Maggio Musicale Fiorentino

TROVATORE: il capolavoro medievale di Verdi inaugura il festival d'Autunno del Maggio.

Una nuova edizione firmata da Cesare Lievi e diretta da Zubin Mehta, con un ottimo cast vocale.

di Domenico Del Nero

TROVATORE: il capolavoro medievale di Verdi inaugura il festival d'Autunno del Maggio.

Un Trovatore torvo e sanguigno, per usare un’espressione del libretto stesso? Parrebbe proprio di sì: una vera e propria” visione” – ma si direbbe meglio un incubo – all’insegna della desolazione e soprattutto, della maledizione.

Tutto nasce dunque da quel “mi vendica” lasciato come pesante eredità alla figlia Azucena da quella “abbietta zingara, fosca vegliarda “ che sorpresa vicino alla culla del figlio del conte di Luna, era stata condannata al rogo per maleficio: una maledizione ancora più tremenda e angosciosa di quella che funesta Rigoletto, altra opera della trilogia popolare verdiana …

E sarà proprio il Trovatore di Giuseppe Verdi  a dare il via al  festival d’Autunno del teatro del Maggio Musicale Fiorentino: prima recita giovedì 29 settembre alle ore 20, repliche  il 5 e 7 ottobre alle ore 20 e il 2 ottobre alle ore 15.30.  Sul podio della sala a lui dedicata il direttore emerito Zubin Mehta guida l’orchestra e il coro del Maggio;  la regia è di Cesare Lievi,  Fabio Sartori interpreta Manrico, Amartuvshin Enkhbat  Il conte di Luna, María José Siri Leonora, Ekaterina Semenchuck AzucenaUn cast senza dubbio di tutto rispetto, e lo stesso maestro Mehta, nel corso della conferenza stampa di presentazione dello spettacolo avvenuta lunedì 26 settembre alle ore 14, definisce i quattro cantanti “i quattro cannoni che ci vogliono per fare un buon Trovatore.”

Da parte sua il sovrintendente Alexander Pereira non manca di rimarcare la nuova scansione per festival di tutta la programmazione del teatro: “ Mettere in scena Il trovatore in Italia è sempre una grande sfida, ma sono più che ottimista grazie al nostro splendido cast e al nostro grande maestro Mehta. Quest’opera segna l’inizio del nostro Festival d’Autunno, marcato da tre opere verdiane tutte a ‘stampo’ spagnolo: Trovatore, Ernani, Don Carlo.  E tra queste tre opere di Giuseppe Verdi molto amate, un gioiello del repertorio barocco che non è mai stato rappresentato a Firenze finora, cioè Alcina di Handel, nella quale canta Cecilia Bartoli. La nostra idea è di rendere questi Festival satelliti dei punti fermi della nostra programmazione futura e rendere Firenze la città dei Festival italiana; a questo si aggiunge, alla fine dell’anno, la fine dei lavori sul palcoscenico della Sala Grande che renderà il nostro Teatro allo stesso livello dei più grandi internazionali”

Piena e assoluta soddisfazione sono state espresse anche dal maestro Mehta, sia per l’alto livello del cast vocale che per la piena sintonia con la regia e l’orchestra e il coro: “questa produzione, grazie anche allo splendido ensemble di artisti che ho a disposizione, dà il modo di sfruttare al meglio l’opera verdiana, valorizzando anche le sonorità del nuovo Auditorium. Tutti i membri del cast hanno sono inoltre quasi perfetti nella pronuncia; una pronuncia che aiuta, a livello ritmico e musicale, a rendere ancora più espressiva la musica scritta da Verdi. Anche l’orchestra e il Coro sono splendidi, come sempre: non ho avuto neanche modo di correggerli; opere come questa sono il loro pane quotidiano quasi, e sono praticamente perfetti in ogni parte dell’esecuzione.”

Molto interessanti anche le note di regia del maestro Cesare Lievi: “Il trovatore è un’opera buia e notturna, tutto avviene di notte o ai primi bagliori dell’alba. I personaggi si muovono in un paesaggio desolato, senza futuro, senza vita, imbrigliati in un destino di morte. Tutto sembra già finito e incenerito prima ancora di iniziare; sembra quasi che Verdi si sia ‘disinteressato’ alla trama stessa per mettere in evidenza, in modo anche brutale, quelle che sono le pulsioni nude e crude dei personaggi. Ed è proprio questo groviglio emotivo e pulsionale che ho cercato di mettere in scena, un groviglio saldamente legato ad un passato che puntualmente torna. Il passato, a cui l’importantissimo antefatto dell’opera fa riferimento, porta con sé una forza distruttiva totalmente inevitabile, per chiunque. Il nostro lavoro è stato dunque quello di offrire una fiaba, genere caro ai romantici, dalle tinte profondamente nere e tragiche ma assolutamente vitale: quest’opera parla della nostra vita, di noi stessi e del mondo interiore che spesso soffochiamo e reprimiamo.”  Due sono le “parole chiave” usate dal regista: la cenere e la maledizione. Nell’opera si fa spesso riferimento al fuoco (soprattutto ai “roghi”) ma in questa messa in scena più che il fuoco compare la cenere, che delle fiamme è il desolato e triste prodotto quando il fuoco è soltanto morte e distruzione. L’altra è la maledizione della madre di Azucena, “l’infame vecchia” come la definisce Ferrando, che stringe i personaggi in una morsa di odio e distruzione che però non sarebbero loro connaturati. Anzi il Trovatore  mette in scena ben tre forme di amore, quello filiale, quello fraterno e quello coniugale, ma tutti vengono in qualche modo vanificati e dissolti dalla maledizione. Di qui la dimensione onirica e desolata della scenografia, che luci a parte non ricorre ad alcun ausilio di tipo “cinematografico”, ma ad espedienti particolari come i “doppi”, controfigure dei personaggi che li accompagnano in momenti particolari della vicenda. I personaggi sembrano muoversi in un deserto, all’insegna del grigiore e della desolazione. Una lettura dunque abbastanza “intimistica”, che tende a spogliare l’opera della sua dimensione eroica e guerriera per cercare di giungere al cuore dei personaggi.

