bollente e altri marchingegni furono installati per sottoporre la donna a tortura e nello stesso modo per poterla scagionare dall’accusa rivoltale. La vecchia cedette subito allo schiaccia-pollici svenendo e confermando, dal dolore atroce, la sua commistione con la stregoneria, confessando tutto quello che i suoi aguzzini vollero sentirsi dire.

La condanna al rogo fu la sentenza degli inquisitori, ma prima di essere posta sul rogo, inviò una maledizione a tutti i suoi persecutori:

-Voglia il Signore che voi tutti proviate l’ umiliazione e il dolore dell’anima che oggi sto provando in questo tribunale. Badate bene, non vi auguro il dolore fisico, che in molti casi purifica, ma quello dello spirito, di quel soffio vitale colpito a morte dall’ignoranza della gente.-

Il rogo mortale la rese polvere.

 

La morte era costantemente nei pensieri di Peter Cummings, lo rasserenava solo la possibilità di ricorrere ad essa per uscire dall’angoscia e dall' ingiustizia della vita terrena. La sua mente sconvolta dagli avvenimenti, ma soprattutto il suo cuore, non rivelavano ancora alcuna forma di rabbia o vendetta contro chi lo aveva messo in quella tremenda situazione. Lo shock subito era ancora troppo fresco per covare qualsiasi tipo di rivincita giuridica, l’anima sanguinava ancora e la mortificazione subita rendeva soporifera ogni manifestazione di compensazione.

I giorni si susseguirono uguali fino al settimo quando, in tarda mattinata, Peter fu condotto in sala interrogatori: davanti a lui, oltre al suo legale, c’erano il giudice Martin Campbell e la sua assistente Dorina Remington, ambedue del tribunale di New York.

Cummings, si sentì meno confuso, più inserito nella realtà e si organizzò mentalmente per esporre in maniera corretta e precisa le sue dichiarazioni di totale innocenza.

Campbell lo incalzò subito con una domanda velenosa:

-Perchè mai Mr. Roughoaks avrebbe tentato di incastrarla, come lei ha anticipato alla Polizia di Hoboken, nella fattispecie i detective Bovaro e Miller?-

-Perchè non è possibile che il giorno avanti -rispose Peter-  io sia chiamato da Mr. Roughoaks per parlare normalmente di lavoro e la mattina dopo sia arrestato. Perchè ne sono sicurissimo c’è lo zampino vigliacco e subdolo del genero e della figlia e, a seguire, perchè obbligato, del fratello di lei Donald.-

- Si spieghi meglio e con parole chiare-

 - Loro temevano che io, in qualche modo, potessi sostituirli nel lavoro e nell’ interesse di Mr. Roughoaks. Erano invidiosi, viscidi, cattivi, ma questo loro comportamento lo mostravano lontani da Mr. David Harold; quando c’era lui mi trattavano come un dio, appena lui si allontanava tessevano il grande tranello contro di me, assoldando anche un detective newyorkese che più volte entrò nel mio ufficio, a perquisirlo, senza mandato. Era una tresca per farmi fuori. Mr. Roughoaks dimostrava davanti a tutti di tenere più a me che a quei due sordidi personaggi-.

-Porti qualche esempio, per essere più esaustivo.-

-Per esempio, Vostro Onore,  Mr. Roughoaks era frequentemente  a casa mia ogni volta che passava per Marrion Street, cioè dove abito io, portando quasi sempre un presente alla mia famiglia. Spesso uscivamo insieme dall’ azienda per cose nostre e figlia e genero non appena soli sparlavano ai dipendenti di queste nostre strane e inopportune assenze : ma non era D.H. Roughoaks il presidente? Perchè mai avrebbe dovuto giustificarsi per la sua momentanea assenza. Le anticipo anche la risposta alla sua domanda, egregio sig. Giudice, uscivamo per andare al New Garden Bar a gustare dei deliziosi sandwich italiani o a far shopping in un nuovo store di Hoboken che vendeva solo abbigliamento e accessori italiani, di cui Mr. Roughoaks andava pazzo. Tutto qui, eccellenza, tutto qui!-

Arrivò la domanda fatidica da parte del Giudice Campbell:

