San GIovanni

Salomè e Erodiade trasformate in streghe per ricordare la decapitazione del Santo

Tutte le tradizioni legate alla festività del 24 giugno: dalle leggende alla cucina

di Marina Cepeda Fuentes

Salomè e Erodiade trasformate in streghe per ricordare la decapitazione del Santo

Faceva molto caldo quella notte sulla grande terrazza del palazzo di Erode Antipa. Il Tetrarca di Giudea si annoiava in mezzo ai suoi convitati e pregò la figliastra Salomè di danzare per lui: in cambio avrebbe esaudito qualsiasi suo desiderio. Dietro consiglio della madre, Erodiade, la fanciulla, coperta soltanto da sette candidi veli, chiese la testa di  Giovanni il Battista.

Quando arrivò  su un vassoio d’argento una grande nuvola nera coprì la  luna piena che illuminava la  notte e le stelle scomparvero lasciando la scena al buio.  Erodiade accostò le labbra irriverenti a quelle ancora calde del Battista e improvvisamente un raggio di luna squarciò l’oscurità illuminando le due donne mentre dalla bocca del profeta fuoriuscì un profondo e gelido soffio che le travolse spingendole nell’aria. D’allora, narra la leggenda, Erodiade e Salomè vagano per il mondo come streghe, cariche di catene, spiando la loro colpa: aver ucciso colui che annunciava l’arrivo della  Luce del mondo, il Cristo.

Questo raccontino medioevale ha dato luogo a una lunga serie di credenze e usanze connesse alla festa di San Giovanni Battista del 24 giugno: la tradizione vuole che la notte della vigilia Erodiade, Salomé e la dea Diana con il loro stuolo di streghe tra cui le Arpie, la Papessa Giovanna, le Moire, la divina Ecate e altre, s’incontrino a mezza notte per il gran sabba sotto un noce secolare situato a Benevento. E si favoleggia che per dispetto passavano volando sopra la basilica di San Giovanni in Laterano di  Roma dedicata al Battista: “come l’aria e come il vento, portami al noce di Benevento”, ordinavano  alle loro scope magiche.

 I fedeli aspettavano questo passaggio scrutando l’orizzonte e intanto si danzava, si cantava, si beveva e si mangiava. E qualcuno, con il mento appoggiato a un ramoscello a forma di forcina, assicurava di aver visto passare una strega volando; e nelle case temporaneamente abbandonate erano stati escogitati molti sistemi per allontanarle: scope incrociate dietro l’uscio, corni rossi e trecce d’aglio appesi alle finestre e manciate di sale davanti alla porta d'ingresso in modo che la strega, curiosa come tutte le donne, fosse costretta a contare i granelli fino all'alba.

Il romanista Giggi Zanazzo ricorda questa usanza in una delle sue divertenti poesie:

“Ier'a sera cenassimo a bon’ora.

Doppo mi’ nonna, che’ na donna santa,

messe la scopa e sverzò tutta quanta

la sajera der sale là de fora”.

 

Davanti alla Basilica la folla occupava ogni centimetro di prato con decine di tovaglie distese sull’erba per la tradizionale cena della notte di San Giovanni con lo scambio rituale delle lumache. I romani portavano, per scongiuro, l’aglio, la spighetta, il biancospino, o altre erbe magiche contro le streghe che, d’altra parte, venivano respinte dal fracasso che saliva dai prati circostanti la Basilica: armati da campanacci, triccabalacche, putipù, trombette e mortaretti  producevano infatti un gran frastuono che faceva scappare gli spiriti.

Ogni famiglia portava il “callaro” con le lumache al sugo: un’enorme pentolone pieno di squisite lumache di vigna, le cosiddette  “rigatelle” col guscio listato, oppure le “monachelle” più piccole e con il guscio bianco.

