La forza delle parole

Si suicida solo chi è già morto

Riconquistiamo la vita attraverso la poesia e la bellezza per non morire ogni giorno nel culto del dio materialismo

di Giulia Bartolini

Si suicida solo chi è già morto

Anna Karenina

Anna Karenina si suicida per amore. Si getta sotto un treno per l'unica vera universale ed eterna fiamma che brucia l'essere umano: l'amore.

Non ho intenzione di parlare di ciò che attende i suicidi nel giorno del giudizio universale, al di là delle porte dell'averno. Dovrei essere Dante o Dio per farlo, ed è inutile che sottolinei la mia differenza con entrambi. Eppure desidero mettere un punto su ciò che spinge la donna a compiere l'estremo gesto, la passione, il suo essere umana.

Ora proiettiamoci In avanti: 2011, 2012. Il suicidio per denaro, o meglio per la MANCANZA di denaro. Metterò subito le mani avanti dicendo che non voglio fare (assolutamente) di tutta l'erba un fascio, che non desidero affermare che anche nei secoli passati non vi siano stati individui capaci di uccidersi per povertà eppure ciò che mi spaventa, e ciò che dovrebbe spaventare anche voi è che quello di un uomo incastrato nei debiti, ammazzato da un mutuo (perché è giusto dire ammazzato), non è il suicidio di un povero, ma quello di uno schiavo, di un non-libero. Sto parlando di poesia.

La poesia non è la sequenza di eterne parole che ci permette di costruire il senso di ogni gesto (anche se questa definizione ne è parte); essa è il respiro presente in ogni azione umana. Non inneggerò al suicidio, n'è al dolore, ma alla pura verità che in un suicido capitalista non v'è poesia.

Non desidero offendere nessuno n'è tantomeno permettermi di giudicare poiché non sono in grado di comprendere fino un fondo l'atto pratico, eppure ciò non mi interessa. Questa società ci ha incastrato, imprigionato, rinchiuso in una gabbia fuori dalla quale è sempre inverno, tutto ciò che facciamo è improntato ad un futuro, ad un risparmio ad una necessità di costruire e di innalzare così tanti palchi che quando crolla anche sono uno di essi siamo degli uomini finiti. Solo parole? Forse; ma questa società è stata abituata per troppo tempo a sentirsi dire che le parole non contano, che sono solo le azioni ad essere importanti , che parlare è facile, agire richiede più impegno.

Il carpe diem è diventato un tale luogo comune che ne abbiamo perso la verità, la giustizia. Parlare NON è una perdita di tempo. O meglio parlare BENE, e non è affatto facile quanto agire senza pensare. Le due facce della medaglia vanno unite. La poesia va riconquistata, il suicidio, religione o non religione, errore o meno deve essere legato a ciò che veramente ti incastra nella vita a ciò che tu stesso decidi che ti potrebbe uccidere. Il suicida non è colui che si ammazza perché la società prima o poi lo ucciderà. Egli è colui che si ammazza perché dentro è già morto. Ma lo ha deciso lui.

Questo non vuole essere uno sproloquio a difesa di chi si toglie la vita, nè incito alcun individuo a farlo. Voglio solo dirvi che siamo incastrati e dobbiamo stare attenti a non lasciare la stretta salda che abbiamo sulle sbarre di questa gabbia. Ci cascano le stelle addosso ancora e invece di guardare in alto per vedere quelle che ancora sono vive, cerchiamo a terra quelle morte, gli inverni passano e noi gli accettiamo e basta. Bisogna combattere. Perché la poesia non è morta, perché parlare non è inutile, perché a questo mondo non vale solo il domani, il dovere e ciò che bisogna fare ma anche perché è necessario o meno farlo.

Altrimenti ci suicideremo ogni giorno senza accorgercene, altrimenti  l'inverno fuori da quella gabbia diventerà più gelido ogni minuto. Solo belle parole? Le belle parole servono. E' arrivato il momento per ognuno di noi di cominciare a farsene una ragione.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da una lanterna nel mondo il 04/09/2012 20:45:20

    Il suicidio è un fatto tragico di cui, penso, dovremmo sempre più abituarci. Decidere di privarsi della vita non è certamente piacevole per nessuno, ma c’è chi ha il coraggio di farlo e chi no, il più delle volte spinti da un’estrema disperazione.. I motivi che portano all’estremo gesto sono molto diversi, essi possono andare dall’emularsi per difendere valori in cui si crede, giù sino alla semplice motivazione di una scura vita di solitudine. Oggi la mancanza di certezze per un futuro dignitoso è un serio motivo che spinge molti al suicidio. Tutti i candidati al suicidio sono sostanzialmente vittime di una società insensibile, portata ad un consumismo estremo, quello dell’usa e getta, amore compreso. Chi arriva al suicidio, almeno per la fascia di candidati con cultura medio alta, è una persona che non è morta dentro, anzi è più vive di coloro che quotidianamente continuano a vivere la solita vita fatta di abitudini ripetitive. E’ una persona che avendo sviluppato un’elevata sensibilità si ritrova essere un “pesce fuor d’acqua”. Vede che la quotidianità della vita non lo appaga più; non trova alcun motivo per lottare, essendosi dissolto ogni ideale, religione compresa. Oggi la profonda crisi della religione sta creando molti candidati al suicidio. Essa dovrebbe essere l’ultimo baluardo a cui aggrapparsi, ma non è più così. E’ una religione rimasta al medioevo mentre la scienza ha fatto grandi passi in avanti, togliendo molti veli di mistero alla religione. La fede cieca che tanto si vorrebbe far passare non è più sostenibile, e per primi sono gli stessi religiosi che invece dovrebbero infonderla. Il suicidio è sostanzialmente una fuga da uno stato di forte malessere che non si riesce più a porvi rimedio. Vediamo per esempio i malati terminali. Che senso ha continuare soffrire a causa di un accanimento terapeutico che non porta alcun sollievo alla sofferenza ma che diventa in realtà una forma di tortura inflitta ad una persona non più in possesso delle normali qualità psicofisiche di un uomo. Il suicidio è un termometro della società ed è giunto il momento di ripensarla completamente, religioni comprese.

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