-Come mai hanno asserito- intendo la famiglia al completo - che lei ha trafugato tutti quei dollari? Un milione di dollari, dicono loro!-

-Perchè non avendo avuto altri  motivi per incastrarmi decisero di farmi fuori, in combutta con quel detective, attraverso un specie di inganno giuridico, usando la giustizia per addossarmi colpe mai commesse. Ma non sarebbe stato più semplice, dal momento che io secondo loro intascavo irregolarmente tutti quei dollari, prendermi con le mani nel fatidico sacco? Tendermi un tranello e beccarmi col malloppo. Sicuramente hanno usato anche questo espediente, ma evidentemente senza mai riuscire ad avere la minima prova contro il sottoscritto: non ne trovavano semplicemente perchè non commettevo nulla di scorretto o illegale. Anzi, signor giudice, chi deve ricevere del denaro sono io, al quale mai hanno corrisposto le commissioni che da anni mi promettevano per i tanti clienti presentatigli, ma in particolar modo per il cliente giapponese. Il furto lo hanno commesso i Roughoaks, non io. In più aggiungo, tanto me lo avrebbe chiesto, che quelle spese che Mr. Roughoaks avrebbe dovuto sostenere per gli inesistenti servizi  delle forze dell'ordine, da me inventati, quando e sottolineo quando io mi dimenticavo di comunicare a Mr. David Harold che avevo messo a posto le cose e che non c’era più bisogno di esborsi, e lui aveva già il contante in mano questo, a sua volta, non veniva da me preso ma, depositato, visto che il problema era risolto, nella cassaforte di cui solo poche persone conoscevano la combinazione: io non ero fra queste!

- Certe volte -proseguì Cummings-  Mr. Roughoaks, insisteva per darmi qualche dollaro, per ringraziarmi della mediazione con le varie autorità distrettuali, e a quel punto ero obbligato a non rifiutare... e sa dove spendevo questi dollari?- in regali per lui o la sua famiglia, aggiungendo sempre del mio perchè ciò che acquistavo era più costoso della somma ricevuta. Sfido chiunque a trovare sul mio conto corrente presso la The National Bank of Hoboken l'importo che mi accusano di aver sottratto furtivamente. Io  non posseggo conti all’estero, la mia e unica banca è quella, controllate pure se già non lo avete fatto.-

-Mi spieghi perchè ha utilizzato questo, chiamiamolo, escamotage delle forze dell’ordine per aiutare, come dice lei, Mr. Roughoaks. Sia ben preciso, la prego; continui come ha fatto fino ad ora-

-Sarò chiarissimo. Un giorno mi telefona al cellulare Mr. Roughoaks e tutto concitato mi racconta che sta masturbandosi via video-chiamata con una tale Margaret, conosciuta giorni prima al tennis club. Lui usa il fisso del suo ufficio e vuole che io assista uditivamente alla sua smargiassata telefonica. Sento di tutto, da "porca biondona fammi sborrare", a "un cazzo così duro te lo sogni"; da "ti spacco il culo" a "muhhhhhh, dimmi che sei la mia vacca e io il tuo toro da monta!" Fino al momento finale dell’ orgasmo sulla scrivania dell’ ufficio.

-Se da una parte mi faceva anche ridere, pietosamente, dall’ altra ero sinceramente preoccupato che lo sorprendessero in quella situazione così imbarazzante. Allora, riattaccavo, e subito dopo, sempre dal mio BlackBerry,  inviavo una mail ad un indirizzo di posta creato all’ uopo con il quale fungevo da dirigente della AT&T che, in fase di controllo, si era reso conto che il numero del cellulare, appartenente a Mr. Roughoaks, aveva avuto una conversazione di circa 15 minuti  con un numero telefonico di intrattenimento porno-hard e che la società telefonica era obbligata a denunciare l’ episodio alla procura distrettuale di Hoboken per i relativi e obbligatori controlli, dal momento che quella linea apparteneva ad una rete pirata.

-Sì, Mr. Roughoaks utilizzava i numeri erotici e poi si inventava che erano ragazzotte conosciute qui e là.  Lo informavo della mail e aumentavo la dose dicendogli che c’era da pagare una multa salata, non superava mai i 500/700 dollari, al mio intermediario che annullava la richiesta della compagnia telefonica.