I romani ne erano talmente ghiotti che addirittura adoperavano il nome dialettale, “ciumachelle”, per vezzeggiare le ragazze. E nei versi di una filastrocca romanesca c’era persino  la ricetta per cucinarle:

Esci, esci corna

fja d'na donna,

esci, esci, che te torna;

c'è la sora Menicuccia

che cià pronta la mentuccia

ajo, ojo e peperoncino,

una presa di sale fino,

quattro alici, un pummidoro,

te prepara un sugo d'oro.

Sarai magnata ar chiaro di luna

perché le corna porteno fortuna!

Un proverbio assicura infatti che “per ogni corna di lumaca mangiata la notte di San Giovanni una sventura viene  scongiurata”. D’altronde in tante credenze e riti di tutto il mondo le lumache hanno una funzione beneaugurante, sono simbolo di fertilità e conciliano le amicizie, gli amori e i legami di comparatico.

Perciò in molti altri luoghi d’Italia esistono piatti tipici a base di lumache per festeggiare il santo. Ad esempio, a Formia, nella provincia di Latina, fin dal Trecento i piatti tradizionali per la  celebrazione del Battista sono  le lumache e il capretto: “A Santu Guvanie gliè carne di zappe e ciammarrucchieglie” (“Per San Giovanni c’è carne di capra e lumachelle”), afferma un detto del luogo. E a Monterotondo il 24 giugno si organizza in piazza la Ciummacata  o “Sagra delle lumache”, così come a Varazze, in provincia di Savona.

In realtà, come svela Alfredo Cattabiani nel suo “Calendario” (Mondadori) l’antica festività del Battista della Roma papalina non era altro che la trasfigurazione cristiana di una festa pagana antichissima del solstizio d’estate: un periodo  ritenuto  sacro, di diretta comunicazione fra l’invisibile e il visibile grazie al sole che raggiunge nel cielo la sua massima declinazione positiva.

“Midsummer day”, giorno di mezza estate, lo chiamano gli inglesi perché lo considerano il cuore dell’estate nonostante che questa sia appena cominciata. La gente comune, come di solito accade, mescolò credenze pagane e  cristiane: si diceva  che Giovanni era simboleggiato dal sole estivo che sarebbe diminuito, sceso sull’orizzonte, mentre, inversamente,  il Cristo era simboleggiato dal Sole del solstizio invernale che sarebbe cresciuto sull’orizzonte.

Si trovò anche la giustificazione di tutto ciò nel Vangelo dove Giovanni diceva: “Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato  prima di lui. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire”.

Nelle credenze popolari dunque, la vigilia della festa, detta “Notte di San Giovanni”,  la più breve dell’anno; è ritenuta la notte magica per eccellenza, e tutto ciò che è connesso alla generazione e alla fruttificazione ne subisce un influsso positivo. 

In molti Paesi cristiani si è creduto che le erbe su cui era caduta la rugiada durante la notte del 23 giugno avessero virtù medicinali oppure tenessero lontani streghe e demoni. A tali scopi venivano raccolte nove erbe diverse che cambiavano secondo i luoghi; tra queste tuttavia era sempre presente l’iperico,“l’erba di San Giovanni” per eccellenza, chiamata nel medioevo “fuga dei demoni”: chi quella notte ne portava un ramoscello  poteva ritenersi al sicuro” così come chi raccoglieva i frutti rossi del ribes che vengono chiamati infatti  “bacche di San Giovanni”.

Si credeva che anche le streghe andassero nei boschi quella notte a cercare le nove erbe per i loro filtri e pozioni magiche, sicché un decreto del Sinodo di Ferrara del 1612 proibì quella e altre usanze: “Vietiamo e proibiamo che la notte di San Giovanni si raccolgano erbe di nessun tipo o vengano esposti alla rugiada panni, o venga essa raccolta, per evitare superstizioni dannose per le anime”.

Ma le usanze  della notte di San Giovanni rimassero ancora per secoli, finché furono represse sistematicamente dal governo italiano dal 1872, succeduto a quello del Papa Pio IX,  soprattutto a Roma,  perché quell’atmosfera carnascialesca era  considerata poco consona alla dignità della nuova capitale d’Italia.

