Editoriale

La rinuncia papale, coraggio o fragilità?

Già Paolo VI aveva parlato del fumo di Satana penetrato sotto la cupola di S.Pietro, forse Benedetto XVI ha visto le fiamme

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

unque, siamo testimoni di un evento storico che non si verificava da secoli: l’abdicazione del Successore di Pietro, Benedetto XVI. La notizia ha colto di sorpresa tutti, dai porporati riuniti in Concistoro - che l’hanno appresa dalla viva voce del Papa, nella lingua liturgica - fino al più umile dei fedeli, sgomenti all’annuncio immediatamente diffuso da tutti i mass media. E’ vero: già da tempo, alcuni fra i più avveduti e sottili addetti all’informazione – Antonio Socci e Giuliano Ferrara fra i primi – ne avevano adombrato la possibilità; tuttavia, il fatto, così raro nella millenaria storia della Chiesa, sembrava confinato nelle brume di tempi remoti e corruschi, agitati da Imperatori e anti-papi.

E’ ancora presente negli occhi e nei ricordi di tutti quella immagine, colta dalle telecamere durante le solenni esequie di Giovanni Paolo II, del colpo di vento – il soffio del Paracleto? – che sfoglia le pagine del Vangelo posto sulla bara del Pontefice, sul sagrato della basilica di S. Pietro. Ora, nessuna folata di vento, nessun colpo del destino ha privato la Chiesa del suo Massimo Pastore; soltanto l’età “ingravescente” e, con essa, la sopravvenuta fragilità e inadeguatezza ai gravosi compiti di quell’Alto Ufficio, è stato detto, hanno indotto il Papa ad abbandonare il Santo Soglio.

Si affastellano gli interrogativi: è stata una decisione coraggiosa? È stata una manifestazione di debolezza? Ci sono, dietro le spiegazioni ufficiali, retroscena indicibili (ah, la nostra abitudine alla dietrologia!)? E, naturalmente, chi sarà il Successore, quale il suo profilo, quale strategia apostolica intenderà porre in essere? Come sarà la convivenza con il suo Predecessore, che sarà ospitato – almeno inizialmente – in un convento nei Giardini Vaticani (ecco un altro fenomeno che avevamo trovato soltanto nei manuali di storia)? Difficile rispondere a caldo, quando ancora risuonano le parole del Papa che, senza congedarsi dalla vita, ha comunque lasciato un vuoto tra i fedeli, specialmente in quella Roma, di cui è il Vescovo.

Dalla proclamazione della Sede Vacante, dopo quel fatidico 28 febbraio, si avvieranno le procedure di convocazione del Conclave che, presumibilmente entro la Pasqua, porterà alla elezione del nuovo Pontefice romano. In un simile frangente, appaiono davvero miseri i commenti e le preoccupazioni circa le possibili ricadute della rinuncia papale sulle vicende della politica, soprattutto italiana, colta di sprovvista nel mezzo di una caotica campagna elettorale.

Verranno dunque le valutazioni a freddo sul segno lasciato da questo Pontefice, chiamato a raccogliere la difficile eredità di un grande Papa, che fu anche un grande Combattente della fede. Fin dai primi momenti del suo regno, Benedetto XVI si è presentato come raffinato uomo di cultura, non soltanto teologica, nel solco della tradizione ecclesiastica che annoveraalcuni fra i più importanti pensatori della nostra civiltà: basterà ricordare i suoi discorsi tenuti a Ratisbona o dinanzi al Bundestag, le sue encicliche, i suoi libri sulla figura di Gesù, per riconoscerne il valore intellettuale e morale e la sua figura di alfiere della conciliazione fra Ragione e Fede, sulla scia di S. Tommaso d’Aquino. Benedetto è stato propugnatore del dialogo interreligioso, ma senza mai indulgere a cedimenti o ambigue commistioni, (ad esempio, nei rapporti con l’Islam e con l’Ebraismo, al punto da rinfocolare polemiche interessate che, come nel caso di Ratisbona, sono arrivate ai più ingenerosi attacchi personali); soprattutto, ha individuato nel relativismo, gnoseologico e morale, la radice di tutti i mali di oggi. Difensore delle tesi conciliari, di cui era stato fra i principali elaboratori, ha avuto la forza, l’amore e la lucidità del Pastore, nel ricondurre all’ovile gli intransigenti seguaci di Monsignor Lefebvre, che a quel Concilio si oppongono. Non ha temuto le più dure critiche portategli dalla politica laicista, quando si è trattato di difendere la vita, dalla sua aurorale manifestazione del grembo materno fino alle propaggini terminali delle più crudeli patologie.

Si è trovato a confrontarsi con i germi della corruzione, dell’ambizione, della slealtà fin nell’intimo della Chiesa, e se ha avuto parole dure nei confronti dei preti che si erano macchiati di pedofilia, ha saputo chiedere perdono non già per le colpe di una Chiesa remota, bensì per quelle attuali. Ha poi accusato il colpo delle persecuzioni dei cristiani in tutto il mondo, delle manovre sotterranee di componenti della Curia di Roma, della persistente opacità che avvolge la Banca Vaticana. Possiamo immaginare le sofferenze di questo papa mite e colto, e comprenderle, ma scorrono davanti agli occhi della memoria le immagini di un’altra sofferenza, anche fisica, sopportata dal suo Predecessore, con una forza d’animo e uno spirito di sacrificio che forse avremmo voluto vedere anche in papa Benedetto, così amato dai suoi fedeli e perfino da tanti “atei devoti”.

Così, più che ai remoti precedenti di Celestino V, nel 1294, e di Gregorio XII, nel 1415, indotti alla rinuncia al trono di Pietro da manovre e pressioni politiche, nel nostro immaginario di moderni affiora il volto di Michel Piccoli, pontefice che ripete il “gran rifiuto” subito dopo l’elezione, nel film di Nanni Moretti “Habemus Papam”; ma in quel caso si trattava di una malattia, tutta moderna, della psiche, da ricondurre all’infanzia, secondo la scuola freudiana. Nulla di paragonabile, a quanto è dato sapere, con il caso di papa Ratzinger.

Viene allora da chiedersi, specie di fronte a certe valutazioni della stampa – “una decisione da laico”!... – cosa ne è della fiducia nello Spirito Santo? Del resto, fin dal provvedimento di Paolo VI, che fissò al limite dei 75 anni il termine della funzione pastorale dei Vescovi, nella stessa Chiesa sembrò affiorare una preoccupazione troppo umana. Si apre ora uno scenario caricodi insidie e di sfide, dalle Diocesi più lontane ed esposte ai rischi di una difficile convivenza con l’Altro, fino a quelle insediate nel cuore di una civiltà opulenta, ora tra le grinfie di una crisi materiale e morale senza precedenti.

Il fumo di Satana, ebbe a denunciare Paolo VI, è penetrato sotto la cupola di S. Pietro e ora sembra assumere specialmente la forma delle pressioni concentriche di esponenti della cultura laicista sulla morale sessuale – struttura della famiglia, adozione di contraccettivi anti-AIDS, matrimoni omosessuali – e sulla libera gestione della vita affidata ai singoli, senza dimenticare il rovello di quel relativismo che tanto affligge papa Benedetto. Non vorremmo che con lui, stesse per fare un passo indietro anche la vecchia Europa, culla della religione cattolica, apostolica e romana. In un simile contesto, l’immagine passata dalle televisioni di tutto il mondo, del fulmine che colpisce il culmine della Cupola a cui guarda tutta la Cattolicità, incute lo sconcerto degli avvertimenti simbolici.


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