-Spero, Vostro Onore, di essere stato chiaro e aggiungo, che prima che lui si procurasse questo denaro io simulavo una telefonata, con un pezzo grosso, il quale mi informava che la penale era stata cancellata.-

L’ interrogatorio finì, dopo qualche intervento dell’avvocato di Peter, con l’invito a riconsiderare i fatti e a emettere un mandato che agevolasse il suo assistito, vista la collaborazione e il comportamento tenuto nell’ udienza di garanzia, con la sospensione della carcerazione o al limite con gli arresti domiciliari.

Il giudice prese nota della richiesta dell’ avvocato Bourke e lasciò la stanza con la sua collaboratrice.

 

Ottavo giorno in carcere.

 

Dopo l’interrogatorio da parte del Giudice Martin Campbell, Peter, sembrò un’altro. Quanto da lui reso nella deposizione del giorno avanti lo rese più sicuro di sè, era convinto che il magistrato avesse creduto a gran parte di quanto da lui dichiarato, ora non restavano che le indagini, agli inquirenti il compito di confermare o meno quanto testimoniato dai Roughoaks. La procura distrettuale aveva in mano tutto, deposizioni e materiale sequestrato, doveva solo procedere con approfondimenti certi in maniera che l’analisi indagatoria portasse a galla una indubitabile e sacrosanta verità.

 

Nono giorno in carcere.

 

Peter era in fremente attesa del mandato di scarcerazione e ogni volta gli si avvicinava un secondino scattava in piedi pronto ad accogliere la lieta novella. Ma anche il nono giorno non portò buone nuove e Cummings, preso da una sorta di disperazione, si badi bene una disperazione sopportabile non come quella dei primi giorni in cella, si coricò -senza cena- prima del previsto.

Il sonno fu agitatissimo e ben presto si trasformò in incubo spaventoso.

Si ritrovò in una spettrale foresta, oscurata da alte e impervie montagne e circondata ad ogni passo da balze scoscese ricoperte di boscaglia innaturale. Il silenzio totale era rotto dal sibilo del vento che sembrava mugugnare parole terrificanti e indefinibili. Improvvisamente al silenzio si sostituì il rumore di onde che si infrangevano su una scogliera simile a rupe visibile in lontananza e un urlo agghiacciante scosse Peter in tutta la sua apprensione. Il cielo senza stelle era coperto da un terrificante e minaccioso drappo funebre di nubi nerastre che offuscavano la luce lunare.

Più camminava e più Peter si addentrava in una selva orrida e indefinita, ostile e inaccessibile per il viscido terreno. Un luogo senza animazione solo gremito da alberi altissimi che oscuravano la vista del cielo.  Inaspettata si presentò, sulla sua destra, una densa macchia che tracciava un calle dal passaggio faticoso e disagevole.

Peter Cummings seguì, quasi trascinato da una forza soprannaturale, quel sentiero che in breve tempo lo consegnò ad un luogo cupo e sinistro. Improvvisamente un’enorme sagoma scura gravò su di lui chiedendogli il perchè di questa inattesa visita. Mentre stava per rispondere, Peter, venne interrotto da tre Ninfe che lo esortarono a fuggire, ad andare via, lontano da quel luogo maledetto, a non rispondere all’ orrida ombra che presto si sarebbe trasformata in materia vivente. Queste dee minori lo fecero sobbalzare quando gli rivelarono che se avesse oltrepassato quella sagoma informe lui sarebbe stato sbalzato nel regno dei morti, nell’ inferno.

Peter, terrorizzato, chiese alle ninfe quale fosse la via più celere per tornare indietro, ma esse non poterono rispondere perchè già divorate dall’ ombra fattasi materia. La sua forma assomigliava vagamente a quella di un uomo dal volto enorme, muscoloso e con i denti blu, con capelli radi da cui spuntavano due corni, dagli occhi color fuoco, completamente ricoperto di peli di cinghiale e provvisto di un registratore dove incidere la conversazione con Peter.

