Editoriale

Ci sarà un Ulisse capace di tornare a Itaca? E chi troverà ad attenderlo?

Dovremmo dichiarare fallito il maggioritario, ha funzionato fino a che c'era Berlusconi e l'antiberlusconismo

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

rovare a salvare la pelle nell’immediato, resistendo e sperando che qualcosa di positivo ancora possa succedere (qualcosa, però, di esogeno e indeterminato), o scommettere sul futuro ricostituendosi, ovviamente correndo il rischio di dover ripartire daccapo. A mio avviso le strade della Destra (e, a dire il vero, di tutti i partiti politici tradizionali) oggi sono queste due. Non sono un grande giocatore di poker, ma so che quando le carte girano male le strade sono obbligate: il bluff o il rilancio, il rischio. Chiamando, come si dice, il “buio”.

I partiti, intesi come luoghi dove tanto si custodiscono i valori, quanto si elaborano nuove idee e moderne applicazioni degli uni e delle altre, purtroppo, pian piano sono finiti con l’essere enclave chiusi. Delle roccaforti serrate sotto l’assalto dell’opinione pubblica alimentata, sappiamo bene da chi e per quali motivi. Checché se ne dica, l’antipolitica dei Di Pietro, dei Grillo e affini, è politica (piuttosto scialba e cinica) che si serve di ogni mezzo per conquistare il consenso e sostituirsi, nei fatti, agli antagonisti.

Negli ultimi anni c’è stato il tentativo, tanto nel centro destra che nel centro sinistra, di costituire dei grandi partiti d’area capaci di rappresentare una sintesi delle diverse anime e un’offerta politica coerente. Un tentativo dagli intenti nobili, dettato da voglia di chiarezza e modernità, da istanze che però - tanto per cause esterne che interne - non hanno sortito gli effetti sperati. Il Pd oggi è diviso da mille correnti e perennemente in dubbio se cedere alla parte più radicale con cartelli elettorati di dubbia coerenza, il Pdl ha mostrato che la tenuta era tutta nella forza aggregante del suo leader. A ben pensarci la forza di Berlusconi - a quanto pare venuta meno - ha per anni tenuto unita, ovviamente per motivi opposti, anche la sinistra.  Il maggioritario, mi vien da dire, era dovuto e condizionato dalla presenza politica di Berlusconi, tanto da una parte che dall’altra. C’è all’orizzonte un altro Silvio Berlusconi?

Finita la spinta a unirsi e dividersi tra simili e diversi, agli occhi degli elettori, ciò che oggi rimane di queste convivenze rischia di essere solo effetto del calcolo. Senza pensare che siamo qui a chiederci cosa vorremmo essere non tenendo conto di quello che ancora una volta saremmo costretti diventare. Un esempio su tutti: ad oggi - nonostante i molti annunci - non c’è ancora un’idea chiara di legge elettorale. E, guardiamoci in faccia, possiamo negare che le regole del gioco non condizioneranno le strategie e le alleanze?

Una cosa è certa, la tattica politica ha già una volta prevalso sulla storia a scapito della riuscita. Il Pdl ha cominciato presto a perdere pezzi a destra (se Fini lo si considera uscito da questa parte), e il governo di centro destra non ha mai attuato una politica né liberale, né davvero di destra, tanto che qualcuno ha sperato che fossero finalmente i tecnici a farla!

Solo l’azione del governo avrebbe sancito la vera nascita di un centro destra sotto un unico contenitore, ma sotto la pressione economica e scandalistica le due anime, più che un bilanciamento o una sintesi inedita, hanno creato uno stallo. L’effetto è stato che il maggioritario, nonostante tutto, ha svilito le identità, depauperato le differenze, perché due o più debolezze non fanno la forza. In questa particolarissima e confusa fase politica e sociale l’onda lunga della delegittimazione della politica e dei suoi luoghi rischia, quindi, di premiare solo gli estremismi (più riconoscibili e coerenti) e cancellare per sempre la storia e le idee della destra (e non solo) italiana. Di relegarla ad una marginalità residuale, per dirla con Malgieri.

Per ritrovare la credibilità necessaria (per non far sembrare ciò che non è: ovvero che in politica tutto è indifferentemente uguale a tutto) i partiti debbono oggi ritrovare le ragioni fondative, svilupparle in idee capaci di interpretare le istanze dei cittadini, anzi di essere più propositivi degli stessi elettori. I partiti che hanno ancora idee e uno stile definito che le contiene e le comunica,  avranno ancora vita lunga. Essi  sono, non c’è Grillo che tenga, la base della democrazia! Solo che bisogna tornare a sognare e avere la forza di far condividere il sogno. I leader debbono ararli questi sogni, seminare la speranza e dividere i frutti con tutti.

Ora lo si può fare separandosi rapidamente in più anime (destra, liberal-riformatori, cattolici-liberali ecc) dalla chiara identità e con intenti federativi (certamente prendendosi dei rischi immediati) o, per usare un gergo calcistico, mandando la palla in avanti, e scommettere sul prolungamento di questa fase transitoria - grande coalizione o mix tecno-politico -  al fine di avere più tempo per riorganizzarsi e riaccreditarsi con l’opinione pubblica. E magari in attesa dell’improbabile arrivo di un nuovo Berlusconi.

Tornare a Itaca - per citare Veneziani - non è dunque un viaggio a ritroso tra il nostalgico e melanconico. Di li riprendere la rotta futura sarà senz’altro più semplice. La destra italiana un’isola dove tornare ce l’ha. Il problema - per rimanere in metafora - sono i proci. C’è, mi domando, un Ulisse così forte, autorevole e astuto da riprendersi il regno e riconquistare l’amore di Penelope?

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