Il Trovatore è  la seconda opera della Trilogia Popolare, andata in scena il 19 gennaio 1853; la prima di Rigoletto era stata l’ 11 marzo 1851, mentre Traviata ebbe il suo battesimo il 6 marzo 1853.

Il libretto di Salvatore Cammarano,, tratto da El Trovador del drammaturgo spagnolo Antonio García Gutiérrez , . non solo risente della visione del tutto distorta del medioevo tipica del Romanticismo e di Gutierrez in particolare, ma presenta una serie di incongruenze e bizzarrie abbastanza nutrita.  Passi ancora Manrico che è contemporaneamente trovatore e capo militare a 15 anni,  Leonora, la fanciulla contesa tra Manrico e il conte di Luna, è praticamente una sconosciuta; Azucena poi è di un cinismo e di una “mostruosità” davvero eccessiva persino per una abbietta zingara (espressione oggi politicamente scorretta, si spera che non censurino mai questa bellissima aria dell’opera.) Tutta la trama poi presenta una serie di colpi di scena che dire inverosimili è dire poco; e queste incongruenze fecero apparire l’opera antiquata agli stessi contemporanei, in quanto il teatro musicale si andava ormai orientando verso intrecci meno inverosimili.

Altra caratteristica del Trovatore  è la sua quasi totale mancanza di azione: prevalgono il racconto, l’evocazione e il ricordo, mentre l’azione vera e propria si concentra in alcuni momenti particolari: ad esempio, il rapimento di Leonora che sta per farsi monaca alla fine del secondo atto o nella seconda e terza scena del quarto, il disperato tentativo di Leonora di salvare la vita a Manrico.  Prevale invece la dimensione “narrativa”; non per nulla l’opera inizia con un racconto, quello di Ferrando, e in una dimensione tra il ricordo e il delirio vive uno dei personaggi più formidabili creati da Verdi, la zingara Azucena, con la qualeil mezzosoprano assurge in un’opera verdiana a un ruolo principale. E’ la musica a colmare il divario tra azione e narrazione, ma anche a costituire il vero tessuto connettivo di un dramma che, apparentemente, sembrava ritornare a modelli ormai superati. Sebbene il Trovatore mantenga la struttura tradizionale del pezzo chiuso (quello che Boito chiamerà spregiativamente la  formula ), la musica in un certo senso lo supera e lo trascende; grazie anche al suo articolarsi su più livelli. Quello popolare del racconto di Ferrando o del coro degli armigeri del terzo atto, ad esempio, e poi quello della elaborazione di pezzi chiusi di straordinaria efficacia (Casini parla di atletismo vocale) che hanno reso l’opera straordinariamente popolare e che richiedono un cast (e specialmente il tenore, ma non solo) di tutto rispetto. C’è poi quello degli ensembles e dei finali d’opera, di straordinaria vivacità ed incandescenza, in cui la musica assume un ruolo assoluto; forse è un po’ eccessivo parlare, come qualcuno ha fatto, di fase mozartiana di Verdi, ma se non altro rende bene l’idea.

La lettura di Lievi, in sintonia con quella musicale di Lievi, potrebbe essere quindi molto vicina alle intenzioni del musicista. Al palcoscenico la risposta.

 

IL TROVATORE

Dramma in quattro parti

Libretto di Salvatore Cammarano

(completato da Leone Emanuele Bardare)

Tratto da El Trovator, dramma di Antonío García Gutiérrez 
Musica di Giuseppe Verdi

Edizione: Edwin F. Kalmus & Co., Inc., Boca Raton, Florida

 

Nuovo allestimento

Maestro concertatore e direttore Zubin Mehta

Regia Cesare Lievi

Scene e costumi Luigi Perego

Luci Luigi Saccomandi

Manrico Fabio Sartori

Il Conte di Luna Amartuvshin Enkhbat

Leonora María José Siri

Azucena Ekaterina Semenchuk

Ferrando Riccardo Fassi

Ines Caterina Meldolesi

Ruiz Alfonso Zambuto

Un vecchio zingaro Davide Piva

Un messo Joseph Dahdah

Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino 

Maestro del Coro Lorenzo Fratini

 

 

 

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    7 commenti per questo articolo

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