Una voce cavernosa lo invitò ad avvicinarsi, a parlare, spiegandogli che il vero male erano le Ninfe e non lui. Lo volle attirare, con lusinghe e promesse, a sè. “Avvicinati, senza paura, mio caro Peter, vedi quell’auto è tua, vedi quella villa è tua, e quel castello che io farò apparire sarà sempre cosa tua. Avvicinati e sarai ricchissimo, mio caro”.

-Peter Cummings, Peter Cummings- gridò più volte il secondino svegliandolo di soprassalto dal suo infausto sonno .

-Vada entro dieci minuti all’ ufficio matricole, riportando tutto ciò che gli è stato consegnato al suo arrivo: intendo, lenzuola, coperta, piatti e posate. Si muova-, concluse la guardia carceraria.

 

Decimo giorno in carcere.

 

Peter era così euforico che gli cadde per ben due volte il fardello di cose da riconsegnare. Arrivò puntualissimo all’ ufficio matricole e qui un funzionario del carcere gli fece leggere il mandato di scarcerazione emesso dal giudice Campbell. Lo firmò per presa visione e ne trattenne una copia; non era ancora libero, ma almeno si accingeva a tornare a casa, sebbene agli arresti domiciliari.

Si riprese le sue cose, indossò gli abiti depositati giorni prima, chiamò un taxi e si diresse verso casa.

Nell’ abitacolo lo accolse un’ inaspettata quiete e il rumore del traffico gli sembrò una melodia suonata da arpe angeliche.

Il sole ancora non era visibile, ma le nubi che lo nascondevano parvero a Peter di una luminosità infinita. Volle allungare il percorso per passare da Central Park e quando la grande macchia verde si presentò ai suoi occhi gli sembrò quasi irreale, abituato com’era a vedere la luce da una piccola finestrella del bagno della prigione.

La sua mente spaziò in varie successioni di istanti accompagnata dai ricordi più teneri consumati in questo immenso parco. Il primo bacio alla ragazza del cuore, lo scroscio tenue di un ruscello in lontananza, i tentativi disperati di acchiappare uno scoiattolo, i cinguettii poetici di minuscoli uccelli migratori.

Gli parve di tornare ai tempi che furono, agli amici del basket, ai suoi cari nonni che gli raccomandavano di stare attento, ma tutto recintato dalla meravigliosa e immortale natura.

Volle scendere dall’auto per calpestare quell’erba che lo vide tante volte felice e per vagare con l’immaginazione su cosa avrebbe potuto fare in quell’istante colmo di libertà. Si accorse, pur essendo immerso nei suoi fantasiosi progetti, che un piccolo passerotto gli stava insistentemente volando ad altezza del suo braccio destro, quasi a volersi posare su di esso...

Gli sembrò bizzarro che il minuscolo volatile non avesse soggezione di lui, ma anzi rimanesse sospeso sempre ad altezza di braccio quasi ad osservarlo, quasi a volergli dire bentornato alla vita, ben-rivisto in questi luoghi che ti videro felice e spensierato, bentornato al supremo bene che è la libertà. Il passerotto all’ improvvisò volò via spaventato dalle grida del taxista che sollecitava Peter a tornare in auto. L’uomo però attese che il suo minuto amico si dileguasse fra gli alberi dell’ immenso giardino, respirò a pieni polmoni tutti quegli odori e quei profumi che lo circondavano e se ne tornò sul taxi.

In lontananza si intravedeva già casa e piccole sagome di persone sembravano attenderlo davanti alla stessa. Nell’ avvicinarsi distinse le figure dei suoi genitori, di sua moglie e di suo figlio. Gli occhi cominciarono ad inumidirsi e l’ abbraccio ai suoi cari fu qualcosa di molto commovente.

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    3 commenti per questo articolo

  • Inserito da Vince123 il 30/12/2011 21:12:31

    Che storia! Siete grandi

  • Inserito da Valeriaprottisiniscalchi il 29/12/2011 22:11:41

    Melani ma dove e' stato fino a oggi. Che sorpresa!

  • Inserito da Clelia 2009 il 29/12/2011 10:30:30

    Capolavoro! Attenti ve lo copiano

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