Alcune però restarono, come la consuetudine di comperare il giorno di San Giovanni l’aglio, simbolo dell’abbondanza e amuleto contro streghe, vampiri e demoni, oltre che condimento indispensabile per le  tradizionali lumache. In Romagna si afferma infatti che  sarà povero tutto l’anno chi non lo acquista: “Ch’n compra i ai al  dè’ d San Zuan è puvratt tott l’an”.

Un tempo a Roma, nella notte dedicata al Santo, fra i tavoli delle osterie si aggiravano decine di venditori ambulanti che offrivano enormi capi d’aglio da appendere fuori dalle finestre come protezione. Dicono anche che le cipolle cotte nei falò, che in molti luoghi si accendono per San Giovanni, per aiutare il sole a salire sull’orizzonte, acquisiscono virtù medicinali e chi le mangia  sarà protetto dalle streghe.

In altri luoghi si crede che le noci da cui si ottiene il liquore Nocino devono essere raccolte la notte di San Giovanni: la tradizione vuole che siano le donne a farlo ma  a piedi nudi e con una falce  o lama di legno, mai di metallo.

Ma torniamo alle tradizionali lumache di San Giovanni: fino a qualche anno fa, quando le vigne facevano parte del paesaggio cittadino, si potevano vedere a Roma centinaia di chiocciole che al sole di giugno aspettavano, come in una sorta di rito annuale, che le venditrici ambulanti andassero a coglierle.

Ma la domenica precedente alla festa del Battista, anche le famigliole “andavano a lumache”: nella magica notte infatti,  sulla tavola dei romani “veraci” non doveva mancare  “er callaro con le lumache ar sugo”.  

Per loro, i “tradizionalisti” ad oltranza, e con il permesso delle “signore della notte”, le dame che cavalcano la luna, le nostre care streghe che da secoli custodiscono la più antica  ricetta, ecco il vero e più genuino modo di preparare “le lumache di San Giovanni”.

*Per quattro persone occorrono:

1 kg di lumache di vigna

600 g di polpa di  pomodoro

4 acciughe  sotto sale

2 spicchi d'aglio

olio d'oliva

peperoncino

mentuccia  romana fresca

basilico

mollica di pane raffermo

lattuga

aceto e sale abbondanti

Prima di cuocere le lumache bisogna “spurgarle” dalle molte impurità che mangiano. Si mettono in un cesto chiuso dove l’aria circoli, o in un grande scolapasta (ben coperto però, altrimenti ci si troverà con la casa invasa da bavose chiocciole  striscianti), con qualche foglia di lattuga o della mollica di pane bagnata in acqua e aceto ben strizzata, e vi si lasciano per almeno 48 ore.

Poi si gettano in un recipiente ben pulito con una manciata di sale, acqua e aceto, lasciandovele ancora per una mezz'ora: occorre  sciacquarle più volte fino a quando l’acqua resti limpida e senza schiuma. Quindi metterle in una casseruola con acqua fredda salata che si farà intiepidire piano piano a calore moderato. Quando il corpo delle lumache verrà fuori per una buona parte, alzare fortemente la fiamma e seguitare la cottura per una decina di minuti.

Sgocciolarle e lavarle in acqua fredda. Poi farle insaporire, possibilmente in un tegame di terracotta,  con la salsa preparata a parte con olio d’oliva, gli spicchi d’aglio leggermente imbionditi, i filetti d’acciuga, la polpa di pomodoro passata, qualche foglia di basilico, un po’ di mentuccia romana spezzettata con le mani, sale e peperoncino a volontà. Rimestare le lumache di tanto in tanto con una palettina di legno facendo attenzione a non romperle.

Quando si saranno insaporite bene per circa un’ora, farle riposare qualche minuto e infine servire in fondine con fette di pane casereccio da inzuppare nello squisito sughetto. E non dimenticare gli stecchini di legno per tirarle fuori dal guscio.

Ma soprattutto, occorre mangiarne tante rammentando che: “per ogni corna di lumaca mangiata  una sventura viene  scongiurata!”

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.