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di Simonetta Bartolini

Renzi cavallo di Troia per portare  Prodi al Quirinale

Andrea Mancia e Simone Bressan, su "L'Opinione",  sostengono che Matteo Renzi sindaco di Firenze, voglia le primarie per ottenere una leadership più ampia, il comando sulla summa Pd -Pdl che avrebbe il pregio (o il difetto) di togliere riferimenti e clima da stadio all’elettorato.

Questo quadro spiegherebbe i messaggi filo destra del Renzi, che fanno addolcire pure l’occhio merlinesco di Sechi.

In realtà Renzi, non per avidità, ma per suggerimenti di altri timorosi di perdere l’occasione, punta veramente a vincere le primarie. Renzi è un giovane Dc che ripercorre la strada di un conterraneo Lapo Pistelli e di un Gasbarra. Non dice nulla di nuovo ma ripercorre il tracciato dei Letta junior, Parisi, e soprattutto Prodi. Mercato unico Ue, Nato, liberalismo sociale, etica, merito, ambientalismo sono gli item di un programma già visto.

Le primarie di Renzi lanciano il Quirinale per Prodi, che nel 2013 avrà 74 anni. (Napolitano al momento dell’elezione a Presidente nel 2006 ne aveva 81). Renzi può ben volere, con i suoi giovani barbuti, rottamare perché non distrugge nulla del suo. Nel Pd di grandi democristiani vecchi e nuovi non ce ne sono più: svaporati i Marini, i de Mita, i Pomicino, i Castagnetti; non ci sono più gli ulivisti Bordon, Parisi, Rutelli.

C’è la Bindi con il tempo divenuta insopportabile ai centristi Pd. Quindi Renzi rottama con la benedizione esterna di Prodi che tramite lui potrebbe consumare la vendetta sui gemelli postcomunisti, Max & Walt, D’Alema e Veltroni.

Non a caso il fiorentino alla fin fine intende eliminare la vecchia guardia postPci, oltre ad una pasionara, a quello assimilabile. Che gli vada bene o male, resterà sindaco di Firenze. Non per niente è un Dc. Renzi, al contrario di un Chiti, di un cacciato Dominici, di un Ventura, è il primo leader di sinistra toscano che riesca a farsi beffe dello Stato Maggiore romano.

Prima la scomunica romana orientava i ciompi compatti contro il capo locale. Stavolta invece Renzi è riuscito a mettere a suo vantaggio anche il campanilismo toscano. C’è riuscito perché il partito, per volontà del romano Max. è stato dato in mano ad un altro campione regionale, l’emiliano Bersani.

E’ giusto dire che il Pd si basa sul voto intercettato da sindacati, cooperative e pubblico impiego. A questi bisogna aggiungere però due altri attori, Toscana ed Emilia-Romagna, i cui popoli, 8,5 milioni, votano a scatola chiusa per i candidati Pd.

Ci sono eccezioni, come Prato ed Arezzo, Grosseto e Parma. La norma è però un regime in cui porti, commercio, industria, coop, banche, istituzioni , media girano nelle mani di un gruppo di persone, stile DDR dirigista ed efficiente. Un regime che si accontentava del potere locale, abituato a ubbidire alle politiche oscure del centro. Che uno dei suoi uomini sia stato chiamato alla segreteria dallo stesso centro romano per manifesta incapacità e per evidenti sconfitte dei dioscuri Max & Walt, non solo ha incrinato la credibilità dei figli scelti di Berlinguer. Soprattutto ha scatenato la rivalità nella grande area rossa centrale, che si è decisa a scendere in campo, non perché scelta, ma perché è quella che ha i voti.

Bersani e Renzi, rappresentano Emilia Romagna e Toscana, due regioni borghesi e ricche, due regioni dove i comunisti non hanno mai avuto bisogno dei Dc per governare, dove moltissimi non hanno capito perché sia stato cambiato nome al Pci. La loro bagarre demolisce la linea costitutiva delle segreterie romane e distrugge il senso del Pd, come partito del compromesso storico. Renzi, uomo d’apparato in Toscana, rivendica alla luce del sole, l’impostazione centrista e liberalsociale del suo Pd di governo; e sfida Bersani a smentire che il Pd  di governo emiliano non sia uguale. La rottamazione renziana cadrebbe dunque su un insieme di slogan, idee guida ed utopie che i post Pci usano elettoralmente per mai applicarle nella realtà delle cose.

Con Renzi il Pd ammette la sua natura centrista. Di più, condivide molto della piattaforma berlusconiana, il che non è una novità dal punto di vista degli ulivisti di Prodi. Bipolarismo, elezione diretta del Quirinale, ridimensionamento della giustizia sono gli aspetti condivisi da parte degli uomini della seconda repubblica, Berlusconi e Prodi.

Renzi quindi non fa l’occhiolino a destra ma riprende la lotta dei prodiani rispetto ai postcomunisti puri che invece preferirebbero il proporzionale come Casini ed il logorante uso politico della giustizia. Se non fosse in realtà un partito centrista che incassa i voti Cgil per poi disattenderli, il Pd non avrebbe mai potuto sostenere un governo da Destra Storica come l’attuale.

L’aspirante premier Renzi spera nell’investitura del futuro Presidente Prodi. Le due aspirazioni si sostengono a vicenda per ottenere almeno o Palazzo Chigi o Quirinale. In subordine la riconquista, da parte del vertice paracattolico, del Pd, in nome delle possibilità di vittoria, arrise due volte al centrosinistra con Prodi. Ovviamente, Renzi evidenzia, sotto la patina della rottamazione, senza infingimenti, la volontà di distruggere l’antico vertice Pci.

In questo è almeno in parte, cosciente o meno, berlusconiano. Per l’elettorato di centrodestra e per il popolo tutto, la fine del vertice Pci è ottima cosa. Non lo è per i quadri vip Pdl che, senza quel vertice di Max & Walt, sembrerebbero inutili. Strategia efficace sarebbe quella del Cavallo di Troia: Un Renzi, marchingegno ulisseo, potrebbe chiudere per sempre la pagina Pci dalla storia nazionale, spaccando il Pd in centristi e massimalisti vendoliani. A quel punto bisognerebbe evitare che dalla pancia del cavallo uscisse l’elezione di Prodi al Quirinale.

Giuseppe Mele

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da kevin durant shoes il 17/03/2022 04:32:08

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